di Francesco Tomada
Paolo Coceancig è nato a Gorizia, la città dove adesso vivo, ma da molto risiede a Bologna. Ed è amico da anni di un mio caro amico, che me ne aveva parlato spesso in termini entusiastici, come persona e come scrittore. Però non ci eravamo mai incontrati davvero fino a pochi mesi fa; ed è stata una scoperta illuminante.
La poesia di Paolo, autore discontinuo nella produzione ma non nella qualità, sa fare uso dell’italiano e del friulano (nella varietà del parlato isontino) ed è una poesia che rassomiglia in tutto e per tutto al suo autore: schietta, diretta, politicamente impegnata ed al tempo stesso capace di fare propria la lezione dei maestri come Pier Paolo Pasolini e Federico Tavan, il matto di Andreis. Vive di spigoli, trasforma la propria ingenuità in forza, e per usare una parola cara all’autore non ha paura di diventare meticcia pur mantenendo una forte identità.
Notevolissimo è inoltre il lavoro di Paolo Coceancig come scrittore di articoli per le riviste con cui collabora, che troverete segnalate in fondo.
La prima delle poesie proposte è stata tradotta in friulano da Marc Tibaldi, dunque a differenza delle altre è scritta nella variante del Friuli occidentale.
LIS ANIMIS SI INGLAZIN SE NO SI RîT
Cuissà mai se bastin
lis imagjnis…
o cjali e o viôt cori
salustris picjâts
a fii di metal,
ch’al sedi teatri
chist inutil voltasi indaûr?
chist spirtât voltasi indaûr?
jo no sai cui che tu sês…
al è stramp,
l’ultin spetacul
il sun par ledrôs
su lis ruis dal pôc restât,
amancul ch’o fossin lamieris…
al sarès biel
spacolâts dal svint
creâ rumôrs.
Le anime gelano se non si ride
Chissà se bastano le immagini…\ guardo e vedo correre \ chiaroscuri appesi \ a fili di metallo, \ che sia teatro \ quest’inutile voltarsi all’indietro? \ questo ossessivo voltarsi all’indietro? \ sai chi sono?\ io non so chi sei… \ è strano, \ l’ultimo spettacolo il sogno a ritroso \ sulle rughe del poco rimasto,\ almeno fossimo lamiere… \ sarebbe bello \ agitati dal vento \ creare rumori.
***
ARBA
Ta l’arba
tocs di len,
sun di grii
e maglis
di làgrima indurida,
cros i cuarps…
par cressi
basta sta fers,
pojasi sul timp,
lasalu là.
Erba
Tra l’erba / pezzi di legno / suono di grilli/ e macchie/di lacrima indurita, / nudi i corpi… / per crescere / basta stare fermi / posarsi sul tempo / lasciarlo andare.
***
TRAMÒNT NAPOLETÀN
Imbambinîsi tor di che balada,
inzenoglâsi davànt al timp
che rint simpri plui scûr il mar.
jera dì di buràs’cia e i vecjos lu san,
no si po’ obleâ il zil
a jessi par dut compàgn.
al vaìva il sunadôr
ciantant di muars
e da so òngula ferida
fra lis cuardis.
Tramonto napoletano
Rimbambirsi in quella ballata, / inginocchiarsi davanti al tempo / che rende sempre più buio il mare. / era giorno di burrasca / e i vecchi lo sanno, / non si può obbligare il cielo / a essere dappertutto uguale. //
piangeva il suonatore / cantando di morti / e della sua unghia ferita / fra le corde.
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CRISTINIZZA SUADA (a P.P.P.)
Maluseria par dut, di un toc di strada
mi ricuardi che jera scura,
gi slicavi parsora come una lenga
che zir un’altra,
buna gnot pai da lus,
soi un toc di ciar
che vài dome quant c’al timp al mur,
soi un svuàl di vita za lada
e voi cui voi, cui voi voi
viars una gnova ploja di tiara.
Cristinizza suada che a chei di uè
no tu gi das plui siums,
Cristinizza crota,
nissùn toc di len ti slica sul grop auè,
lu sai,
ma instess quant ca va via il lusor
di tant in tant
chist to vècio navigador
ven a poiati parsora i voi,
e cussì deventin come doi amans di bòcia buna
che quant ca si ciàtin no son plui di bessoi.
