a cura di Roberto R. Corsi
Ho avuto il piacere di leggere in anteprima Panasonica, la nuova raccolta di Simone Di Biasio; è imminente l’uscita del volume, per i tipi dell’editore Il Ponte del Sale. Si tratta di una prova in equilibrio tra il filo degli amori, il passaggio affettivo “matrilineare” dalle antiche braccia della nonna (grandparenthood teneramente accompagnata al suo occaso come in un altro pregevolissimo libro da riscoprire, Rivelazione di Antonio Lillo) a quelle della propria compagna, le contraddizioni di un’esistenza sempre più pervasa di tecnologia, narrata enumerando con naturalezza i suoi device, ma sempre più bisognosa di tornare (linguisticamente e antropologicamente) alle radici. Lo stile è pianeggiante, marcatamente esistenziale ma intento alla ricerca di un respiro ampio, come pure attento al recupero di parole e usanze.
Scelgo tre poesie dalla selezione propostami dall’A.
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Abbiamo abitato tutti una casa del novecento
dove stanno i vecchi riposti negli stipi
dove stanno le credenze piene di grascia
in saloni deserti come da uno sfollamento
ma se andiamo a cercarli nei loro musei
hanno tecnologie avanzate al servizio degli utenti
audioguide, ad esempio, che s’attivano ad un tocco
proiezioni treddì sulle mattonelle a fiori
reperti e diapositive della vita bellica
Corpi che è perduta la forma originale
statue spezzate che stanno nelle gallerie
hanno tutte perso lo smalto che le coloravano
alcune senza testa stanno ancora in piedi
di altre teniamo solo il capo magari scorticato
manca il naso o un braccio è fratturato
eppure stiamo a scrutarle, aspettare che parlino
che muovano almeno una ciglia di tempo:
il passato si riveli ora innovazione.
*
Non rispondo più al telefono di casa
dalla notte che mostrò la tua regalità
il timore che sia ancora la tua voce
a chiedere “come stai?” perché collassa
ogni risposta, cadono dall’albero le ossa
ammonticchiate ai fili del vecchio apparecchio
singolarità spazio-temporale, santi e rosari
s’adunano per condurti a braccetto nell’origine
l’universo si fa sempre più stretto, denso e gira
gira come il tuo brodo di primordiale assenza.
*
Ora penso, cenando mentre vediamo netfIix,
che se io e te conserviamo questo cibo
avremo di che mangiare tutto l’inverno.
Se uniamo il mio cervello afasico col tuo matematico
diranno che abbiamo creato una cellula invincibile
come quella di sicurezza dei piloti di F1
che se pure si schiantassero a trecento all’ora
non perirebbero, non sull’impatto almeno
pur conservando per molti lunghi inverni
lo shock di un ricordo, una scheggia di morte.
Perciò ora penso, cenando mentre chiudiamo netfIix,
che se io e te conserviamo questa cellula
avremo di che mangiare tutti gli inverni.
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La foto dell’A. ci è stata da lui gentilmente concessa ed è di sua proprietà.