di Francesco Tomada
Il treno traduce i respiri di ferro
negli accenti molli del mio incanto
mi parlano di cose rotonde
come fossero preavvisi,
da indovinare
il mondo del treno
è lo svincolo degli arbusti,
transennati ai lati della corsa
come il percorso della lumaca
che accende le mie attese
il pioppo si lascia intuire
intorno alle rotaie e le foglie,
di cui nel sogno mi nutro,
io non sono treno e nemmeno fischio
sono il binario che non conosce altre forme
il sambuco che canta senza respiro
il pioppo che dorme e sogna le nuvole
Si dovrebbe scrivere di un libro di poesia come se non avesse un autore, pensando soltanto alle parole e a ciò che rimane nelle pagine. In questo caso mi è impossibile, anche perché l’aderenza tra Alberi Binari (Qudu) e Roberto Ferrari è così stretta che raccontare uno significa svelare l’altro. Roberto Ferrari è in senso tecnico un esordiente ma non un ragazzino, visto che è nato nel 1959 e si occupa di poesia da almeno un trentennio, coordinando un gran numero di manifestazioni nell’area compresa fra Friuli e Veneto. Ha conosciuto dunque moltissimi poeti, e se avesse davvero voluto tentare la scalata al “successo” letterario avrebbe avuto le occasioni opportune da diversi anni. Ha invece preferito coltivare la sua scrittura attraverso i readings e l’ascolto degli altri, al punto tale che per spingerlo a completare la sua prima raccolta, Alberi binari appunto, è stato necessario l’intervento di molti dei suoi amici, primo fra tutti l’autore della prefazione Piero Simon Ostan. Nel frattempo Ferrari ha continuato il suo lavoro con i disabili psichici, conoscendo in profondità anche Federico Tavan, che non a caso assieme ad Allen Ginsberg viene citato all’inizio del volume. Le note biografiche e i poeti appena citati forniscono chiaramente le coordinate della raccolta, che sono quelle di una vitalità sorprendente, di una scrittura che rinuncia volontariamente alla perfezione per privilegiare invece un ribollire continuo di sensazioni espresse in modo diretto ed immediato. La scrittura di Ferrari esprime l’ingenuità di un bambino-adulto che non rinuncia all’immediatezza delle proprie percezioni, anzi la amplifica pur conoscendo bene la durezza della quotidianità, i vincoli e le gabbie a cui questa ci sottopone.
Alberi binari è un viaggio diviso in quattro sezioni, di cui la prima (omonima) è dedicata al treno e a tutto ciò che la ferrovia attraversa, è uno sguardo lanciato oltre le massicciate verso le case, le persone, le fabbriche e la natura che vi si contrappone benigna, quasi come un possibile punto di armonia. La seconda, titolata Il carnevale è finito, è forse la più dura ed incalzante, e affonda lo sguardo nel Nordest degli ipermercati e dei burger king, sostanzialmente di un modello di vita (prima ancora che di sviluppo) che contribuisce unicamente a incrementare il vuoto umano. E’ anche la parte più disincantata, quella in cui Ferrari persevera “nell’inutile sospiro / delle mancanze / troppo piene”, quella più direttamente e aspramente civile e sociale.
Nella terza sezione, E’ un oceano di pesci questo bicchiere, i ritmi invece rallentano e la poesia di Ferrari si avvicina di più alle forme canoniche, pur senza rinunciare alla lucida visionarietà che la contraddistigue; i finali diventano stilettate intrise di stupore, la scrittura riacquista una dimensione privata e personale che si apre poi all’ultima parte del libro, Accanto all’odore del futuro, dove il cerchio si chiude e contemporaneamente si allarga. Infatti il tono si avvicina nuovamente alla dimensione onirica già sfiorata all’inizio del volume, ma gli orizzonti si aprono ai luoghi cari al poeta, il Monte Prat, il Matajur, e più in generale sembra compiersi la congiunzione tra l’interiorità sofferta di Ferrari e, appunto, l’idea di un possibile futuro: “sopravvivrò / anche / a questo sogno”.
Alberi binari, dunque, è un libro da cui tenersi lontani se cercate la pulizia assoluta della scrittura, la forma che cristallizza il verso; è invece un libro da consumare se nella scrittura cercate l’impulso vitale, la rabbia, la disperazione e la speranza. Roberto Ferrari ha il dono della trasparenza ed è il primo regalo che porta di sé nel mondo, questo piccolo mondo dell’Italia nordorientale che sembra avere smarrito da decenni la propria spontaneità, e dunque mai come oggi ne ha sete e bisogno.
Un plauso ed un augurio sincero vanno inoltre alla giovane casa editrice Qudulibri di Bologna, che con questo volume inaugura la collana di poesia Fare Voci diretta da Giovanni Fierro.
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Roberto Ferrari, Alberi binari, Qudulibri, 2014
Autore molto interessante. Mi piacerebbe avere il suo libro.
Nino
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Ecco perché sentivo così vicina la poesia di Ferrari, siamo entrmabi del ’59 e l’editrice è Patrizia Dughero!
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