Cristinizza prosciugata
Tristezza dappertutto, di un pezzo di strada \ mi ricordo ch’era buia, \ gli scivolavo sopra come una lingua \ che cerca un’altra, \ buonanotte pali della luce, \ sono un pezzo di carne\ che piange solo quando il tempo muore, \ sono un volo di vita già passata \ e vado con gli occhi, con gli occhi vado \ verso una nuova pioggia di terra. \ Cristinizza prosciugata che ai ragazzi di oggi \ non regali più sogni, Cristinizza nuda, \ nessun pezzo di legno oggi ti scorre sopra, \ lo so,\ ma lo stesso quando scurisce/ di tanto in tanto,/ questo tuo vecchio navigatore \ viene a trovarti \ e così diventiamo come due amanti di boccabuona \ che quando si incontrano non sono più da soli.
***
IL MAT DI ANDREIS
Ma zimut jastu fat
cun chei voi cussì pizui
drenti un ciaf cussì grant
a viodi cussì lontan?
Federico,
ancia jo soj mat
e propi come te
ancia jo vueli murì
prima dal frut che drenti di me
no ul savé di sparì.
Il matto di Andreis
Ma come hai fatto/con quegli occhi così piccoli/dentro una testa così grande/a vedere così lontano?/Federico/anch’io sono matto/ e proprio come te/anch’io spero di morire /prima del bimbo che dentro di me/ non vuol saperne di sparire.
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FATE L’AMORE E NON LA GUERRA
fate l’amore con genti d’altre terre
generate sangue misto
e meticciato
proponete ai vostri figli
di fare altrettanto
e ai loro figli ancora
fino a quando
nessuno saprà più
da dove viene
fino a quando nessuno avrà più
un posto da dove viene,
fino a quando nessuno avrà più
una terra da difendere
e neanche un grumo di sangue puro
nelle vene.
***
Paolo Coceancig è nato a Gorizia nel 1964. Da più di trent’anni vive e lavora a Bologna.
Segnalato nella sezione “Poesia” della Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo (Bologna, 1988), comincia a fare letture pubbliche in locali e manifestazioni della città. Pubblica su varie riviste: “I Quaderni del Battello Ebbro”, “Opposizioni”, “Private”, “Mongolfiera” ecc.
Appare nelle antologie “Bologna e i suoi poeti” curata da Carla Castelli e Gilberto Centi (EM Parole in libertà, 1991) e “Rzzzzz!” a cura di Sergio Rotino (Transeuropa, 1993)
E’ del 1991 il suo esordio letterario, la raccolta “Graffiti graffiati”.
Laureatosi al DAMS con una tesi sul teatro dialettale friulano e in particolare sull’opera del giovane Pasolini, in quegli stessi anni comincia a scrivere anche nella parlata delle sue origini, pubblicando testi in friulano su Usmis e La Patrie dal Friul.
Dopo parecchi anni di volontario esilio dalla parola scritta, si è di recente riavvicinato alla poesia. Suoi nuovi versi compaiono nella pubblicazione collettiva “Parole Sante” (Kurumuni 2015).
Scrive di tematiche sociali e attualità politica su piattaforme multimediali indipendenti come Globalproject e Leila.
Da alcuni anni cura e conduce insieme con altri una trasmissione sui temi del welfare a Radio Kairos Bologna.
Con la raccolta inedita “Taccuini dell’inconsistenza” è stato selezionato tra i finalisti della prima edizione del premio letterario Orlando (2013).
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…”..non si può obbligare il cielo ad essere tutto uguale…”
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Mi piace il suo modo, l’ultima poesia é davvero bella, intensa significativa
Grazie
.marta
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Davvero una scoperta illuminante. Grazie.
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L’ha ribloggato su vengodalmare.
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Io penso che il dialetto sia uno strumento molto efficace per parlare musicalmente con le proprie emozioni; ascoltarla poi, è come assistere a un concerto. Veramente bravo! Ho ascoltato per molti anni la poesia dialettale, e la domanda che si porta dietro: se è una lingua o un linguaggio, lascia ai posteri la risposta, perché noi possiamo godere di queste note parlate e suonate con gli strumenti dell’anima.
Giudici diceva che scrivere in dialetto è come nuotare con le pinne, e probabilmente aveva ragione, ma come si fa a non inebriarsi di queste melodie sempre a cavallo della ragione e dell’ironia, sempre in ascesa per farci alzare con lo sguardo all’insù, tanto è leggera nel suo elevarsi.
Grazie dei poeti che ci fai conoscere !
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Testi meravigliosi.
Il Friuli non tradisce mai…
Grazie Francesco.
Nino
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Grande Paolo! Come sempre… 😉
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