Questi sei inediti costituiscono un’anteprima della raccolta “Il bordo delle cose”, in uscita per Arcipelago Itaca.
Di poco
presero l’uscita giusta,
il tempo per tagliare
tre corsie e
rientrare in fretta –
poi presero lo svincolo
al cavalcavia
nel deserto pieno di sole,
all’altezza di Bari,
appisolati sul vetro in due e
l’altro a guidare
con la foggia
di chi
pazientemente
consiglia.
Poi ci sorprese
lo scirocco sordo
e tutti siamo stati
una monade all’autogrill,
ricordando lo spazio
lasciatoci dietro
a chilometri verso il mare,
a immedesimarci
nella nostra orma
nella sera
sul letto ad ingannarti
la poesia con gli occhi,
per estirpare
una ferita.
Ma resto razionale,
razionalmente avvinghiato
alla mia saggezza
di scettico ottimista:
il multiverso si specchia,
i fotoni affasciano
in tre fastelli,
e come il cane che gioca d’autunno
sotto le querce,
combini tra loro le sillabe
di un itinerario.
Finimmo col finire
dove tutti abbandonano
un ricordo e
tutto quello che,
per sfortuna o errore,
non ti confonde più
il merito della teoria e
la tua concreta fine.
***
Eccomi, sono di nuovo
con te
ti affilo le mani.
Tu,
leggerissima
vertebra,
sottilissimo
seno.
Non consumare
la parola data,
dà te alla parola,
che lei ti menta agli altri.
Un giorno
sopra la fierezza
della città che si spegne,
ho trovato il mistero
che ti nascosero
alla nascita:
di me ti sollevi
il coraggio della voce
la foce
che infiamma
il tuo andare.
***
Io sto, come sta ogni
uomo al mondo
con il soma dei dolori,
dei crolli e
delle pagine stracciate
di un vacuo perorare il senso;
intatta nello schermo
la mia immagine è te
il mio gatto,
mia madre,
mio padre lontano
con mia sorella per le ferie.
È lo schermo spento
la mia immagine,
il riflesso delle piante
nello squarcio
che s’incunea dentro,
proficuo ammorbidire di
sembianze,
il piattume opaco
delle forme
e queste spoglie, come aiuto
a scomparire.
Ci sembriamo qui, attenti
al movimento
ma ci manca l’esistenza.
***
intrappolare sulla vetta.
Tutto ha ricchezza
dal basso.
E tu raggiungi,
sempre più lontano,
l’abisso …
Raggiungi! E una volta lì
riparti, memoria esile e
cammino –
tu che sei i piedi
la stessa strada,
la traiettoria che sfina
le foglie e culla
la rugiada.
È come un indizio
di tempo,
l’inizio o la sorpresa
di chi sa
quanto dice e che,
quando dice,
sa che ha già perso,
che nulla ha più significato.
***
Non sorvegliare lo stufato,
deve riposare ancora ore –
siediti, calmati, placati immobile
nell’odore sapienziale
delle spezie:
prendi in mano il bestiario
setaccia le parole belva, fiera,
ipotizzati poeta
camminando nella selva.
Dunque, apparecchiati, termina
il viaggio con ironica
quasi putrefatta,
sintonia col fuoco.
***
Riccardo Canaletti nasce nelle Marche nel 1998 e studia filosofia all’università di Bologna. Nel 2018 esce La perizia della goccia (affinità elettive edizioni, pref. Umberto Piersanti). Suoi testi sono apparsi in riviste online come Interno Poesia, il blog della Rai di Luigia Sorrentino, Poesia del Nostro Tempo, La tigre di carta, Piogge Oblique, Carteggi letterari e altri. È presente in due antologie straniere, tradotto in catalano e in russo. Suoi articoli sono apparsi su Nuova Ciminiera e Poetarum Silva. Collabora con Yawp, Argo e Midnight magazine.
***
Di sicuro le metafore potrebbero essere più calzanti, il verso più coinvolgente…tuttavia alcune immagini si colorano innanzi agli occhi, un buon potenziale.
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“Non sorvegliare lo stufato,” , sì, è il caso. Così come non è il caso di troppe frequenti, inutili, pubblicazioni di autori del tutto immaturi.
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