perìgeion

un atto di poesia

Alessandro Burbank, Salutarsi dagli aerei

a cura di Roberto R. Corsi

Ognuno ha, e normalmente difende strenuamente, la sua idea più o meno precostituita sul rapporto tra oralità e linearità della poesia. Si può, certo, configurare tale relazione come una guerra tolkieniana tra eserciti contrapposti di “rapper” e “filologi del cazzo” (secondo tòpoi o epiteti intercorsi periodicamente), ciascuno dei quali intento a sventolare il proprio vessillo. Più utile, però, mi pare verificare i rispettivi sconfinamenti dietro le linee (volutamente virgolettando) “avversarie”. Scopriremo così, come nel caso di questo esordio editoriale di un poeta attivo da almeno un decennio nel panorama slam italiano ed europeo, come la cartina di tornasole sia sempre – vivaddio – la qualità.
Salutarsi dagli aerei, titolo mutuato dalla poesia di chiusura, è un libro che mi coinvolge per la varietà di soluzioni in esso contenute, dunque per l’ampiezza dello strumentario del suo Autore.
È indubbio come alcune poesie della raccolta gravitino attorno alla loro micro-fonazione, principalmente per alcune caratteristiche stilistiche, come le molte assonanze interne ai versi o la frequenza serrata degli enjambement (serrata, quindi volta a operare una lisi della gabbia); caratteristiche che, quando performate, si traducono verosimilmente in un crescendo di dinamica e tensione. Burbank è inoltre molto abile, già dalla seconda poesia e lungo tutto il libro, nel cambiare repentinamente piano di osservazione, inquadratura poetica, con un “montaggio” rapido, straniante, simile ai risultati sinfonicamente ricercati dal cromatismo wagneriano nel preludio del Tristano e Isotta.
Da annotare anche l’utilizzo diffuso delle parentesi: ora in funzione distintiva di un nucleo della frase (cfr. Parafrasi dei nonni, pp. 42-43), ora in funzione di annotazione, di specificazione dell’enunciato lirico (Ragazza magra orgogliosa, pp. 21-22), forse addirittura polifonica (Riarredare nessuno, p. 47). Infine spicca una poesia, quella di pp. 25-27, che è una sorta di tema con variazioni per aggiunta, grazie alle quali il poeta sovverte la dis-tensione di un uomo intento a guardare il mare, creando progressiva tensione per quello che progressivamente si rivela essere un dramma della migrazione.
A volte troviamo episodi (come quello entomologico a p. 23) scopertamente rivolti alla trovata di spirito e dunque alla captatio emozionale. Anche nella ricerca del coinvolgimento del pubblico, però, si passa attraverso un lessico (semplice e a volte colloquiale ma) mai sciatto o eccessivamente gergale come invece in certe tendenze mainstream.
Il risultato è una poetica che regge bene la prova del volume, per merito di un registro ora sarcastico ora delicatissimo e in generale di una sensibilità notevole, sia lungo il ricordo di giovinezza e radici (cui è dedicata la seconda sezione del libro), sia nella osservazione dell’umano circostante.

***

Urlano nel vento che le piega
le canne e il canneto, separa
una casa da un parcheggio.
Nella casa due corpi nudi stesi
nel silenzio di una noia fresca
tra lenzuola estive. Vacanzieri
stanchi che ascoltano il riposo
di chi viene e cambia mondo.
Hanno occhi sulle dita, l’ombra
corta e un respiro che li sgonfia.
Fuori il cielo e il mare azzurri
non fanno differenza solo i muri
bianchi della stanza con gli infissi
blu ripetersi nel lungomare meste
ai venti etési, le porte tremano
socchiuse. Un vecchio bussa entra,
i corpi ancora stesi e porta fichi
appena colti che lascia appesi
come premi e scompare dove sa
sospingerti la furia di Meltemi.

*

Infanzia

Gli amici dell’infanzia
si ricordano di me
perché ero grasso ma
giocavo bene a calcio.
Avevo dribbling. E allora penso
che non c’è niente di più bello
se si viene ricordati
all’interno di un contrasto.

*

Le quattro

Le quattro e si apre la porta degli inferi
le quattro che scendo le scale faccio
corridoi scorsoi mi perdo mi faccio male
bevo sangue. Le quattro, alla gola come
cappi di cravatte, mi faccio in quattro
con una tagliola, apro ferite, la mia discesa
è un fuori pista di graffi, feritoie. Sono
le quattro di un kebab con tutto e del bicchiere
d’acqua in cui respiro, calmo sono un pesce
muto come un serpente allo specchio, mi
autotento adesso scendo, dall’albero della notte
da cui discendo. Le quattro precise
del mio spettro sordo, che vaga per il
mondo dentro un sogno, le quattro sveglio
a dire niente ma con violenza di silenzio sono
le quattro della mia voce che mi guarda e mi
sussurra a quattro labbra: fatti atomo e
oltrepassa la barriera che divide in quattro
pensieri e ragioni per restare, resto allora
per mia madre resto per l’amore o me ne vado
per gli stessi motivi, oppure cado scendo ancora
verso il mare, quinta opzione, dalle quinte fatte
quattro, cielo terra aria e L’ade che mi aspetta alle
quattro, come un ladro allora evado
dalle quattro prigioni, e scendo a dire al muro sto
crollando ma il muro è occhi e croci
di radici al cubo di rubriche per chiamarmi
da ogni distanza.
Ma una voce di madre con calma di culla
mi prende per mano e mi annulla.

____________

[Alessandro BURBANK, Salutarsi dagli aerei, Latiano (BR): Interno Poesia, 2018, pp. 61]

Informazioni su Roberto R. Corsi

"La perdita e il perdono" (Pietre Vive, 2020). Mi trovi come @rrcorsi su Instagram / Telegram / Threads.

3 commenti su “Alessandro Burbank, Salutarsi dagli aerei

  1. ninoiacovella
    21/12/2018

    Penso che tra i rapper e i “filologi del cazzo”, quasi sempre nel mezzo ci siano i poeti e la poesia. Burbank esordisce sulla carta e fa centro. Va verso il centro e trova la sua poesia. Ne rimango sorpreso in modo positivo. E quando vengo spiazzato per me è sempre una gioia. Grazie Roberto per questa tua proposta.

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  2. redmaltese
    22/12/2018

    Notevole, cosi come la bella nota del Corsi.

    Piace a 1 persona

  3. vengodalmare
    27/12/2018

    Molto bella “Le quattro”; voglio leggerne di più di sue poesie.

    Piace a 2 people

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Questa voce è stata pubblicata il 20/12/2018 da in letteratura italiana, poesia con tag .