“Il tempo del consistere”, di Gianfranco Fabbri, è una raccolta di scritti dall’evidente valenza poetica.
Il tema dell’intenso, ma scorrevole, volumetto appare già richiamato dalla “elaborazione grafica dell’autore”, riprodotta in copertina, che mostra un quadrante di orologio di cui, per così dire, entrano a far parte individui fotografati in strada nei primi anni cinquanta del secolo scorso: il passato è, o in ogni modo può essere, attuale nel ricordo.
Ricordo di nevicate
“Il sentimento della neve è simile al suo colore”,
di giochi infantili
“Il gioco, sì.
Una speculazione come un’altra che la memoria ingigantisce”,
di gare ciclistiche
“Quand’ero piccolo nell’ascoltare alla radio il Giro d’Italia si
poteva dire: sono in paradiso!”.
Il presente, poi, in tutti i suoi aspetti, anche quelli quotidiani, è rivolto a un incerto futuro:
“Ogni volta che mi allaccio le scarpe, al mattino, ripenso a
Giorgio Manganelli, il quale divideva con me l’incertezza di
tale operazione. Esito quanto mai labile: reggerà o no, la
stringa? Ed io, sottintende la domanda, terrò per tutto il
santo giorno?”.
Il tempo scandisce la nostra vita: può sembrare un’affermazione banale ma per il Nostro non lo è.
Per lui il trascorrere dei giorni è una sorta di persistenza continua da cui emerge, adesso, un passato rivolto a un futuro che si annulla negli attimi appena trascorsi.
Una sorta di esistenzialismo enigmatico è presente ovunque nelle pagine di un libro in cui la nostalgia viene mitigata da un poetico senso dell’esserci comunque.
A mio avviso, da un’esigenza di testimonianza nasce questa intensa sequenza d’immagini, di dichiarazioni, di confessioni, in cui la Storia diviene, molto umanamente, storia con l’esse minuscola.
Attenzione, però: non siamo al cospetto di una propensione a ridimensionare, bensì di una determinata tendenza a prendere atto.
L’autore constata e il risultato del suo attento osservare è quel tipo di partecipe descrizione chiamata poesia.
Si legge a pagina 78:
“Qui non contano i giorni, il loro avvicendarsi. È importante
invece lo stato dei fatti; quell’impercettibile movimento che
spesso trascende lo stupore”.
In un “impercettibile movimento”, eguale eppure diverso, replicato infinite volte, consiste la nostra vita che, vero e proprio “stato dei fatti”, non può essere spiegata una volta per sempre, ma va assiduamente descritta, narrata.
Si legge a pagina 96:
“Ma di me non saprei cosa dire: non più oramai nel gorgo
della giovinezza; ché parole ne sono volate, ed altre ancora
ne passeranno sopra il cielo”.
Sincera dichiarazione.
È da notare, però, che se Gianfranco di sé non sa “cosa dire”, del tempo suo e dei suoi simili riesce a parlare con sensibilità ed efficacia, mostrando di essere ben coscio dei limiti e dell’importanza del linguaggio.
Linguaggio inteso in senso davvero ampio:
“Anche una forte nevicata avrà la sua bella sintassi”.
Gianfranco Fabbri, Il tempo del consistere, L’arcolaio, Forlimpopoli (FC), 2016, pp. 110, euro 12,00
Grazie all’ottimo Marco Furia e grazie ai redattori di Perigeion! Vostro Gianfranco!
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