Canzone del padre di Luca Bresciani (Lietocolle) è davvero un bel libro, non soltanto scritto bene – numerosi sono i passaggi illuminanti, tragici, molto duri o molto dolci – ma soprattutto profondo, personale e coraggioso. Diviso in tre sezioni (Il diritto di esplodere, Il collo dei cervi, Un luogo salvo), il lavoro attraversa il rapporto difficile e conflittuale con la figura paterna: “È così che si richiama l’amore / esibendo ciò che ci ha fatto male”, e lo fa senza nessuna accondiscendenza, diventando appunto luogo di dolore e di rivendicazione, terra e parola necessaria, perché “scrivere in versi / è fare un cerchio di sassi / dove allevare una fiamma”.
Canzone del padre è un libro attraversato da questa fiamma, che arde a partire dall’infanzia fino all’età adulta, che diventa incendio e bruciore, e al tempo stesso una lenta e faticosa ricucitura degli affetti anche grazie all’esperienza del declino e della malattia. È infatti difficile ammettere di essere “galassie opposte” rispetto a chi ci ha generati, ma è ancora più difficile riconoscere le somiglianze, dire che “nonostante tutto / sei al centro del mio centro” perché “ci appartiene / lo stesso modo di camminare”. La durezza dei rapporti viene attraversata lungo tutta la seconda sezione, che affonda le sue radici nei ricordi per arrivare fino a un presente di decadenza e infermità, rivedendo a volte gli attriti dell’infanzia con una luce nuova, in cui la rabbia appare finalmente stemperata, come invece non si poteva fare in a quel tempo in cui “i figli sono gelosi / dei lividi dei padri”.
Canzone del padre è, tuttavia, soprattutto un libro sul perdono, e sul coraggio del gesto di perdonare. “Non so dire con precisione / come si inizia a perdonare”, scrive Bresciani, e probabilmente uno dei pregi maggiori della raccolta è proprio qui, nel non avere costruito un percorso ma nell’averlo seguito mentre accadeva, nell’accettare le mancanze di una persona così vicina e contrapposta come quella di un padre allo stesso modo in cui si accettano le proprie, nel fare un passo indietro che è anche un passo avanti verso la tregua di chi sa accettare che “nessuno si salva da solo”.
***
Ci appartiene
lo stesso modo di camminare:
troppo veloce per restare
e troppo piano per fuggire.
La stessa fame
viene a divorarci le suole
e se ne va lasciandoci dritti
come alberi appena morti.
*
Un padre pieno di elio
che mi sfuggiva dalla mano
e il braccio che restava ampio
guardandolo diventare minuscolo.
Solo gli alberi e i bambini
sanno morire spalancati.
*
Prima di dormire
io ascoltavo il tuo odore.
Era il racconto di un corpo
nato senza equilibrio
che crollava senza gridare
come un quadro dalla parete.
I figli sono gelosi
dei lividi dei padri
e per farsi male
si allenano a cadere.
*
Quando manchi
manchi a tutti i figli
come un agosto decaduto
spinto giù dal calendario.
Le tue assenze
allungano le maniche delle maglie
e la pelle torna un racconto
di cui è scritto solo l’inizio.
Ora disegno sulle finestre
navi a cui dono il tuo nome
e lascio che giunga il temporale
a ricordarmi che non puoi morire.
*
28/01/2018
Gennaio bacia con i denti
lasciando le labbra piene di tagli
e non so dirti se soffiare sulle candele
fa più male di esprimere un’ambizione.
Non mi serve voltarmi indietro
per giudicare il nostro passato
perché il mio vivere pende sui passi
e ora ho tutto davanti agli occhi.
Finalmente vedo
che nessuno si salva da solo
e se oggi decido di guarire
so che anche tu starai bene.
***
Libro tramato da una via crucis di gesti e di luoghi concreti che garantiscono autenticità al dettato, salvando però quest’ultimo dal rischio di scadere nel confessionalismo, grazie alla forza visionaria del ricordo che decanta il vissuto in catabasi attraverso i luoghi della perdita – interni d’ospedale e ruvidi sfondi metropolitani in cui la nevrosi si trasfigura in narrazione e allocuzione senza risposta rivolta a un ‘tu’ costantemente sul punto di farsi ombra, fantasma orfico in via di sparizione e perciò elusivo allo sforzo della voce di trattenerlo.
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Un padre pieno di elio
che mi sfuggiva dalla mano
e il braccio che restava ampio
guardandolo diventare minuscolo.
Solo gli alberi e i bambini
sanno morire spalancati.
Basta citare questa poesia per dimostrare che il poeta c’è, e c’è per davvero.
Che bella scoperta questo autore.
Grazie Francesco.
Nino
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Meraviglioso davvero…
È un manifesto intimista…mai letto niente di simile…
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