di Francesco Tomada
La fortuna della poesia è che non ha data di scadenza. Allora, anche se in ritardo, fa un grande piacere occuparsi di una raccolta pubblicata nel 2012, Una di Maddalena Bertolini (Ladolfi), per il semplice fatto che si tratta di un libro sorprendente, un piccolo gioiello.
Scrive Sarah Tardino nella prefazione che non è una poesia femminile questa, è la poesia di un’amazzone civilizzata a forza, ed è una lettura decisamente condivisibile. Lo sguardo di Maddalena Bertolini è in effetti quello di una donna che parte del mondo – anzi spesso di una quotidianità ben poco poetica in apparenza, piena com’è di lavoro lavatrici calzini – eppure ne sfugge la banalità con un moto di ribellione profonda ed ancestrale. Nel suo essere donna, compagna, madre, ha dunque la capacità e la necessità di andare oltre all’apparenza delle cose, trovarne un significato profondo, talora stridente, in ogni caso illuminante ed epifanico.
Un libro sorprendente, dicevo, per come l’autrice riesce ad utilizzare una scrittura piana e poeticamente ricercata senza apparire né semplicistica né ricercata; per come sa affrontare i sentimenti facendone emergere sia la potenza salvifica sia il dolore; per come si pone davanti alla natura – quella natura di cui Maddalena Bertolini sembra avere un bisogno assoluto – che è conforto e fiera che “brama la sua preda”.
La poesia di Una è davvero una scrittura che nasce all’interno di “un oceano animale”, perché sembra animale – nell’accezione migliore, nel senso di istintivo ed assoluto – il modo dell’autrice di vivere l’essenzialità dei sentimenti. E in fondo di aiutare se stessa per prima riuscendo a fissare queste preziose istantanee sulla carta: “io sono una / che scrive per fortuna”. Per fortuna, sì, e perché questa sensibilità è un dono.
***
liquor
sto nuotando nelle parole la loro
acqua è come tutta l’acqua muta
incolore e che si muove. Io dentro
il movimento lo accontento mentre
le mandrie amniotiche mi sfiorano
migrano per vene cave e coronarie artiche
Questo è un oceano animale
viene a leccare il sale sulle sponde
ha dorsali d’alghe, albe ubbidienti
agli elementi alle colonne d’Ercole
e alla luna. Io sono una
che scrive per fortuna
*
so che tu sei chi mi sta
davanti e non lo sei.
Le tue braccia non sono le tue ma quelle
di tutti gli amanti che desidero e il tuo petto
è una spianata con boschi mari e spari
tu sei tutto mio e non mi basti
sei anche altro e allora
mi va bene. Per amarti
devo guardarti e vedere
chi non mi appartiene
*
bambini
vorrei gettare le reti della tovaglia
e con un gesto impigliarvi al volo
vorrei farvi la pastasciutta tutti i giorni
chiamare a voce alta “a tavola”
e vedervi arrivare, saltare sulle sedie
miagolando, abbaiando e tirando zampate
vorrei riavervi insolenti.
A volte vorrei altri figli soltanto per pura
curiosità: la somiglianza originale.
La paura di sporgermi oltre le gambe
del parto e vederlo, il momento preciso
del viso di un uomo
*
Davide
i miei vent’anni si sono alzati
tardi stamattina con la boscaglia in faccia
e scudi di paglia controsole. Ti verso
in una tazza il malumore e non ti guardo:
schiacci un messaggio, già sorridi, perso
come un rondone nell’esercito di maggio
i pantaloni lenti e il ciuffo anni ’60
(quando sono nata). Ti allontani
con in tasca le chiavi dell’auto e i miei
vent’anni. Adesso li possiedo adesso
tu li indossi e io ringrazio
*
per quanto mi riguarda
cammino sulle punte
di tutte le montagne
pianto i denti tatuati dei ramponi
le intenzioni appese ai fianchi
come esche vive a fare
uscire bestie dalle creste
l’occasione della vita in quel
leone – sbrana ogni domanda
brama la sua preda
e io ritorno intera
*
le montagne sono piene di costole
hanno schiene glabre e vertebre
sorgenti da offrire ai piedi
ai ramponi ai chiodi alle corde
non chiedono uomini ma ne ricevono e
non ascoltano. Le montagne non crescono
non battono cuori rocciosi sono presenti
nei nostri sentimenti sono belle
quando ci accorgiamo di vederle
*
bambina
è la prima volta che la neve
le cade addosso
sulla giacca rosa sulla scriminatura
spinosa le ciglia oblique. Le assomiglia
leggera, vergine, felice. La prende
sulla sua lingua cinese la neve fredda
del nuovo paese fioccano bianchi
ideogrammi parlanti ognuno
un disegno preciso, fragrante come
un sorriso sciolto come
un biscotto nella tazza del viso
***
Sorprendente, umanissima poesia, che sedimenta in profondità. E colpisce anche il linguaggio pieno di forza evocativa e insieme semplice, diretto. Grazie a Francesco Tomada per aver offerto all’attenzione questa nuova voce, cui auguro di cuore un chiaro cammino.
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“A volte vorrei altri figli soltanto per pura
curiosità: la somiglianza originale.
La paura di sporgermi oltre le gambe
del parto e vederlo, il momento preciso
del viso di un uomo”
Gran bella proposta. Autrice di rango.
Nino
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Le trovo davvero straordinarie, per la lingua piana, diretta e precisa, che contiene maturità affettiva, esperienza personale, lucido pensiero.
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davvero apprezzata!
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E davvero queste poesie “sono belle” come le punte delle montagne “quando ci accorgiamo di vederle”
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