di Marco Furia
Qualcosa di fulgido e di buio, di caldo e di freddo, è presente nell’ultimo lavoro poetico di Marco Ercolani, intitolato ”Nel fermo centro di polvere”.
Gli opposti, ovviamente, si richiamano ma, oltre questa presa d’atto, la scrittura del Nostro sorprende per il suo attraversare regioni inesplorate seguendo percorsi linguistici non particolarmente tortuosi.
Pronunce quali
“Aspro, in piena luce, è tornato
il freddo. Abbandonato
il corpo riscrive il suo abbandono”
e
“Hanno vestiti che perdono luce. Le finestre tornano vetri
spaccati. E quel suono indecifrabile, come di risacca”
si presentano, nella loro enigmatica leggibilità, come dirette, immediate: un dramma, forse, è ormai alle spalle e ciò che ora emerge è una maggiore consapevolezza espressiva.
Quanto a immagini, tratti e colori di cui la raccolta non è certo priva, tali elementi oggettivi paiono intimamente connessi a un’interiorità che, senza confondersi, si lascia attraversare: si veda, a questo proposito, la sequenza
“Con dita che cercano di leggere il mondo
torniamo, con l’arte di ripetere e incantare,
trascinati nella notte senza cielo. Antica
la montagna prende luce, torniamo all’acqua di secoli,
salendo sussurriamo
tra sbarre e fessure”.
Sequenza che è arpeggio di parole, tavolozza di vocaboli, assieme, poeticamente ben integrato, di lineamenti distinti (scorgo aspetti cromatici, in apparenza assenti, nelle parole “notte”, “cielo”, “montagna”, “acqua”).
Ma il mondo degli uomini esiste, appunto perché ci sono uomini che lo abitano, infatti
“E allora arrivano, sono
tenerezze inconcepibili,
accadono senza accadere”:
da dove “arrivano” queste “tenerezze inconcepibili” ? Qual è la loro natura?
Inutile tentare di rispondere in maniera esauriente a simili quesiti il cui medesimo emergere richiama un ritrovarsi la cui persistenza, alla fine, è ciò che principalmente interessa.
Così
“E gli animali si svegliano
e i frutti rotolano”
sono versi ai quali aggiungerei, da parte mia, “e gli uomini vivono”.
Né mancano esplicite riflessioni sull’origine e l’uso del linguaggio (poetico e non): la pronuncia
“Le parole sono dove non credi”,
davvero emblematica, mi sembra rappresenti, con concisa efficacia, il senso dell’intera silloge.
Marco scrive versi per scelta ma anche per intima necessità?
Sì, come ogni poeta.
Marco Ercolani, Nel fermo centro di polvere, Il Leggio Libreria Editrice, Chioggia, 2018, pp. 62, euro 15,00
Una silloge attraversata da un’atmosfera di catastrofe avvenuta e da colori freddi o autunnali. Presenza costante, il mare. Paesaggi marini che ricordano Carrà o, ancor più, Savinio, agitati da presenze ex-umane. Un libro nevrotico nel senso migliore della parola. Belli e indicativi i titoli delle singole sezioni, micro-definizioni della scrittura di Ercolani.
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Grazie a Giorgio e a Marco, che sottolinea un concetto importante, la “enigmatica leggibilità”.
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