perìgeion

un atto di poesia

Di Sesti / Gesti, di Fabio Franzin e altro

 

sesti

 

di Francesco Tomada

 

Inizio subito con il dire che questa non è una recensione a “Sesti / Gesti” (Puntoacapo, 2015), l’ultima recente raccolta di Fabio Franzin, di cui abbiamo già avuto l’onore di ospitare alcune poesie qui; è piuttosto una riflessione privata – che mi piace condividere – sul percorso di Fabio, e su quello che “Sesti / Gesti” può rappresentare nello svilupparsi di questo percorso. Nel farlo so di avere un enorme limite: non solo sono convinto che Franzin sia uno dei massimi poeti italiani, ma ho la fortuna di essere legato a lui da un’amicizia che per me dal punto di vista umano è importantissima. Distinguere ciò che è letterario da ciò che invece rientra nella sfera degli affetti mi diventa dunque molto difficile, come difficile è trovare le parole per elogiare o criticare dove necessario quando queste si intrecciano con il mio vissuto e non possono disgiungersene. Ci provo, ecco, offrendo per prima cosa la mia imperfezione.

Come dicevo, anche sforzandomi di dimenticare ogni legame umano, sono convinto che Franzin sia uno dei grandi della poesia italiana, e che questo suo merito sia ancora maggiore perché conseguito portando avanti la qualità della sua scrittura, sia in italiano sia in dialetto, senza mai cedere alla tentazione di appartenere alle cerchie ristrette o ai salotti buoni. Con tutto il rispetto per le case editrici che ne hanno via via pubblicato le raccolte, trovo che il fatto che Franzin non venga pubblicato dalle “grandi case editrici” sia un sintomo di quanto queste ultime abbiano perso la misura e la dimensione della poesia italiana, delegando il ruolo di costruire cultura ad una realtà editoriale molto più diffusa e frammentaria. Così è, purtroppo, e Franzin non esce per Einaudi o per Mondadori, non appare nelle antologie scolastiche dove invece trovano spazio autori meritevoli e altri che di meriti ne hanno molti di meno.

Eppure negli ultimi lustri l’autore veneto – una penna decisamente prolifica – ha dato alle stampe diversi volumi che avrebbero tutto il diritto di essere annoverati fra i capolavori del nuovo millennio. Ammetto che probabilmente non saprei quale o quali fra le sue raccolte mi porterei sulla famosa isola deserta: forse “Pare (Padre)”, con cui ne ho conosciuto la scrittura, che meglio di qualunque altro tende un filo fra le generazioni del passato e del futuro; forse “Mus.cio e roe (Muschio e spine)”, con il suo Nordest sospeso fra il passato di aie e fienili e il presente di capannoni abbandonati; forse “Co’e man monche (Con le mani mozzate)”, che di quei capannoni racconta la desolazione lasciata non solo nella pianura padanoveneta, ma nella vita delle persone. Forse questi o forse altri, perché la scrittura di Franzin, anche nell’ambito di una produzione così abbondante, ha sempre mantenuto quei criteri di urgenza e qualità che costituiscono la distinzione fra uno che scrive e un vero poeta. Con questo non voglio dire che tutte le sue raccolte mi piacciano allo stesso modo, perché sarebbe impossibile e significherebbe mentire, così come all’interno di queste raccolte trovo che ci siano testi straordinari e testi buoni (mai scadenti, questo no). Del resto la verità è che in nessun libro di poesia ho trovato cinquanta o sessanta meraviglie; in alcuni, quelli davvero preziosi, ci sono alcune meraviglie insostituibili che illuminano anche il resto, che magari apprezzo e trovo bello, coerente e coeso anche se non così straordinario. E di questi libri preziosi Franzin ne ha scritti certamente più di uno.

