a cura di Roberto R. Corsi
Pubblico undici poesie dall’ultima raccolta di Roberto Cogo, risalente al 2016; l’opera, come le precedenti, è liberamente scaricabile dal sito dell’Autore.
Il polisenso del lemma usato nel titolo non vi svii verso rappresentazioni callipigie: “sedere” è qui l’atto del posarsi per meditare, per focalizzare il quotidiano, raffreddare i circuiti nervosi, comprimere l’oggetto del pensiero tendendo a quel “non pensare a nulla” che “è Zen” (Bodhidharma). Esperienza importante, anzi necessaria e salvifica per una persona cui la vita cambia improvvisamente: un improvviso attacco, al risveglio, spalanca a Roberto un vaso di Pandora il cui contenuto di ansia e panico lo ghermisce per un lungo periodo, colpendolo nel profondo delle sue passioni (compresa quella poetica), invalidandolo nella capacità di relazionarsi, nel lavoro e nella poesia. In breve, nell’attaccamento alla vita. Grazie alla psicoterapia, alla pratica della meditazione e al progressivo conforto di un amore storico, quello per la natura (montana, marittima, fluviale-natatoria) le cose – non senza dubbi iniziali – migliorano e la nuova consapevolezza fa riaffiorare con sé anche questo corpus di 100 poesie, che Cogo definisce con modestia “scorie”, covando la speranza che possano aiutare qualcuno dei tanti che finiscono in balia del “mostro con gli occhi viola”.
…Scorie? Al contrario: rispetto ad alcune prove più risalenti che conoscevo (Deora dé, Dell’immergersi e nuotare), Sedere rappresenta a mio avviso un deciso passo in avanti. Non è facile giudicare unitariamente un’opera double size rispetto all’abituale lunghezza delle raccolte; un centone poetico comporta ovviamente pluralità di registri ed esiti; ma ho molto apprezzato proprio i passaggi meno “pensati”, più narrativi, insieme a notevolissime vedute paesaggistiche che, oltre alla funzione descrittiva, hanno quasi una valenza di strumento meditativo.
***
zero
Il punto di contatto tra tempo ed esistenza
è proprio l’istante stesso dell’azione: qui e ora.
Shōbōgenzō
si tratta di iniziare qualcosa
si tratta di far scorrere la punta della penna
di ripartire un’altra volta ancora
per un viaggio senza fine, né principio
seguendo il movimento della mente
riconoscere il danno che ha battuto e tramortito
aumentando a dismisura ogni timore
fino a un punto mai toccato prima
il morbo s’aggirava in incognito, senza nome
in apparenza senza storia, senza origine
ignorato eppure prevedibile
incanalatasi sottopelle come un virus, un insetto
una piaga schiusasi all’esterno
per poi sfumare negli anfratti del momento
il morbo reclamava possesso a scapito del mondo
pretese controllo, imponendo inerzia e distacco
questo mostro picchiò duro sul sonno imminente
spaccò gli occhi con il terrore
risucchiando in un vortice il ricordo, la paura
centrifugando il contatto, la passione, la presenza
questo mostro senz’occhi, senza corpo
questa nebbia senza suono, senz’ombra
questo velluto limita il contatto attutendo, ostruendo
obbliga al ritiro, induce al silenzio, provoca il supplizio
la rinuncia, la sconfitta, il martirio
è adesso il tempo di aprire al nuovo dubbio
di incontrare il mostro, il morbo ignoto, il duro
fischio che invade il mondo
qui e adesso è l’angolo e la svolta
il cambiamento che bussa, la ricerca dello spiraglio
l’entrata, l’uscita
l’extra-modo di tradurre una storia in vita
*
due
The Crooked Spire
vivendo mesi sospesi come i morti ai margini del bosco
dove le ultime lucciole riparano nel folto
sul ciglio di stradine di ghiaia in discesa verso il torrente
immagini un giorno lieto a rovinare nel pozzo del malcontento
tutto il peso trascinato lungo i vicoli di Chesterfield
alla piazza del mercato, sulla torre piegata dai demoni
immagini spiriti diabolici al solo pensiero di sdraiarti sull’erba
ti accompagna il dubbio di esistere
anche solo indugiare significa saperti integralmente perduto
*
otto
per anni ho provato a descrivere l’esperienza diretta
l’urlo inaudito della poesia
anni e anni di esperimenti rivolti al dato imprevisto
all’indicibile gemma sul ramo
*
dieci
…quello stato rassicurante
ma di profonda insoddisfazione,
conosciuto come ‘avere la testa a posto’.
