( Fotografia di Valentina Gaglione )
a cura di Christian Tito
Francesca Del Moro l’ho conosciuta all’ultima edizione di Bologna in lettere, evento che Biagio Cepollaro ha definito , giustamente, miracoloso nell’Italia attuale. Se è stato possibile metterlo in piedi, più che alle istituzioni e ai soldi quasi sempre inesistenti a supporto della cultura, lo si deve alla volontà tenace e alle idee di Enzo Campi, ma anche alla passione e la generosità di tutto il suo staff formato da infaticabili e ottimi poeti tra cui, appunto, Francesca Del Moro.
Francesca ci propone 10 inediti su un tema di grande attualità: Il lavoro. Il lavoro al tempo del precariato; al tempo della crisi; al tempo in cui le merci devono essere vendute nonostante la gente non abbia i soldi per comprarle; al tempo dei social network; al tempo in cui nel lavoro e per lavoro si generano rapporti malati e distorti tra gli umani.
Prima di arrivare a questi mi piace però presentare qui su Perigeion alcune poesie estratte dai suoi ultimi due libri e quella che mi pare sia l’evoluzione in corso nella sua poesia.
Le poesie di “Gabbiani ipotetici” hanno un titolo e ci mostrano delle scene chiare, definite, in cui la voce di Francesca è fortemente partecipe, coinvolta , estremamente presente sia nella sua vita che in quella degli altri così come nelle luci e nelle ombre che il mondo in cui vive proietta su di lei. Francesca Del Moro affronta con coraggio anche gli aspetti più difficili della sua biografia e come tutte le sensibilità che in realtà vivono e amano profondamente la vita che hanno minaccia anche di volerla rinnegare e lasciare quando in essa smarrisce il senso o è presa a pugni dalla brutalità delle cose del mondo quando questo si fa disumano. L’ironia/sarcasmo che appare in certi tratti forse serve per bilanciare la portata perturbante del suo stare dentro alle cose attraversate.
Nelle poesie di “Le conseguenze della musica” i titoli spariscono , ma lo sguardo di Francesca resta rivolto verso gli stessi elementi e, alternando poesie brevi e lunghe, sembra in fondo di stare dentro a un poema in cui l’autrice ci accompagna per mano nella sua intimità messa a nudo, in cui viene da muoversi quasi con pudore tra la gioia di cui è ancora capace nella Bologna che l’ha adottata ( Francesca è originaria di Livorno) , il ricordo del tormentato amico poeta Massimiliano Chiamenti e le sue oggettive difficoltà quotidiane di madre che si trova costretta a crescere da sola un amatissimo figlio. Ma in questa scelta estratta dal libro è presente anche il preludio al tema affrontato negli inediti se guardiamo al primo e all’ultimo testo proposti. In essi si assiste come a una diminuzione del calore e di quella partecipazione sempre presente nei testi di Francesca. Questo non deve fuorviare perché ha le caratteristiche di una scelta voluta e consapevole usata per dare la giusta voce a ciò che è in se stesso freddo e inquietante. Le sue poesie non ne risultano affatto diminuite. Aspetto con grande curiosità il risultato di questa sua direzione.
Grazie di cuore a Francesca per la sua proposta e il suo impegno umano ed artistico.
Da Gabbiani ipotetici, Cicorivolta edizioni 2013.
APPENA HO UN MOMENTO LIBERO
Appena ho un momento libero
quando mio figlio è a scuola
e la casa è pulita
e ho finito di stirare
appena trovo il tempo
e la traduzione è finita
e sono uscita dal lavoro
se l’autobus è puntuale
se il treno stranamente pure
appena ho un attimo
e fuori c’è bel tempo
e ho pagato le bollette
e sono stata in banca
e il dottore mi ha visitata
appena ho un momento libero
finalmente
una buona volta
quasi quasi
io mi uccido.
IL SORRISO
Il sorriso
su di noi
continuamente
insensibilmente
il sorriso
che viene
dai manifesti
dalla TV
dalle copertine dei giornali
il sorriso
della pubblicità
il sorriso
che è il marchio
della nostra società.