Dicevo di ritenere che Franzin abbia ricevuto e stia ricevendo dalla critica e dai mass media un’attenzione decisamente minore di quella che merita. Contemporaneamente mi viene da proporre un’altra considerazione, che forse sembra in apparente contraddizione ma non lo è: Franzin ha infatti conseguito un gran numero di premi prestigiosi, per cui è evidente che gli addetti ai lavori gli riconoscono una qualità che altri sembrano non voler notare. Di questi premi io credo che si debba essere felici, sia per il poeta veneto, sia perché se viene premiato lui significa che è possibile che la buona poesia veda consacrato il proprio valore, al di là dell’appartenenza a questo o quel circolo, a questa o quella cricca.

Al tempo stesso – e qui so di dover misurare molto bene le mie parole, cercherò di spiegarmi molto chiaramente – penso che Franzin abbia a volte incrociato un momento favorevole. Se guardiamo ai temi portanti della sua produzione e se schematizziamo (esagerando forzatamente come in tutte le schematizzazioni) troviamo due direttrici principali, che potrebbero essere il mondo della terra, delle radici, degli affetti fra passato e presente – il primo – e il mondo del lavoro come della perdita del lavoro e con esso della dignità umana – il secondo. Il primo aspetto trova forse la sua espressione più compiuta ed esplicita in “Mus.cio e roe (Muschio e spine)”, un libro che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca; il secondo nel dittico “Fabrica” e “Co’e man monche (Con le mani mozzate)”, con quest’ultima raccolta che scava duramente negli abissi di una delusione divenuta quotidianità. Sia “Mus.cio e roe (Muschio e spine)”, sia “Fabrica” sono a modo proprio dei libri definitivi, perfetti e conclusi, sono percorsi a cui non si può chiedere altro rispetto a quello che c’è, sono la sublimazione di un processo creativo che raggiunge l’apice. Dicevo che ho l’impressione che Franzin, in particolare con questi volumi, abbia intercettato un momento favorevole, vuoi per la rinnovata attenzione ai poeti dialettali, vuoi (in particolare con “Fabrica”) perché il libro è uscito nel 2009, nel pieno della crisi economica, e dunque è diventato l’emblema di un intero momento storico: premiare “Fabrica” forse significava premiare non solo quel libro in sé, ma riconoscere dignità a una intera generazione che si stava perdendo; con una certa dose di cattiveria potrei dire che premiare “Fabrica” forse per qualche esponente della cultura renziana ha significato pulirsi in anticipo la coscienza da ciò che avrebbe fatto o non avrebbe fatto in futuro.

Misurare bene le parole, questo è necessario. Allora sottolineo subito e con forza: quei libri (come anche altri di Franzin) meritavano tutti i riconoscimenti che hanno avuto perché sono grandi libri, sono bellissimi libri e basta. E aggiungo: conoscendo Fabio so benissimo che non ha mai pensato, nemmeno per un istante, di scrivere quei libri in quel momento perché sarebbero potuti piacere, Fabio ha solo raccontato il suo mondo – che è il nostro mondo – con le proprie parole nel modo migliore possibile. Non si è inventato di aver perso il lavoro ma lo ha perso; non si è inventato i morti in fabbrica ma li ha visti. Semmai vale la considerazione opposta: è triste pensare che un poeta così valido e coerente nella sua strada all’interno della scrittura venga riconosciuto soltanto quando incontra un sentimento comune che forse coglie solo una parte di quella coerenza. Non a caso “Co’e man monche (Con le mani mozzate)”, un libro per certi aspetti più coraggioso e meno addomesticabile di “Fabrica” nella sua inconsolabile umana fierezza, è stato notato di meno per quanto racchiudesse in sé un valore almeno pari al precedente; e lo stesso si potrebbe dire per “Margini e rive” rispetto a “Mus.cio e roe (Muschio e spine)”.