A. Huxley
presto una nuda attenzione a ciò che passa
ma non rimane
presto la mia attenzione a ciò che accade
in questo istante
attenzione spogliata da ogni pretesa
nessun giudizio, nessuna intenzione
così che l’attenzione sia la cosa osservata
*
tredici
considera la natura come il fatto primo dell’esperienza
l’illuminazione come alto grado di consapevolezza
la realtà totale nella sua diversità e immanenza
considera il monte trizza sotto alle suole degli scarponi
il castrazzano per i tortuosi sentieri poco battuti
la visione dal civillina al culmine della fatica
giovanni per i suoi silenzi | oscar per le sue esplosioni
*
ventinove
Fabio, Alessandra, Jacopo
ieri il livenza mi parlò dei verdi anni trascorsi a serpeggiare nei campi
delle virtù nascoste tra i rami dei salici sulla riva
le grandi ali dell’airone cinerino
le anatre sparate in cielo come proiettili d’argento
alla ricerca di niente
ieri il livenza mi sussurrò all’orecchio di alluvioni, di fiori ignoti
cresciuti sull’argine piatto tra un declivio e un altro
poi mi disse di amare i confini e il vento
di non frequentare re o imperatori
*
cinquantadue
Kinhin
il ritmo
il battito dell’onda
un flusso continuo, ostinato
il verdazzurro profondo Adriatico
separa la sabbia in granuli, uno per uno
scompone la serie e s’influtta nell’organismo
poi rincasa e infine s’accuccia nella mente estesa
s’affida
alla posizione
al respiro, alla costanza
alla sostanza indivisibile, perenne
alla prassi continua nell’impermanenza
mentre tutto permea e trasfonde nel battito
dell’onda, qui adesso nella sua corsa senza tregua
*
cinquantacinque
nuvolaglia spersa tra le penombre con momenti di luce abbagliante
lo scrivere si fa improvviso s’increspa con le onde dopo un tuffo nella corrente
allegria di spruzzi e bolle e schiume tra sevizie di rocce
nel calo rinnovato della luce s’oscura un fondo di sassolini ribelli
poi ancora il verde a inghiottire tutto il velluto della sciolta superficie
tra un secondo saremo tutti più vecchi
*
sessantaquattro
W. Pater, H. Bloom, W. Shakespeare, W. Stevens
con un ronzio di pensieri elusivi
la poesia dovrebbe
rinnovare i contorni sottili alle parole
ripristinando lo strano del senso
in una serie d’improbabili storture
la poesia dovrebbe
assumere l’altro, il diverso
solo accogliendo, senza prendere o simulare
con calma, pazienza e grande indifferenza
la poesia dovrebbe
reggere il cielo sulle spalle
scolarsi una birra sedendo con chiunque
nell’imperfezione del suo paradiso
la poesia dovrebbe
ricordare a giovani e fanciulle d’oro
come allo spazzacamino
del pugno di polvere che tutti siamo
*
settanta
La prassi assidua.
Dōgen Zenji
semplicemente sedere
il busto eretto
le gambe incrociate
corpo e mente lasciati cadere
il respiro qui e adesso
i piedi saldati a terra
camminare a ritmo
passo e respiro
tracciare le orme
come verdi zolle di luce
infiorare la via
*
novantasette
sviluppando un’idea molto semplice d’esistenza
resto a guardare una coppia d’anatre intente a vivere
lungo il corso del torrente
l’acqua fresca e pulita, le ombre degli alberi
gli arbusti in proiezione dalla riva
anfratti di roccia e piccole spiagge sassose
riposano sicure nelle piccole anse di sabbia e fango
non chiedono altro che essere lasciate in pace
non chiedono che rispetto
di vivere soltanto un’esistenza tirata all’osso
__________
Il sito di Roberto Cogo da cui è possibile scaricare le sue opere.
Il fotoritratto è di Remigio Gabellini – fonte internet – utilizzo consentito dal Poeta.
Pingback: Roberto Cogo, Sedere. Qui e ora | Roberto R. Corsi
Grazie ad entrambi !!!
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Che belle poesie. Specie la novantasette. Ti ringrazio, Roberto. Massimiliano
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