Ha qualcosa
del rigor mortis
è il sorriso
del carnefice
per la vittima in agonia
il sorriso
di Joker
ma senza ironia.
E’ il sorriso
di un volto
senz’ombra
di allegria.
Il sorriso
che si espande
quando tutto il corpo
piange.
A volte
te lo dai da solo
questo sorriso
per aiutrati
a sopportare
la vita
ma ti fa male
al viso
come una ferita.
TRAMONTO
a Vittorio Arrigoni
Il tramonto così rosso
ti rammenterebbe
il sole che piangeva
lacrime di sangue
nel disegno interrotto
del bambino fuggito via
subito dopo lo scoppio,
uno di quei bambini
per cui hai dato la vita.
Ti sento qui,
tra il respiro del mare
e le tue parole
tra le mie mani.
Sento anche la tua voce
sull’acqua amica:
lottiamo sempre,
restiamo umani.
DIMENTICARE GENOVA
A un certo punto
avevamo paura perfino
dell’aria, del cielo plumbeo,
degli elicotteri-avvoltoi
che ci sorvolavano.
Stavamo stretti
per proteggerci,
coi nostri sogni
in tasca insieme ai sassi
e ai pugni chiusi,
ci infrangevamo
come onde infilzate
da fili di vento.
Chi se lo ricorda, ormai,
per cosa marciavamo,
la giustizia globale,
come potevamo chiedere
tanto se nemmeno
su uno sputo di terra
c’è giustizia.
“Mi hanno schiacciato
la faccia con gli stivali”
racconta lei tra visi amici, dopo,
“sentivo il sangue in bocca,
le costole rotte, ho perso due denti,
ma” dice e le si spezza la voce,
“non faceva male il corpo, era il cuore,
era il cuore a fare male.”
BRUTTA
Sono una donna.
Brutta.
Ho il diritto di esserlo.
Racchia cessa
che proprio non si guarda
poverina meglio metterle
un cuscino sulla faccia.
Ho il diritto di esserlo.
Brutta come il peccato.
Brutta come la fame.
Inchiavabile, qualcuno
direbbe, sbagliando.
Sono brutta.
Ho il diritto di esserlo.
Come un uomo brutto.
Charles Bukowski era brutto
Giorgio Gaber era brutto
Paolo Rossi è brutto
perfino Sean Penn
oh sacrilegio!
misurato con il metro
destinato alle donne
è brutto.
Io non appago l’occhio
non lo tranquillizzo
lo sfido lo stuzzico
lo aggredisco
e fondamentalmente
me ne fotto
dell’occhio.
In giro c’è così tanta bellezza
femminile così perfetta
così barbie così sorridente
e così muta
che io sono orgogliosa
di questa mia loquace
e sfacciata bruttezza.
Io non sono come la noiosa Clara
io sono come Fosca.
Brutta e quindi,
qualcuno avrebbe detto
a quei tempi, cattiva.
Con la mia bruttezza
mi hanno colpita e colpita
fin dall’adolescenza
ma ora io ho cambiato
il gioco delle alleanze
lei sta dalla mia parte.
Sono brutta.
Ho il diritto di esserlo.
Come gli uomini brutti
e le tante donne brutte
e come Anna Magnani
fiera delle sue rughe.
Da Le conseguenze della musica, Cicorivolta edizioni 2014
( Alle nove del mattino)
Pulisciti i piedi
sullo zerbino
sfilati l’amor proprio
silenzia la coscienza
preparati un sorriso
ed entra.
Ti ho cresciuto fino al cielo,
troppo in alto per vedermi,
hai il viso pieno di luce,
io siedo nella tua ombra.
Non ho nessuno accanto,
così guardo i cerchi dell’acqua
allargarsi e poi sparire sull’asfalto
e immagino che il cielo versi un pianto
che somiglia al mio.