Mi sono spesso chiesto come si ponesse Fabio – e so di avere abbandonato il cognome per il nome, che mi suona familiare – di fronte a tutto questo. Ho creduto che due potessero essere gli aspetti su cui concentrarsi. Il primo è quello più personale, più legato alla scrittura in sé, e che Fabio stesso mi ha confidato in una frase dove si racchiude la paura di ripetersi secondo un cliché: “Non voglio essere per sempre il poeta delle siepi e delle fabbriche”. Una volta raggiunto il limite possibile, la sola cosa che si può fare è provare a cambiare, perché ripetersi è mantenersi in una sicurezza confortante che non si addice all’uomo Franzin. Il secondo, rispetto alla percezione che dall’esterno si ha del proprio lavoro, è come evitare di comporre per compiacere: sicuramente Franzin saprebbe scrivere un libro tale da essere apprezzato, ma credo gli interessi molto di più scrivere un libro necessario sperando che poi venga apprezzato per ciò che è.

“Sesti / Gesti” è la risposta ad entrambe queste domande. E’ una raccolta che arriva dopo un periodo di silenzio – magari non lunghissimo, ma significativo per un autore prolifico come Franzin – e probabilmente si è trattato di un momento di rifondazione. E’ un libro di Franzin in tutto e per tutto, non solo perché riprende il suo dialetto, il suo dettato ed il suo sguardo unico, ma perché ripercorre e riattraversa il suo mondo e le figure che lo hanno popolato e ancora oggi lo abitano. Insomma, non ci sono sperimentalismi fini a se stessi, e del resto l’autenticità, che è la prima garanzia di verità in un libro di poesia, passa necessariamente attraverso l’aspetto autobiografico. “Sesti / Gesti” contiene tutto il mondo del poeta veneto: c’è l’universo della famiglia e degli affetti, fra i quali è ben presente un senso di paternità a volte problematica che riporta alla mente il proprio essere stato figlio; c’è il mondo crudo del lavoro, nel quale spicca la figura di Denis Silvestrin, operaio morto a pochi minuti dalla fine del suo contratto da precario; c’è quell’universo di piccoli elementi naturali e umani che sono il substrato non solo della poesia, ma della vita stessa di Franzin; ci sono quei ritratti individuali o collettivi nei quali Franzin ha l’innata capacità di cogliere l’attimo rivelatore e altrimenti perduto. Ma ci sono soprattutto i gesti, appunto, i piccoli-grandi gesti che diventano attenzioni alle persone ed elementi di resistenza umana in un tempo che Ivano Fossati definirebbe sbandato; la scrittura stessa diventa il gesto in cui continuare a credere, magari a fatica, la voce con cui insistere per imitare qualcosa che si riduce ad un sussurro.

Al tempo stesso, però, “Sesti / Gesti” è questo ma non si esaurisce in nessuna sfaccettatura, è un libro più aperto di “Fabrica”, non definitivo. Se posso permettermi, se devo sforzarmi di dire le cose che penso, è molto più variegato e forse anche più imperfetto, nel senso che appare in alcuni momenti discontinuo, una raccolta senza quella rete di sicurezza che comunque un eventuale filo conduttore avrebbe potuto costituire, dunque soggetta anche a momenti che, per quanto sempre validi, non convincono del tutto. Ma riprendo quello che scrivevo prima parlando dei libri di poesia che hanno segnato la mia esistenza: “in alcuni, quelli davvero preziosi, ci sono alcune meraviglie insostituibili che illuminano anche il resto, che magari apprezzo e trovo bello, coerente e coeso anche se non così straordinario”. Ecco, “Sesti / Gesti” mi sembra questo: una risposta alle domande che immagino Fabio Franzin per primo si sia posto ed è una risposta convinta e coraggiosa, una dichiarazione di indipendenza, ed al tempo stesso un nuovo inizio, perché la scrittura di Fabio trova comunque quelle illuminazioni improvvise ed assolute che sono in grado di rischiarare non solo un libro ma – soprattutto – l’animo di chi lo fa proprio. Come se Franzin, di fronte al bivio fra una confortante sicurezza ed una nuova scommessa, avesse consapevolmente scelto di ridare alle proprie parole tutta la libertà possibile e da quella ripartire: conoscendolo non c’erano dubbi, ma la conferma rappresentata da “Sesti / Gesti” è stupore e conforto in sé, e strada da seguire per le possibili direzioni che può dischiudere. E dunque, dopo il tempo necessario per metabolizzarlo e sedimentarlo, sento che entrerà a pieno titolo nella lotta per il libro “da isola deserta”, per questo e per le pagine e le parole che contiene e offre a chi sente ancora e sempre il desiderio di provare a raddrizzarlo almeno un poco, ‘Sto mondo stort dove spesso sopravviviamo provando però a viverci davvero.

