di Francesco Tomada
L’ultimo quarto del giorno (La Vita Felice) di Raffaela Fazio è una raccolta che dimostra la maturità raggiunta dall’autrice lungo il suo percorso di scrittura. “Secondo la tradizione ebraica, la giornata di Dio si compone di dodici ore. […] Nell’ultimo quarto gioca nel mare con il Leviatan”. Tempo e gioco sono forse le parole chiave per attraversare il libro, compenetrate come sono nel costituirsi in esperienza di vita umana e dunque, come conseguenza, nell’atto stesso della scrittura poetica.
Il gioco, tuttavia, non va inteso come leggerezza, o almeno non sempre: piuttosto bisogna pensare alla possibilità di disancorarsi, di abbandonare i legami e le certezze per avere il coraggio di porsi ad osservare il reale da prospettive differenti, in modo tale da decomporlo in tessere come se fosse un mosaico. Alcune di queste tessere saranno sì giocose in senso stretto, dolci, lontanamente ironiche o anche sensuali (sensualità che è presente, ma non esibita, nella scrittura di Raffaela Fazio); altre invece saranno più cupe, spaesanti, saranno la dura consapevolezza di portare “nelle ossa / un male universale / senza età”.
Il gioco diventa quindi quasi uno strumento di indagine, una volontà di disancorarsi per meglio penetrare negli attimi che che compongono una vita intera come il succedersi di molte vite. Perché va sottolineato che L’ultimo quarto del giorno, pur seguendo un telaio preciso, viene a configurarsi come una successione di attimi, e sfugge pertanto all’idea (forse pretestuosa) di voler mettere ordine a priori all’interno dello scorrere del tempo. Anzi il processo è piuttosto l’esatto contrario: “Si scava una parola / come nel tufo / una nicchia / che accolga cari / simulacri”, e poco oltre il verso tenta “di farsi nel tempo / compenso / riparo.”
“Si danno le cose / in frammenti”, ed è una verità che deve essere accettata, così come bisogna accettare che i figli crescono e diventano qualcosa di differente da noi, che l’amore non è né perpetuo né incorruttibile ma si rivela capace di rinnovarsi, che nel tentativo di individuare il senso di una vita il solo evento assolutamente certo sia la morte, questo “essere impigliata / a morte / nell’eternità”. Se questo può rappresentare – e lo è – per alcuni aspetti una condanna ineludibile, Raffaela Fazio, pur non sottraendosi alla caducità, sembra in qualche modo suggerire l’unica risposta possibile, che è proprio quella di abbandonarsi ai “fendenti di gioia”, di giocare (per usare il termine di Raffaela) nella vita come nella poesia, così da diventare protagonisti veri delle tessere che comporranno il mosaico che diventeremo probabilmente senza essere in grado di cogliere il disegno complessivo, di avere fiducia affinché “solo questo ci basti / e ci prema: / abitare chi siamo”.
***
Viviamo
e vogliamo narrarci.
Ma si sfa ogni racconto
nel dirsi:
non c’è filo, né trama.
Solo esiste
uno stare nel mondo
(sia sul fondo
che sul pelo dell’acqua).
Solo questo ci basti
e ci prema:
abitare chi siamo.
***
Il corpo è un trapasso
continuo: smistamento
di cellule e tessuti
in tempi disuguali.
Durante questo lutto
del tutto personale
accade
che mi si avventi contro
su da un fosso
una diversa forma
piccola animale
riversa in un’ingiusta
fissità.
Niente
mi costa quella morte
non è mia.
Eppure
mi confessa
che porto nelle ossa
un male universale
senza età.
***
Ora di punta
(per i miei bambini, dicembre 2015)
Come in un’eterna
ora pendolare
in cui il corpo è sorretto
dal vicino
e superfluo
è perfino un appiglio
così anch’io rimango in piedi
grazie a voi
che vi moltiplicate
ogni giorno un pochino
e aderente
al vostro bisogno
mi tenete
non mi lasciate
spazio sufficiente
per uno scarto muto
che un po’ somigli
a un pensiero di morte
a una caduta.
***
Si scava una parola
come nel tufo
una nicchia
che accolga cari
simulacri.
Nasce dal vero
l’immagine amata
e dal corpo assente
il verso
che lo invoca, che tenta
di farsi nel tempo
compenso
riparo.
***
Buio
un buio caldo
ricordo il fare buio
nella casa grande
fermate le cocenti persiane.
Anche ora vorrei
lasciare fuori il tempo
e a piedi scalzi
chiudermi dentro
insieme a voi
miei morti.
***
L’amore ha in sé tanti amori
per natura e fasi necessarie
è immortale
come quel tipo di medusa
che in tempi avversi
torna polipo al plurale
riparte dallo stadio coloniale
sovverte all’infinito
il ciclo della vita.
***
Stai attento
quando con me giochi
al dono e al furto.
Ho l’impazienza
della scellerata
ma sono felice e rassegnata
come chi sa
di essere impigliata
a morte
nell’eternità.
***
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