Tu mi farai dannare! tu sarai il poeta
Tu mi farai dannare! tu sarai il poeta
del danno, dell’esercizio di morte
lenta; e dire che eri un fascino puro,
un gesto al cielo, corroboravi meglio
le vittime del mondo, eri l’angelo
che appianava la sorte, la pace nella gola.
Poi sei saltato sul fuoco, e non hai
più speranza che ti netti il volto.
O forse stai solo in ascolto, aspettando
l’ultimo rombo del furore, per dichiararti
finalmente vinto, e ripetere a caso
tutta la strada, fino a perdere
l’aria, anch’essa, come tutto,
inconsistente, e senza via di fuga.
Viene a dirci la notte che vorrebbe
Viene a dirci la notte che vorrebbe
mangiare, nella luna dei tropici
viene a dirci che lei siamo noi,
un solo cuore pulsante, un solo
armadio per gli asciugamani.
E una sola festa, per tutto il tempo,
attorno ai fuochi accesi sulla spiaggia,
e le chitarre suonano ritmi dei posti
finché, col mattino, tutto si spegne.
Si precipita dove non sono più stato.
La pioggia cade sull’estate, nel capanno
faccio la conta dei piccoli seni toccati
e da toccare; la dolce peluria si dona
alla fine di un pianto sommesso,
viene a dirci che è ora di andare,
ripartire, quando la pioggia placa
la sua misteriosa gioventù.
Duemila watt di disperazione
Duemila watt di disperazione
mentre le ultime feste scivolano
nei battiscopa dei nostri aguzzi
denti, flessi, marci e timorosi
di rompersi, come nel sogno.
Quel triturame, si vorrebbe fosse
irreale; e infatti, al risveglio, uscendo
da un’anestesia, come fossi stato
partorito da un solo minuto, così
fatto e finito, grande uomo
sotto una rampa di scale
mi sciolgo nell’acido, emetto suoni
d’orso in una steppa d’oro, macino
le mie ossa dall’interno, fino a fletterle
nel buio, il mio solo rantolo a coprire
il silenzio tanto atteso, tanto
minuzioso, come è soltanto
il vero amore del gossip.
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