perìgeion

un atto di poesia

“Canti di cicale”, di Silvia Secco

di Guido Cupani

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Silvia Secco, Canti di cicale (Samuele editore 2015)

Conta quel che chiudi
          nel pugno.
Il cuore per esempio conta.

Mia madre sostiene
          del pugno
che sia l’unità di misura
                    del riso.

Se non stessi scrivendo una recensione, direi semplicemente che le poesie di Silvia Secco sono belle, e ci capiremmo. Ma in quest’epoca post-ironica sono costretto a cercare (a) un sinonimo meno trasparente (“misurate”, “lievi”), (b) una perifrasi che mi faccia sembrare più colto e complesso di quel che sono (“svaporano in una leggerezza che non occulta il dolore, ma per un attimo con delicatezza ce ne distrae”), (c) una metafora non necessariamente chiara (“pane appena cotto e spezzato”). Vi chiedo di comprendere e portare pazienza. Quel che intendo dire è che sono belle. Anzi, buone: buone da leggere.

A sera ricomponimi la parte
che esce con te al mattino dopo il bacio.
Il giorno intero è un allungarsi d’arti
a cercare le tue mani. Combacio io
perfettamente liscia a te aderente
alla superficie. Inumidiscimi
e riempimi la bocca di labbra. La fronte
nel cavo fra i seni. Colma, chiudimi.
E salda le tue crepe coi miei fili.
Ho trame supine per te, le intreccio
alle vertigini che hai. La tela
che si forma è un frutto, una mezzamela
esatta. L’una è la metà di niente,
sola, tu fondile in un’unica polpa.

Per esempio, Silvia Secco sa scrivere d’amore. Evita i comuni trabocchetti (vaghezza, uso smodato delle similitudini, pseudofilosofia, compiacimento sensuale, esibizionismo, ecc.) spingendosi fin sull’orlo: una parola in più e cascherebbe tutto. Invece no. Le forze si equilibrano, l’insieme è bilanciato. La poesia non sgambetta, non colpisce allo stomaco: accompagna, offre la mano. Anche la forma aiuta – questo, per dire, è un quasi sonetto. Solo i versi sdruccioli mi lasciano perplesso: contano undici ma valgono dieci, accentuativamente: è un errore? O forse non è vero che le tensioni siano del tutto risolte? Forse un piccolo sgambetto c’è?

L’altro cuore le spuntò senza rumore
Erano sere che anche la luna cresceva
e i capelli lunghi sui cuscini
e la luce pochi secondi al giorno
aumentava l’ombra sulla strada. Quando
se ne accorse le sembrò normale:
non sono forse doppi gli organi del volo?
Doppie le pupille, le narici, due come le mani.
Quando se ne accorse fu felice.
Il verso lo sentiva nella pancia.

La bellezza di questi versi è che non illudono e non deludono. Non ho letto le opere precedenti dell’autrice e posso immaginare che il suo percorso ascendente si stia ancora compiendo; ma non è una scalata faticosa, una ricerca spasmodica dell’effetto e del riconoscimento. Se l’obiettivo è la misura, Silvia Secco ha una voce già pienamente matura — una voce saggia come quella della nonna a cui il libro è dedicato, che si percepisce in absentia nelle battute complementari di un dialogo ininterrotto. Cose così fanno bene. Anche se l’epoca, chissà perché, impone di non dirlo apertamente.

7 commenti su ““Canti di cicale”, di Silvia Secco

  1. francesco sassetto
    25/11/2016

    raramente capita di leggere presentazioni-recensioni così brevi, apparentemene “semplici”, e così dense, capaci di centrare in pieno il cuore pulsante di un autore e della sua opera, complimenti Guido e complimenti Silvia! Verissimo che queste liriche non sono affatto “leggere” nè assolutamente “compiaciute”, anzi, esprimono una ricerca e una verità che continua a scandagliare fondali, anfratti, pieghe (iniziata già con “L’equilibrio della foglia in caduta”), con coraggio e determinazione, una poesia che non nasconde, ma svela tremori, perplessità, pieni e vuoti. Una poesia buona e saggia, certo, ma soprattutto, a mio modo di vedere, una poesia vera, che non teme di denudare realtà appaganti e ricche insieme a spazi vuoti e punti di domanda, dove anche l’esperienza d’amore, vitale e centrale, non è mai certezza raggiunta e riposante, ma continua spinta, tensione, fremito. Una poesia, appunto che non illude, ma alza gli occhi e chiude il pugno. Grazie a entrambi!

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    • guidoq
      25/11/2016

      Grazie a te, Francesco, per le tue note che integrano e completano quello che ho scritto.

      Piace a 2 people

    • silviasecco
      25/11/2016

      Grazie Francesco: le tue parole hanno accompagnato la mia poesia fin dall’inizio. Continui a farlo con cura ed attenzione. Ed amicizia, che è la cosa più preziosa.

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  2. silviasecco
    25/11/2016

    Voglio ringraziare immensamente Guido Cupani per le parole a segno di una lettura tanto profonda delle mie Cicale: la prima a notare l’uso (tanto caro per me) del verso sdrucciolo, che – certo che sì – sottolinea quanto sempre ci si senta sull’orlo e quanto si cada. Nella vita, che la poesia tenta di dire. Grazie a Guido per il “pane”: altra immagine che tengo stretta fra le cose preziose. Grazie.

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  3. ninoiacovella
    26/11/2016

    “Silvia Secco sa scrivere d’amore. Evita i comuni trabocchetti (vaghezza, uso smodato delle similitudini, pseudofilosofia, compiacimento sensuale, esibizionismo, ecc.) spingendosi fin sull’orlo: una parola in più e cascherebbe tutto.”
    Condivido questa felice definizione della tua poesia fatta da Guido. Una felice scoperta.
    Nino

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Questa voce è stata pubblicata il 25/11/2016 da in 3×100 con tag , , .