Ancora e camminare nei fiori,
dalle mani ai fili ruvidi dell’erba
e stare a guardarsi stare e ridersi
di ritornare, dove hai lasciato i passi
e dove hai ricordato il paese che era lì,
dove erano stesi loro a parlarsi
vestiti di una domenica non si era detto
domani e partire presto, con i piedi di scarpe
e gli occhi nel sole e il sole nei palmi con voi
e la memoria di oggi, se ci siamo guardati
trovarsi, tra la sporta e un figlio e una vita,
a vivere tra gli uomini in silenzio
*
Avrai paura, te lo dico chiaro,
te lo dico piano, ti dico guarda
perché avrai paura, per non confondermi
mentre ti insegno le misure esatte,
quelle che si trovano con le mani,
che c’è la luce giusta e la luce offesa
e un modo nostro per attraversare
la stanza senza indossare gli occhiali,
a tentoni, cercandosi con calma,
facendo differenza tra le forme
morbide che ha un corpo e gli spigoli
che sono di un armadio
*
Hai solo questo ridere ed è così
poco, le mani che chiedono, stese
a cercare, hai camminato nei fiori,
sei trascorso tra i prati e sull’erba
bagnata, ti sei seduto a parlarmi,
a chiedermi stanco chi è che ringrazio,
nessuno che parli, nessuno a stare
senza un motivo, cos’è che hai capito
di ieri e di quando vi siete rivisti,
ancora non parli, ancora non provi
neanche a tornare
*
Parte del sogno era la meraviglia,
il dono, due dita di bianco e
uno stelo e il porgersi a mani e mani
sole, come sussurri o parole
difficili, «caro male», «amica
morte», «resta, o vita, resta!».
Non sai se difendere il miracolo,
la nascita biologica e il dovere
di restare, il ventre cavo della terra
e la statuetta di terracotta
che hai sepolto secoli fa.
Parte del sogno era la pretesa
di non essere corpo naturale,
di non avere bisogno di corna
di cervo o scapole di agnello perché
eri sveglio, e non ricordi più
se era ieri che lui era partito o era
oggi che l’hai visto tornare
e hai pianto per parlargli ancora
e, con le lacrime sulle guance,
trovarlo
*
Abbiamo dato, anche se a restare
sono parole che non si hanno parole
e non si ha una misura per vivere
questo oggi di altri che chiedono «come eravate, voi»
questo umano e quel nulla che poi non rimane
e che poi è quel tutto che non ti senti di dire,
strano com’è stato ieri strano che ti sei offeso,
hai steso le braccia a stare nell’aria e nei rami
spenti, aperti, come una gesto racchiuso
ti sei lasciato cadere
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Carlo Selan nasce a Udine nel 1996 e attualmente studia Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Trieste. Nel 2017 fonda (assieme a Davide de Luca e altri scrittori/autori del nord est) la rivista culturale Digressioni (che si occupa di letteratura, arte, ecc.) e crea, con la collaborazione di altri giovani autori di poesie e musicisti di Udine, il “collettivo artistico” Let us compare Mythologies, con il quale realizza serate di musica e poesia in vari luoghi del Friuli Venezia Giulia. Nel 2017 partecipa inoltre (come autore emergente selezionato) al Poetry festival di Faenza e a una lettura di poeti da tutta Italia, organizzata dalla Samuele Editore, a Pordenone.
Alcune suoi versi inediti sono apparsi sulla rivista Digressioni, nel blog Laboratoripoesia e nel blog Letture a Margine. Dal 2018 è uno dei redattori del blog Argo e collabora con il blog L’oppure e con la rivista Charta Sporca.
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Ogni volta che leggo alcuni suoi passaggi mi stupisco come se fosse una prima lettura. Bravo, Carlo!
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