Massi, mi si gelavano le ossa
ieri, al ritorno da Firenze,
il dolore, il vuoto, l’assenza
erano più forti della poesia,
della musica, di tutta quella bellezza.
E’ forse questo il freddo strano
delle case riscaldate di cui parlavi tu
non meno freddo del freddo
che gela i corpi di chi vaga nell’inverno
che non ha un riparo sulla testa
mentre tu che in fondo ce l’avevi
volevi solo un riparo di braccia nella notte
l’amore
che è quella cosa che insomma io non ho,
come scrivevi, e non avevi neanche tu,
e allora noi cerchiamo amore
per le nostre parole, almeno per loro,
ma tu insomma non l’avevi,
o non abbastanza, e io non ce l’ho
ed è per questo che tu sei morto
e io non so.
Lui canta
e la bella piazza
abbraccia la sua gente.
Faber è perfetto
per innamorarsi
di chi passa.
Non occorre
indovinare pensieri
o immaginare storie
dietro le andature così diverse
e gli occhi dalle infinite espressioni
basta guardare e meravigliarsi
di quante sono
le possibili forme di un viso,
le increspature della pelle,
le varianti di un sorriso.
Un uomo con un cappello strano
guarda il cantante mentre due sfumacchiano
e gli fanno una domanda chissà perché
in francese e la traducono in italiano.
Si affrettano bellezze inguainate
coi tacchi alti e le gambe scoperte
e forme pesanti non meno belle
e attraenti nei vestiti dell’estate.
Passano tutti i colori dei capelli
e i colori meno scontati della pelle.
Lui ha una coda di capelli sporchi,
la pelle scura e un bel sorriso stretto
e canta:
“Com’è che non riesci più a volare?”
Un ragazzo alto alto
e con gli occhioni azzurri
si toglie le cuffie per ascoltare,
una nonna vestita da hippie
si avvicina al leggio
e si mette a chiacchierare.
Un bimbo trotterella
e va a deporre una moneta
nella custodia della chitarra.
Il cane scodinzola quasi fosse per lui
e sorride come fanno tutti i cani,
che forse hanno scoperto
come si trova la felicità.
Mi accorgo che sorrido anch’io da un pezzo,
sarà che questa piazza è così bella,
e per amare tutta questa gente
basta guardare.
Mi basta poco per emozionarmi,
poco per essere felice,
più o meno come quel cane
che ora sorride e agita la coda.
“Com’è che non riesci più a volare?”
Sono felice, sai,
perché a Bologna
io ci riesco ancora.
È tutto qui?
È davvero tutto qui?
Cosa?
La vita.
Cosa dici, figlia,
finché c’è la salute,
alzati, avanti, stira
quella pila di panni,
riordina la casa, non vedi
che è sporca, fa schifo,
approfitta del fine settimana,
da lunedì non ce la farai,
che devi andare al lavoro,
ringrazia iddio che ce l’hai
ancora, un lavoro.
10 inediti
I
(alle 6 del mattino)
Il suono rompe
il sogno, il sonno
e schiude l’occhio.
Cerca nel buio
il primo passo
il piede nudo.
Nella mattina scura
il respiro è spurgo
di rigovernatura.
II
Guardi il display con la tavola
ridente e la sfoglia Buitoni
i cartelloni con le bocche
spalancate per la gioia
delle cose.
Bisogna vendere cose
vendere sempre vendere
le cose.
Tu marci con gli altri
nel grigio mattino,
farai la tua parte.
III
(cani e porci)
Alle nove attaccate
la catena al terminale
lunga quanto basta
per andare a pisciare.
Siete cani da cortile
a cui non serve più buttare
neanche un osso ogni tanto
e in questa Animal Farm
comandano sempre i porci
che, se li incontri fuori,
non ti guardano negli occhi.
IV
Qui non ci sono i cubicoli
di Monsieur Hulot.
Qui c’è un open space
con tutti i suoi comfort.
Ma i pensieri di ciascuno
si muovono al sicuro
in un minuscolo
spazio quadrilatero.