 

Sto mondo stort

 

Sì, lo so che son senpre

stat un fià mona a pensar

che ‘l mondo prima o dopo

el se desse ‘na indrezhàdha

 

che se podhésse starghe sora

inparando un fià de sest, noàntri

co’e piante, co’ l’aqua e ‘e bestie

tuti insieme, in amór e armonia

 

del resto lù par primo l’à l’ass

sbiègo, come un pal piantà stort

te ‘na inguria mèdha marzha.

Za da bocia ‘vee provà a farlo:

 

‘ò tirà el perno de un mapamondo

fin che ‘l se ‘à stacà dal pedestàl.

‘A bàea cascàdha spacàndose in dó

fa un vòvo de pasqua senza sorpresa.

 

 

Questo mondo storto

 

Sì, lo so che sono sempre

stato un ingenuo a pensare

che il mondo prima o poi

si desse una raddrizzata

 

che si potesse starci sopra

imparando un po’ di modo, noi

con le piante, con l’acqua e le bestie

tutti insieme, in amore e armonia

 

del resto esso per primo ha l’asse

obliquo, come un palo piantato storto

in una anguria mezza marcia.

Già da piccolo avevo tentato il gesto:

 

tirai il perno di un mappamondo

finché si staccò dal piedestallo.

Il globo cadde spaccandosi in due pezzi

come un uovo di pasqua senza sorpresa.

 

***

 

 

9 commenti su “Di Sesti / Gesti, di Fabio Franzin e altro

  1. Antonio Devicienti
    28/10/2015

    Caro Francesco, la posizione che prendi nel tuo articolo non solo conferma la direzione in cui vuole muoversi tutto il gruppo di Perìgeion, ma anche una scelta e un atteggiamento che rifiutano le manfrine e le ipocrisie così diffuse. Inoltre non so se pubblicare con Einaudi o Mondadori sia davvero un successo…

    Piace a 2 people

  2. gianni montieri
    28/10/2015

    Che nota bellissima. Sono d’accordo su tutto, tra le altre cose “Sesti/Gesti” è uno dei miei libri preferiti di quest’anno. Grazie

    Piace a 4 people

  3. francesco sassetto
    28/10/2015

    sì, Gianni ha perfettamente ragione, una nota bellissima. Profondamente vera in tutto e su tutto, più importante di una recensione. La poesia di Fabio Franzin è poesia altissima (non sempre, è vero, non tutta, ma proprio fabio mi diceva che la misura di un poeta vero sta proprio anche nello “sbagliare” una poesia, accettando ciò come un fatto inevitabile e utile per crescere), e nasce, come ogni vera poesia, e si alimenta di ciò che l’autore è e vive. E questa sintonia, coincidenza tra ciò che si è e ciò che si scrive è non solo un valore prezioso ma la radice necessaria di un fare poetico che produce frutti sapidi. E quando i vari Berardinelli affermano, con vuota sicumera, che non vi sono più “poeti pubblicabili” dalle grandi case editrici, mostrano solo di ignorare l’esistenza di poeti ben degni di Einaudi e simili. Mi permetto solo di aggiungere – e solo perchè Francesco non può farlo – che Tomada è, in diversissime forme e modi, poeta altrettanto grande e dovrebbe essere conosciuto, come Franzin, ben maggiormente, dovrebbe comparire nelle antologie scolastiche, ad esempio. “Portarsi avanti con gli addii” è un libro che tutti dovrebbero leggere al pari dei titoli citati di Franzin. L’amicizia e la stima che mi lega ad entrambi è la sola ragione che mi spinge a dire questo. Fabio e Francesco, che mi conoscono, sanno che questo mio commento nasce da un affetto ed un’ammirazione per entrambi del tutto cristallini
    e da un’amicizia per me preziosa. Grazie ad entrambi, di cuore.

