di Marco Furia
“Libro Linteo – Titolo V – Mai Sempre”, di Enrica Salvaneschi e Silvio Endrighi, si apre su una “piazzetta appartata” descritta in maniera così precisa da richiamare l’ossimoro del titolo: tanta accuratezza evoca l’incerta dimensione del non (o non ancora) definito?
Il dire riesce a opporsi a ciò che resta indeterminato?
Sì e no, mi viene da pensare dopo aver letto questa intensissima prosa che non rinuncia al racconto sebbene sia conscia di certi insuperabili limiti.
Si legge a pagina 39:
“Nel dipartirsi degli anni in coincidenze, in declinazioni, in menomazioni, in movimenti e stasi, due giovani donne s’incontrarono, in uno stesso momento e in un identico punto museale”
e a pagina 40:
“Le due ragazze si estesero volentieri su questi aspetti personali, trasognando insieme: piacque loro scherzarsi, per ritrovarsi in un pregresso che attutisse la casualità del loro incontro. Ma presto si accorsero che stavano disquisendo sull’impalpabile, forse sul vacuo, e tornarono al quadro”.
Ci troviamo qui al cospetto dell’attenta analisi di un incontro dal quale emerge un senso del fortuito che rivela la propria natura generale ed emblematica.
L’umana esistenza è, dunque, una sorta d’inarrestabile fiume in cui l’accidentalità regna sovrana?
Non è forse vero, d’altronde, che ogni fiume segue un certo corso lungo certi argini?
Certo è vero, ma non dobbiamo dimenticare che anche corso e argini possono modificarsi e che, in ogni caso, l’acqua che scorre in un tratto non è mai la stessa.
Di raffinata ambivalenza è intrisa la peculiare atmosfera di questo complesso testo, la cui calibrata consapevolezza stilistica riesce a penetrare nascoste pieghe esistenziali illuminandone non secondari aspetti.
Ambivalenza, non ambiguità.
Il dire degli autori è sicuro, determinato, conscio di avere per argomento lineamenti articolati, per nulla semplici, della nostra vita.
Una vita considerata nei suoi aspetti sociali (si veda, ad esempio, a pagina 59:
“L’ironia feroce degli eventi, solita a nascondersi, fece sì che la scelta di Rosalba, dovuta al passato adulterino, fosse conferma agli occhi altrui, dopo la morte del coniuge, di un coniugio devoto e lineare. Ma questo è un dato così secondario, così trito, che non vale la pena di soffermarcisi: trasgressione perfetta perché ignorata dagli altri, perfezionata dal caso, sanzionata dalla società civile?”)
e, soprattutto, nei suoi sviluppi intimi (di seguito al brano appena citato, si legge:
“Può darsi, ma non è una novità: assai più c’importano le pieghe interiori”).
La coscienza dell’esserci è dunque protagonista di un racconto che analizza i fatti e tende a riferire di vivide contingenze proprie dei personaggi e, come dicevo, di tutti gli umani.
Tra vigile interesse e peregrinazione esistenziale si apre il poetico spazio in cui si colloca il testo in esame.
Un testo narrante e, nondimeno, privo d’inizio e fine (ricordo il “Mai Sempre” del titolo), poiché sa bene di essere anche riscrittura:
“Ma resistono, insistono, restano gli incontri; e non ci restano che riscritture, pur talora inconsapevoli di essere tali, perché inventate da chi riscrive”.
Ho usato la congiunzione “anche” perché se è vero che i temi fondamentali di poesia e prosa non sono poi così dissimili da quelli più antichi, è pur vero che diverse sensibilità hanno modificato modi e forme nel corso dei secoli e che, perciò, lo scrivere è, nello stesso tempo, uguale e differente.
L’importante è vedersi, riconoscersi nella propria scrittura, non tradire se stessi e rispettare gli altri promuovendo una proficua comunicazione: i nostri autori lo sanno bene.
Enrica Salvaneschi e Silvio Endrighi, Libro Linteo – Titolo V – Mai Sempre, Book Editore, 2015, pp. 106, euro 15,00