di Francesco Tomada
È un libro con gli occhi fissi nel presente e le radici ben piantate nel passato A chi scorre (Qudu), la seconda raccolta di Cristina Micelli, pubblicata a sei anni di distanza da Stato di veglia (Dot.com Press) del 2011. Il lasso di tempo trascorso, va detto subito, ha dato i suoi frutti, ed è servito all’autrice friulana, che già aveva così ben impressionato con il suo esordio, di rafforzare la propria cifra stilistica, evidenziando in misura ancora più definita i punti di forza della sua poesia. E’ servito anche per intraprendere nuove strade, forse ancora più decise e coraggiose: così è ad esempio nella sezione iniziale Performance, un insieme di brevi componimenti aspri nella loro critica contro l’etica del profitto e del successo (morali ma senza diventare moralistici), oppure nella breve sezione Profughi, primavera 2015, dove il tema spinoso dei migranti viene affrontato con attenzione e cura evitando il rischio di un facile pietismo.
Al di là della personalità nel trattare di tematiche “civili” in modo così personale, il pregio della scrittura di Cristina Micelli emerge prepotentemente nelle altre sezioni del volume, e risiede nella capacità di disegnare un tempo sospeso fra passato e presente eppure definito nel suo esserci “ora e qui”. La protagonista (spesso implicita) è una donna: “la donna che scrive a matita / ha un’età vicina a quand’era bambina / ha l’età di sua madre, l’età di sua figlia”; è una donna che cerca “il seme che ci amalgama”, che “pensa a come fare luce in una stanza buia”, che tenta di “fare casa”. In qualche modo è sempre la voce di questa donna che ci parla di un nonno in una campo di prigionia mentre arrotola le sue sigarette, così come di una figlia che ascolta Gorillaz e Arctic Monkeys in un tempo che è decenni più tardi.
Se ha un significato parlare di poesia femminile nel 2017, esso risiede proprio in questo tipo di sguardo e di sensibilità che è poi quello che permette di tenere assieme una famiglia come un territorio intero: è la tenacia di chi lega e si prende cura delle cose, di chi costruisce la memoria ma intanto è capace di vivere l’adesso e di raccontarlo con un italiano che a volte trova la sicurezza di rime e assonanze, altre invece si piega quasi dimenticando le regole sintattiche a favore di una evocatività assoluta; oppure, come nell’ultimo meraviglioso testo che chiude la raccolta, ritorna alla tradizione del friulano per raccontare di concerti di musica balcanica, reggae e grunge, attraversando tutta la geografia e la storia di un’intera regione.
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La donna che scrive a matita
ha un’età vicina a quand’era bambina
ha l’età di sua madre, l’età di sua figlia.
Ha letto le pietre nelle trincee
e le storie degli uomini seduti di fronte
ha mangiato bacche
visitato più volte la stessa cascata
ha messo i piedi nella rugiada
per sentire quanto è fonda la rinascita.
***
La consegna del silenzio
Nella scatola che gli avrebbe spedito
lei ci metteva il pane seccato
e qualche briciola di sé.
Ma nelle lettere lui chiedeva sigarette
per barattarle col cibo nel campo di prigionia.
E tornare era pure restare
nelle bucce di patate rubate ai maiali.
E tornare un giorno da solo
il viso più gonfio che magro
un silenzio gettato lontano
a chi gli chiedeva com’era andata.
E le sue vetrate a spartire
il tabacco nelle cartine
a specchiare il capo chinato sulle dita
nel gesto uguale che avete anche voi
di arrotolare la ferita
e il trinciato che cade non dice
quale guerra vi trincèra via.
***
Stendi per terra una tela ocra
e fai un quadro del mondo che cambia
metti l’orizzonte curvo di Ushuaia
l’iride argentata e l’impronta della rana
annaffia con foglie del Carso e con terrano
sale quanto basta e mescola quanto occorre
sulla fiamma bassa fino a che evapora piano ogni dolore.
***
Non mi serve aiuto, sto da Dio
so cavarmela da solo col mio odio.
Mi hanno detto fai l’elenco
delle cose che ti fanno stare bene
ma io non ho cose che mi fanno stare bene
non tu e i fiori che mi porti
non la sedia fuori e nemmeno gli integratori
non l’arrampicata di un’escursione
non gli occhi e il mondo dentro
io rifiuto il cielo e le persone
lasciami in pace nel muso duro del rancore.
Se nel contrasto c’è evoluzione
se restare è una sorpresa per il dolore
come le lucciole tornate quest’anno nella radura
lei pensa a come fare luce in una stanza buia.
***
Niente le fa paura
vive la parte illuminata della luna
le braccia in alto nei disegni di Banksy
balla i Gorillaz, gli Arctic Monkeys.
Sul corpo acerbo di unknown pleasures
vuole tatuarsi i Joy Division
come il poster nero in camera sua.
Solo la finestra è rimasta vetro
tale e quale cielo
così è il pretesto per buttarsi fuori
quando il tuono s’intona col viola
il temporale è una folata e chiama
lo stupore che fa alzare la guancia.
Vieni a vedere, mamma.
***
On the road cumò
Un cuart di lune a bale te plane di Muçane
une fisarmoniche like Negresses Vertes
mi fâs euforiche come dut ce ch’al ven di te.
E tu zirant lizere tal polvar di stelis
une cotule folk tal font dal Cormôr
e plui innà l’aiar Balkanbrass dal Cjars.
On the road cumò te tangjenziâl a nord
No borders music par nô che sin avonde borderline.
E par te che no tu sês mai content
el dub de grave dal forment
el free-style dal Tiliment.
Un sbilf di Osôf al tire fûr Sunsplash di sot
un’onde anomale si alce te dorsâl de Cjargne
el Grunge di Seattle tun garage di Davâr.
Le tô premure di jessi simpri in ritart.
Un inzirli di cjavei ta le muse
tenmi strente a le lune.
On the road adesso
Un quarto di luna danza nella piana di Muzzana / una fisarmonica like Negresses Vertes / mi fa euforica come tutto ciò che viene da te / E tu roteando con la polvere di stelle / una gonna folk nel fondo del Cormôr / e più oltre il vento Balkanbrass del Carso // On the road adesso sulla tangenziale a nord / No borders music per noi che siamo piuttosto borderline / E per te che non sei mai contento / il dub del greto del frumento / il free-style del Tagliamento // Un folletto di Osoppo estrae Sunsplash da sotto / un’onda anomala si alza sulla dorsale della Carnia // il Grunge di Seattle in un garage di Ovaro. / La tua premura di essere sempre in ritardo / un capogiro di capelli sul viso/ stringimi forte alla luna.
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“Non mi serve niente, sto da dio”
è un testo a cui secondo me può andar bene un titolo come Closer tanto per rimanere con le orecchie sui Joy Division
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Trovo sempre difficile dare i titoli alle poesie. Preferisco dare il nome alle sezioni dove poi le raggruppo.. Comunque Closer ci sta. Ciao.
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L’ha ribloggato su La lanterna del pescatore.
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Grazie Giorgio
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Libro notevole, intelligente, con guizzi decisivi.
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Grazie Marco
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L’ultima in friulano è davvero straordinaria.
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Anche se oggi fa un pò di freddo non è per questo che sento dei brividi, un tremolio.Sono i versi struggenti di Cristina Micelli, rigorosi,essenziali ma pieni di pathos e di pregevole respiro poetico.
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