    Piace a 2 people

  4. francesco sassetto
    28/10/2015

    Sì, Gianni, davvero una nota bellissima, più importante di una recensione. Franzin è poeta grandissimo (non sempre, è naturale, mi piace ricordare che proprio Fabio mi disse che la misura di un vero poeta sta anche nello “sbagliare” una poesia) e i suoi libri dovrebbero conoscere una diffusione ben più ampia, essere antologizzati nei testi scolastici, pubblicati dalle grandi case editrici (ma di che parla Berardinelli quando afferma, con vuota sicumera, che non vi sono più “poeti pubblicabili”?). Voglio solo aggiungere – perchè lui non può farlo – che Tomada è poeta, in modi diversi, altrettanto grande e “Portarsi avanti con gli addii” ritengo sia un libro che tutti dovrebbero leggere, al pari di quelli di Franzin. Fabio e Francesco sanno che ciò che dico è dettato esclusivamente dalla grande ammirazione che provo da sempre per loro e da un’amicizia cristallina e preziosa. Grazie ad entrambi, di cuore

    Piace a 1 persona

  5. leopoldo2013
    29/10/2015

    Un grazie a Francesco e a Fabio .
    Sentitamente
    leopoldo attolico –

    "Mi piace"

  6. francescotomada
    31/10/2015

    Max, sono d’accordo con te; il tuo commento è un articolo di per sé, e te ne ringrazio. Soprattutto sono d’accordo sul fatto che Fabio abbia scritto un libro di poesia civile perché umana, o meglio così umana da essere civile. La grandezza di un poeta è anche questa.
    Ringrazio anche Francesco del suo commento – troppo generoso – e ricambio lo stesso affetto.

    Francesco

    "Mi piace"

  7. Fabio Franzin
    31/10/2015

    Cari amici, arrivo solo ora a potervi ringraziare tutti. Le vostre parole, molto esagerate, mi hanno commosso. Prima di cercare di essere un umile poeta, ho lavorato tanto per cercare di essere un uomo decente. Mio padre mi ha lasciato in eredità solo la sua onestà e neanche un centesimo, ma ho sentito, dopo la sua morte, una ricchezza da dover preservare e perpetuare.
    Credo che la poesia italiana, che ha peraltro ottimi poeti, dovrebbe adoperarsi per valorizzare di più i suoi veri talenti, quelli che operano in solitudine, fuori dalle solite, e trite, converticole. Sia chiaro che non parlo riguardo a me. Così come la politica italiana non ha più bisogno di bravi politici, ma solo di politici onesti. Anch’essi nascosti in qualche portico di provincia.
    Vi saluto tutti con tutto il mio affetto. Fabio

    Piace a 1 persona

  8. ninoiacovella
    01/11/2015

    Questa nota di lettura di Francesco ribadisce la profondità e sensibilità di poeta che scrive a cuore aperto sulla poesia.
    Parliamo di chi sfugge dal purtroppo triste detto “i poeti, leggendosi, si controllano”. Qui si tratta, attraverso la lettura, di veri e propri incontri artistici e umani. Nel caso di Franzin, poi, parliamo di incontri esemplari con una poesia limpida che ci apre ai mondi di cui ci parla. E ritornando a questa nota, qui, abbiamo un poeta che parla di altro poeta. E sono due uominji che possono definirsi con questa sola parola: poeti. Senza bisogno di aggettivi. Grazie per essere confluiti anche nella mia storia personale.
    Nino

    "Mi piace"

  9. Carla Bariffi
    18/11/2015

    mi piace la semplicità nell’espressione poetica di Franzin
    ci accomuna la stessa ingenuità nel pensare
    e questo è altamente poetico!

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 28/10/2015 da in ospiti, poesia, poesia dialettale, recensioni con tag , , , .