a cura di Giorgio Galli
Un’opera bianca e nera. Della stessa eleganza di una scacchiera, della tastiera d’un pianoforte. Del pianismo vellutato di Benedetti Michelangeli. Diego Caiazzo è scacchista professionista e appassionato di musica -di Bach soprattutto. Al primo impatto con la sua poesia si resta un po’ perplessi. Ci si dice: “Ma questa è prosa!” Poi il fascino di questa parola scarna ha la meglio. La via lattea è un titolo perfetto. Connota il distacco sidereo, la noncuranza emotiva del tono, la scorrevolezza senz’attriti della lingua, l’impressione di una straordinaria chiarezza comunicativa. La mano di Caiazzo sembra, come quella di Manzoni per Goethe, “non avere nervi”. Ma la sua tematica ce li ha, i nervi: il tempo che passa, l’invecchiamento, gli amori disillusi e finiti e quelli ancora vivi e appassionati, le domande esistenziali che tutti ci poniamo e che restano senza risposta, tutto questo non è emotivamente neutro, e “arriva” con una immediatezza lancinante proprio per la pacatezza dello stile. Tra il disadorno e lo sciatto c’è uno scarto lieve ma enorme, e Caiazzo si muove su un confine da cui è facile deragliare. Solo numerose riletture aiuteranno a stabilire quando, nella sua semplicità, il poeta “esagera”, quando l’esposizione nuda di un fatto, di una legge scientifica, di un dubbio varcano i confini della poesia e si abbandonano al flusso della quotidianità. Resta la traccia, incancellabile, del lavoro di un poeta che in un piccolo pugno di versi ha amalgamato il galileiano candore di una mente matematica e la sensibilità esasperata e amara tipica del suo amico Franz Krauspenhaar.
Si presenta improvvisamente
nella storia
come uno che entra al cinema
a film iniziato
non sa nulla del mondo
questo bambino appena nato
con gli occhietti straniti
sembra chiedere a chi lo guarda
cosa si è perso
fino a quel momento.
*
Dagobert D. Runes
dizionario di filosofia
Oscar Studio Mondadori
“stampato nell’aprile 1975”
l’ultima pagina rivela l’età
i fogli sono gialli
come una pelle malata
picchettati di puntini neri
come minuscoli nei
segno d’una corruzione
chimica della carta
non avevo ancora vent’anni
quando comprai questo libro
considerandolo eterno
come me stesso
ora dopo altri trenta
l’ittero della cellulosa
ne denuncia la fragilità
ricorda che non resisterà
ancora a lungo
al passare del tempo
una tragica avvertenza
al lettore sul suo
disfacimento.
*
L’altro giorno mi sono mancate
le parole
ora le ho tutte ma è tardi
i francesi lo chiamano
esprit d’escalier
lo spirito che torna in sè
quando ormai si è per le scale
e davvero la vita può cambiare
per un’inezia
una parola non detta
un soffio di vento
così la mia vola via
cambia strada
senza nemmeno saperlo
e neanche può perdere tempo
a rallegrarsene
o a dolersene.
*
New Orleans
sepolta da una donna
in forma di diluvio
dal nome gentile
Katrina
settembre 2005
gli alligatori nuotano
increduli
per le sue strade
mentre anche le anime
di questa città
che si suppone allegra
imputridiscono
la televisione rimanda
gli sguardi decomposti
dei superstiti
sembrano non avere più
urgenze.
*
Con l’accumularsi dei giorni
i sentimenti diventano più sfumati,
indefiniti, come fossero dipinti
in un quadro impressionista;
l’amore è sempre meno puro,
come in una reazione chimica
prende molecole dall’odio,
dall’affetto, dall’indifferenza;
così mi preparo a un’età
di pensieri spuri, di passioni
fraintese, di sguardi incomprensibili,
da segnare, come un oculato
ragioniere, nel registro del dare
e dell’avere.
*
La Via Lattea di notte
si offre ai desideri degli astronomi
mostra il suo corpo fatto
di isole di luce
di gas arroventati
di ingorghi di materia;
come una donna che rivela
un po’ alla volta
il suo mistero erotico
gioca con chi l’osserva
e ne suscita lo stupore immenso
lo sfacelo della comprensione
l’infinità dei calcoli e degli sguardi
così non resta che impazzire
di fronte ai numeri incredibili
dell’amore e dell’universo.
Diego Caiazzo, La via lattea (Lupi Editori, 2016), prefazione di Franz Krauspenhaar, postfazione di Giovanni Agnoloni
Mi pare che riesca ad eludere con molta grazia la trappola del prosaico; ma anche da quella del prosastico, dalle sue comode spalliere: questo per mezzo di un verso breve, agile, acuminato, che sorvola il nudo reale, date e nomi propri, senza farsene sfiorare, quasi scrollandosene la polvere con plastica disinvoltura; fino a estrarre dal particolare più modesto e inosservato il riflesso di un destino unanime, di una legge che sincopa anche i movimenti delle galassie.
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*ma anche quella del
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