di Francesco Tomada
Non si può dire che Francesca Genti e Manuela Dago, le due brillanti ideatrici della splendida esperienza di Sartoria Utopia, abbiano peccato di protagonismo all’interno del percorso della piccola ma originalissima casa editrice: prima di pubblicare i propri lavori, infatti, hanno aspettato decisamente a lungo, dedicando le loro attenzioni ad altri autori. Finalmente nel 2017 ha visto la luce Poesie che non mi stavano da nessuna parte, che rappresenta la raccolta d’esordio di Manuela Dago; sottolineo il “finalmente”, perché da anni Manuela scrive poesie di valore con un linguaggio brillante e personale, ed era davvero tempo che alcune di queste venissero riunite in volume.
Il titolo – indicativo dell’understatement autoironico dell’autrice – è a suo modo volutamente fuorviante, perché queste poesie nel libro ci stanno benissimo, anche quando la lingua di Manuela Dago si piega in registri espressivi diversi. Da un lato, infatti, spicca un nutrito manipolo di composizioni brevissime, quasi epigrammatiche, fulminanti nella loro essenzialità; dall’altro alcuni testi si allungano, ed in questi la lingua si fa appena più distesa, privilegiando l’attraversamento della profondità dei sentimenti e delle sensazioni rispetto al brillare di una singola immagine, pur sempre con un andamento ondulato e difficilmente prevedibile nel suo sviluppo.
se non vi resta
più neanche un muro dove sbattere la testa
cosa resta?
la fame resta
resta la sete
e quel che è peggio
resta la testa
La poesia di Manuela Dago è così: verrebbe da dire quasi infantile in apparenza, se non fosse che si tratta di un’infantilità matura, di una consapevolezza dove il senso dell’assurdo spesso serve ad evidenziare un malessere, una mancanza tutt’altro che superficiale. Il nonsense si cortocircuita e diventa esso stesso foriero di significato, si apre su una sorta di voragine che raramente trova una risposta o una pacificazione. La lingua stessa, ricca com’è di rime ed assonanze, richiama in alcuni passaggi il ritmo di una filastrocca: dietro la leggerezza ironica delle espressioni però lascia trasparire uno spazio interiore difficile da colmare, un panorama di mancanze che soltanto il mondo degli affetti appare in grado di placare:
amare = disegnare la mappa per restare
Un verso, un unico verso. Eppure racchiude lo sforzo, il tentativo, il desiderio di restare – finalmente – ed al tempo stesso la necessità di disegnare la mappa per farlo. La poesia di Manuela Dago cresce in questa tensione, nello spazio che si dischiude fra il bisogno e la spietatezza del reale, lo fa con una espressività lontana da canoni precostituiti e proprio grazie a ciò diventa ruvida e dolce assieme come sanno essere solo le parole coltivate con cura ma non troppo levigate, in modo da portarsi addosso gli spigoli della loro bellezza.
***
curvo come un levriero
in corsa anche per te
ma tu dagli spalti
non scommetti su di me
***
Operazioni
alla fine di una giornata
non tiro le somme
mi sottraggo agli impegni
e forse condivido la cena
poi per sentirmi meno sola
moltiplico le gambe
sotto le lenzuola
***
Leggerezza
come noce di cocco
ci cadi sulla testa
noi non siamo abituati
a modi gentili
a ventagli
a vestaglie sottili
storditi più di prima
ci lasci stropicciati
con i segni della faccia
ancora sul cuscino
tiriamo la tenda
nella violenza del mattino
e si chiude addosso
un altro giorno
l’armatura
del bravo soldatino
***
ho bisogno di un segretario
di un ministro
di un maestro
anche senza registro
tanto assenze
io non ne faccio
fingo presenze
e alzo anche il braccio
***
Insensibili alle sirene
è tutto difficile
come trovare le chiavi
di casa la mattina
o perdersi
se non si può partire
è difficile non confondere
il canto di un uccello
con il trillo
di un cellulare
da quando anche loro
sono rimasti senza buoni
esempi da imitare
tutto questo succede
perché noi siamo diventati
insensibili alle sirene
e ci facciamo rinfrescare
la notte dal rumore
del lavaggio delle strade
***
mentre fuori nevica
immaginarsi dentro a un certo affare
giocare con un orecchino
guardando dalla finestra
in alto verso uno spiraglio di muro del vicino
pensare alle occasioni perse
o se ne hai mai hai avute veramente
quando squilla il telefono
rispondi educatamente
che no non c’è nessuno
(nemmeno tu sei presente)
e se ti è passata la poesia
ormai te ne frega niente
***
davanti alla porta
una foglia morta
una foglia morta e ritorta
e un gatto che gioca
con la foglia
ecco la foglia risorta
***
dico basta in senso lato
dico ancora in senso stretto
concentro il mio centro
in mezzo a un prato
i miei limiti in un tubetto
e se io non avanzo di un metro
niente mi avanza
niente mi resta dietro
***
la poesia funziona più o meno così
ci sono due persone
una si tira fuori le budella
e le stende ben bene sul ripiano
l’altra ci infila in mezzo la mano
***
Caro Francesco grazie di cuore per questa recensione bella e seria, che con semplicità e attenzione mette a fuoco alcuni punti tematici e stilistici della poesia di Dago. Il libro in questo caso è stato davvero letto e visto in profondità.
"Mi piace"Piace a 1 persona
“Ci sono due persone
una si tira fuori le budella
e le stende ben bene sul ripiano
l’altra ci infila in mezzo la mano”
La definizione più cruda e efficace di cosa è in fondo la poesia.
Strana coincidenza oggi; parlando con due care amiche entrambe mi hanno dato definizioni di poesia molto simili a quella desunta da questi versi: nudità, autenticità, aprire la botola “nascosta” dei propri segreti.
Ma tornando al punto, belli questi versi di Manuela Dago che, con leggerezza e ironia, affondano nelle crepe della vita quotidiana non rinunciando affatto alla profondità.
Nino
"Mi piace"Piace a 1 persona
A me piace la genuinità di questi versi anche se “è passata la poesia” e non resta niente se non la voglia almeno ancora forse di affettare queste pagine/budella
"Mi piace""Mi piace"
Quando leggo Manuela Dago (e Francesca Genti, guarda caso), mi sembra che la porticina della cantina in cui è rinchiusa l’Italia si apra un poco, e improvvisamente irrompa un’aria come di Nina Cassian, di Szymborska; cose così, che fanno respirare a pieni polmoni.
"Mi piace"Piace a 1 persona
un timbro dalla cadenza magica, fanciullesca, eppure nella leggerezza fa pugno e dice forte – e lo spiega bene Francesco nella sua presentazione.
(anche a me in parte ricorda la poesia – altrettanto potente – di Francesca Genti).
[approfitto per un saluto anche al carissimo Francesco Tomada]
"Mi piace"Piace a 1 persona