di Francesco Tomada
Una telefonata di mattina (La Vita Felice) segna il ritorno alla pubblicazione di Anna Toscano a quattro anni di distanza da Doso la polvere, pubblicato dalla medesima casa editrice: si tratta di una raccolta composta da una quarantina di testi inediti e da alcuni estratti da All’ora dei pasti e da Controsole, libri usciti rispettivamente nel 2007 e nel 2004. La presenza di queste poesie, che probabilmente sono oggi di difficile reperibilità, ha l’indubbio pregio di permettere di cogliere gli elementi di continuità e l’evoluzione dell’autrice veneziana, e dunque di intuirne una traiettoria che appare consolidata e radicata nel tempo. Rispetto a quell’universo di rapporti umani e di introspezione che caratterizzava le raccolte precedenti, Una telefonata di mattina mantiene vive e anzi approfondisce le tematiche essenziali, ma aggiunge come caratterizzante l’elemento del viaggio: è un viaggio geografico, soprattutto verso quell’America Latina così presente con la città di San Paolo, che però introduce ad un viaggio interiore alla ricerca di un ritorno, di un ricordo, di un luogo dove persone e oggetti possano diventare realtà oppure memoria. “Rendo morbidi i ricordi”, scrive infatti Anna Toscano, e sembra che in qualche modo cerchi davvero di trattenere l’essenziale di ciò che è stato, il temperamatite del padre, un amore dell’adolescenza, i gesti della nonna mentre cucina. Così, proprio mentre l’autrice sembra perdersi nella grandezza smisurata delle città (“mi confondo, perdo l’orientamento: / essere ovunque e in nessun posto / la domenica pomeriggio” oppure “ il mondo non è Sampa, ma Sampa è il mondo”), da lontano chiama anche la vicinanza con Venezia, e soprattutto con le persone amate. In mezzo a questa distanza cresce Una telefonata di mattina, così come vive nella consapevolezza del passare irripetibile del tempo e di un’età che non è più quella dell’adolescenza, un’età in cui diventa necessario buttare il superfluo ma trattenere ciò che è fondamentale. “La mia testa è come / la mia casa / oggetti sparsi / pensieri in disordine”: Anna Toscano sembra suggerire che il disordine è durato a lungo, che molte ferite e cicatrici si sono accumulate dentro (“le cicatrici le ho rammendate / forse con del filo spinato”), e che oggi si avverte il desiderio di tornare “dove tutto ha un senso”.
L’autrice veneziana però evita il rischio di una poesia che appare facilmente conciliante e pacificatoria, anzi è vero l’opposto: la tensione spesso si risolve in una sorta di cinismo più apparente che reale, che ha il sapore di una protezione (“Il cuore? Lo vorrei / dentro una scatola di scarpe / in un armadio a muro. / Lo sentirei battere / dall’androne di casa, / sapere che funziona, / che sono viva. / Altro da sentire non chiedo”) oppure si stempera in versi che sdrammatizzano il proprio contenuto assumendo l’andamento di ironiche filastrocche (“ Ci sono mogli che si prostituiscono / amanti che vogliono figli / preti col perizoma in tasca / pesci che emigrano in una vasca”). In questo affresco volutamente frammentario – perché vuole esprimere frammentazione – spiccano ancora con maggiore forza i momenti più intimi, proprio perché si comprende quale sia il prezzo dell’intimità in termini di rinuncia alle proprie difese, in termini di fiducia nell’altro quando si scrive “amarsi per sempre / mi pare impossibile” per poi aggiungere (con fatica più che con umorismo) “ma da una certa età / in poi, probabile, / in fin dei conti”; soprattutto in Una telefonata di mattina spicca forte come un grido quel vorrei “una vita, insomma, / con dei perché” che è aspirazione personale, certo, ma anche di una società umana che della frammentazione ha fatto, consapevolmente o meno, la propria dimora.
***
Io con le parole
Io con le parole faccio cose
con le parole svuoto una stanza
con le parole compio una danza
cucino un risotto, vado al ridotto.
Con le cose faccio parole:
scelgo un baule
e lo riempio di sillabe nuove.
Ora
Ora mi domando se
godermi e vivermi la vita
potesse essere altro
di quel correre
da un capo
all’altro
delle cose.
(San Paolo, 4 luglio 2013)
Un tempo
Un tempo mi chiedevo
perché non potessi avere
dieci occhi dieci mani
cinque vite tre cuori
quante orecchie, non lo so.
Oggi mi chiedo perché
due occhi, uno mi basta
perché due orecchie, uno
mi basta. Tante vite?
diomio già una è abbastanza.
Il cuore? Lo vorrei
dentro una scatola da scarpe
in un armadio a muro.
Lo sentirei battere
dall’androne di casa,
saprei che funziona,
che sono viva.
Altro da sentire non chiedo.
Tutto sta lì
Tutto sta lì
nel cucchiaio dell’impasto
tra le uvette sparse sul tavolo
e tu, nonna, seduta sullo sgabello
tra le ginocchia la pentola alta
con fatica mescoli
dal mestolo fai scivolare
nell’olio bollente
scegli l’istante
per togliere e
posare sul vassoio
zucchero col setaccino
il sorriso di chi ce l’ha fatta,
anche quest’anno.
La fatica e la gioia,
le tue frittelle un’epifania.
Come vorrei
Come vorrei esserti più vicina
un caffè un cinema
una telefonata di mattina
per dire poi passo
o per sentire
prendo lo scooter
e vengo da te.
Una vita, insomma,
con dei perché.
Chi la racconterà
Chi la racconterà domani
la storia dei migranti di oggi
chi tra loro ce la farà
chi tra loro potrà mettere in versi
narrare, dipingere, scolpire
l’inferno di questi loro giorni
le barche, i cadaveri, i disperati,
le frontiere spinate, i chilometri a piedi,
nelle stive, nei furgoni, gli insulti
l’odio e le mani tese
per poter vivere, per poter testimoniare.
Leggeremo pensando sì mi ricordo
ma avevo figli, il mutuo, problemi al lavoro,
non stavo bene, ero in vacanza,
sì mi ricordo ma non mi riguardava
l’orrore accanto a me.
Chi domani leggerà
non avrà scuse
per le colpe di oggi.
Ti parlo
Ti parlo da questa umida notte,
una notte delle solite.
Sono sceso perché non dormo più.
Il tempo di entrare in casa che già ero fuori.
Sto qui seduto a mandarti messaggi a cui non rispondi,
a leggere messaggi che non mi hai spedito.
A scriverti che le notti ora sono così,
sanno di fritto rancido e di detersivo
a basso costo per pavimenti.
A non ascoltare gli altri ma
ad aver bisogno del loro rumore.
A guardare le macchine passare,
guardarci dentro per cercarti.
A contare i pullman che tornano dall’aeroporto,
ad aspettare di vedere il tuo viso al finestrino.
Ma che tu sia nel mondo o qui è lo stesso,
perché Sampa ne contiene tutti i fusi orari
le razze i generi i suoni i cieli le nuvole i venti i toni i colori gli odori.
Sono le regole intransitive della vita:
il mondo non è Sampa, ma Sampa è il mondo.
Tu a non scrivermi, io a leggerti.
Tu a non tornare, io ad aspettarti.
***
Vi è della musica dentro queste parole, vita…desiderio di piccole cose;
D’innamorarsi
È uno sguardo verso il mondo, all’uomo che soffre…
Complimenti ad Anna Toscano
Grazie
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