Non c’è nessun rischio
neppure che si sfiorino.
V
Pile su pile su pile
di identiche pile
confitte tengono il congegno
in funzione e si ricaricano a sera
confitte.
VI
Ha più di mille dipendenti
contando per comodità
le partite IVA a orario fisso in sede
a cui da casa dà ordini via WhatsApp
non le vede ma ha qualche paia
d’occhi che è come fossero i suoi
guarda film muti e poi sospira
e si lamenta che la gente non sorride
non ha ideali non sogna
spesso fa la voce grossa
e minaccia e licenzia senza
pensarci due volte
ha un passato da sindacalista
e poi nella cosiddetta estrema sinistra
crede nei diritti e nelle libertà
la sua azienda sostiene associazioni
umanitarie ed è ecologica e animalista
scriveranno un articolo chiamandolo
l’imprenditore comunista
a microfoni spenti dopo l’intervista
lancia un urlo alla sala ammutolita
e il giornalista chiede
se non è in contraddizione
con la sua storia e le sue convinzioni
non rispettare i diritti e trattare così le persone
e lui fa un largo gesto della mano
in direzione delle schiene curve e dice:
“lei queste le chiamerebbe persone?”
VII
Faccia a faccia non si parla con loro,
faccia pulita su faccia libro e qui
faccia di merda
VIII
(alle sei del pomeriggio)
Ti punge la nuca
lo sguardo e chiudi
la via di fuga.
Grava il capo
gli occhi sudano
nella mano.
Sei così schiavo
che neanche lo sai
di essere schiavo.
IX
(gli ovini di Adenauer)
Vanno insieme
senza guardarsi
con gli occhi torvi
volti in avanti
i dorsi sempre
proni ai bastoni
i denti stretti
il passo deciso
in un attimo
ciascuno diventa
predatore o preda
del proprio vicino
in un attimo
ciascuno può finire
divorato dal branco
sono il risultato
di una mutazione
incredibile
sono pecore
pecore carnivore.
X
Sai che non serve a niente
dentro una testa china
un cervello ribelle.
Nota dell’autrice: la poesia “Gli ovini di Adenauer” prende spunto da “O Germania” di Franco Buffoni.
Francesca Del Moro è scrittrice, traduttrice, editor, performer e organizzatrice di eventi legati alla poesia. È nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. È laureata in lingue e dottore di ricerca in Scienza della Traduzione. Ha pubblicato le raccolte di poesia Fuori Tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani Ipotetici (Cicorivolta, 2013) e Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014). Nel 2014 LaRecherche.it in collaborazione con Poesia 2.0 le ha dedicato l’ebook antologico Interni, notte. Alcune sue poesie sono incluse nelle antologie Il ricatto del pane (CFR, 2013) e 100.000 poeti per il cambiamento. Bologna Primo movimento (Qudu libri, 2013). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire, pubblicata da Le Cáriti nel 2010. Ha contribuito come poeta, traduttrice e performer ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), tutte curate da A. M. Soldini. Propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso due brani inclusi nelle compilation Leitmotiv 13 (2013) e Leitmotiv 14 (2014), prodotte da Fuzz Studio. Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere. Cura la rubrica “Poemata. Versi Contemporanei” sulla rivista ILLUSTRATI edita da Logos.
La poesia di Francesca, in composizioni dolci o fredde, malinconiche o arrabbiate, ironiche o occhi puntati, colpiscono sempre l’essere a nudo della realtà che riportano, in gesto fedele mai improvvisato o dettato dall’enfasi, che se mai diventano gli spietati strumenti della sua mano ferma, del suo osservare pulito, del suo vivere mai a metà. Tale diventa lo scrivere diretto e curatissimo senza filtri eppure mai lasciato al caso: mai a metà.
Martina.
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Ho avuto modo di leggere, recensire, partecipare a un evento legato al libro, Le conseguenze della musica. Ottimo e consigliato. Le nuove, a parte qualche aforisma fulminante che rimane a pelle, le rileggerò con attenzione.
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