perìgeion

un atto di poesia

Wojcieh Bonowicz, sei poesie da “Mare aperto”

mare aperto

Wojcieh Bonowicz è nato nel 1967 a Oswiecim, conosciuta da noi col nome tedesco di Auschwitz. Ma la sua non è poesia della memoria storica. E’ poesia che parla di Dio e di fede: di un Dio immanente e una fede identificata con una pratica poetica che individua le fratture metafisiche del quotidiano. Una poesia che nasce dalle occasioni più disparate, anche da una conversazione intercettata per strada, e ricorre all’arma dell’ironia contro lo sbigottimento e l’orrore causate dal meraviglioso e dall’insensato della creazione.

Scrive Krystof Siwczyk : Bonowicz costruisce le sue mini-allegorie partendo da un concreto tangibile, una scenetta di genere, un dialogo ascoltato da qualche parte. Permette ai suoi versi di vagare fino ai confini del comprensibile e guida il corso delle frasi in modo tale da trasformare in maniera impercettibile la poesia in un segno della presenza o dell’assenza di un tabù. E’ una poesia che si difende dai significati letterali e protegge il silenzio. Per Bonowicz non esiste un discorso che non possa smuovere, o piuttosto ‘imbizzarrire’ il segreto della trascendenza. Per questo le sue poesie gnomiche, con le parole troncate a mezzo, sono soprattutto testimonianza di grande sobrietà semantica. Il poeta sa di non poter pesare più di tanto sul proprio vocabolario con la parola ‘Dio’, perché niente danneggia il Creatore più che l’abuso del suo nome e la prolissità del fondamentalismo, che toglie alla tematica religiosa la possibilità di esprimersi in poche frasi di penetrante semplicità. In una maniera che solo lui conosce, Bonowicz ha creato un nuovo campo in cui poter testimoniare una fede che assume la forma di pratica poetica ed è libera da zavorre teoriche e da esaltazioni. Inoltre la ‘fede poetica’ dell’autore ha un carattere decisamente problematico: l’esperienza quotidiana piena di paradossi di fronte all’ ‘inesprimibile’ non permette di pensare a Dio e di parlarne senza paure o incertezze. La maggior parte delle poesie di Mare aperto è una dimostrazione di ‘ignoranza’ e una prova delle limitazioni che ci impone il modo stesso in cui affrontiamo la religione.”

Wojcieh Bonowicz, Mare aperto, a cura di Leonardo Masi, con una nota di Krystof Siwczyk, incertieditori, 2012

***

Nel corridoio

Sentivo di notte le loro voci: urlavano
tradendo sconosciuti. Urlavano tradendo
amici. Morivano tradendo i propri cari.

Potente è il dolore. Più potente del giudizio.
Sentivo il rumore delle ceneri
che qualcuno spargeva urlando di dolore.

*

I viaggiatori della morte

Si nascondono nelle scritture
come dentro a rifugi.

Quando l’incendio la guerra il giorno e la notte.

Quando la congiura del diluvio
e la neve sporca del tradimento.

Ma più di una volta le scritture li hanno consegnati
al fuoco all’acqua.
Una pagina della vita dopo l’altra.

Sono scritture per gli audaci
segni per gli arditi.

Per quelli
che credono davvero.

*

Canti storici

Correvano con le torce
per una città di carta.
Quando hanno bruciato il primo
sono crollata in pianto.

Scintilla la tua bocca
amore. Scintillano
i cerchi al collo
e il foglio sul petto.

Ho trovato un nuovo nome.
Ci ho coperto i bambini.
Che possano fuggire a lungo
per i corridoi del sogno.

Il silenzio ha la mano pesante
Sopporto la sua stretta.
Finché loro sono lì:
grandi allegri e cattivi.

Scintilla la tua bocca
e la tua fronte. Come un uccello
su un albero notturno amore.
Come i corpi in riva al fiume.

*

Il ritorno dell’A.

Mettiamo che hai una dozzina di apostoli
e che questi prendano nota dei tuoi sogni e perfino
ti giustifichino quando sei irritato. Vai per una strada tortuosa
da un’ambiguità all’altra finché ciò non diviene
una religione che non puoi più fermare.
Infine allunghi il braccio e cosa vedi? Vedi
l’efficacia di scavare nel buio
si trova sempre qualcosa di nascosto
che non ha ancora un significato.

*

Isole

Non muoiono. Vanno su isole inaridite
e piatte inondate dalle acque della memoria.
Davanti alla statua erosa della dea del giudizio.

Non soffrono non aspettano
perché non ci sarà giudizio. Ma la giustizia
ha lasciato un segno.

*

Il perdono

Chi si vergogna di aver scritto su Dio?
Dio non ha più quella lettera: straccia le nostre richieste.
Filtra nei diari e cancella zelante
le confessioni che la gioventù e una fede ingenua dettarono.

Potrebbe essere più intransigente, dice L. riferendosi a Dio.
Fosse più simile a noi -lo sciocco umano desiderio.
Zitto zitto entra nella stanza e mi rimbocca le coperte.
Il corpo è pieno di spine. Il sudore denso e dolce.

*

L’eroe volante

Una fila di guerrieri. Api nel ghiaccio. Linee
gloriose su palmi immobili. Appuntata di lato
nei capelli della hostess una rosellina. Marmellata sul collo
di quella graziosa signora che incede così altera. E io –
il mondo all’alba si ricongiunge a me.
E tutto ciò che sa chiedere la vita vive.
Così sono circondato da desideri che sfrecciano.
Viaggio aereo: il tempo piegato all’improvviso.
Mi elevo e non rivelo allo sguardo tranquillo
della hostess che per un attimo mi sento un santo. Assunto
per un poco nel cielo che tutti ci divorerà.

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Informazioni su Giorgio Galli

Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato in Scienze della Comunicazione a Siena. Vive a Roma dove per due anni ha gestito una libreria indipendente. Ha pubblicato "La parte muta del canto" (Joker, 2016), ritratti biografici di grandi musicisti del passato; "Le morti felici" (Il Canneto, 2018) e “Le voci sopravvissute” (Gattomerlino, 2020), piccole collezioni di brevi prose poetico-narrative; il racconto lungo “Il matto di Leningrado” (Gattomerlino, 2021) e la raccolta di poesie "Canzonacce" (Delta3, 2021).

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Questa voce è stata pubblicata il 20/04/2019 da in letteratura polacca con tag , , , .
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