a cura di Roberto R. Corsi
Loriana D’Ari, genovese, si è affacciata in rete mesi fa – con una prova pubblicata sul blog Poesia Ultracontemporanea – e sta distillando la propria poetica con la giusta pazienza, al riparo da “riflettori cartacei” che considera prematuri, nonché con una certa meditazione “programmatica” sottostante. A una cinquina di Poesie convergenti – incentrata sull’idea della poesia come un muoversi intorno alla fiamma per conoscerla progressivamente nella sua essenza (idea che mi fa pensare alla “realtà in forma di arancia” di Ortega y Gasset, similitudine cara al prof. Giuseppe Panella che ricordo con affetto) – ha fatto séguito, più di recente, un miniciclo altrettanto inedito, È sincrono il passo, in cui la cifra stilistica si è fatta più sicura, appropriandosi l’A. di un proprio strumentario lemmatico: uso ricorrente (letterale e figurato) di alcuni verbi quali “tarlare”; allitterazioni vocaliche, di consonante, o addirittura sillabiche («Tarla, la piccola larva / di bava slavate»; «abbaglia / staglia la sagoma»); rime interne a contatto («Il paracadute appeso al ramo, culliamo»), etc. Non mancano riferimenti alla musica classica: un notturno (probabilmente chopiniano), che ha il compito di immettere dolcezza in contrasto con la tragedia esistenziale; un «male» nel ruolo di direttore d’orchestra che forse è una reminiscenza caproniana ma che sopratutto è parallelo (ironico?) al trionfo del sublime proclamato nello stesso verso. A livello di contenuto, la minor levigatura di certi passaggi (penso soprattutto a un refolo di retorica in quel «Dunque ridateci…») non mi impedisce di apprezzare spunti già di ottima maturità in un’indagine vissuta – nonostante il passo sincrono del titolo, verrebbe da dire – come problematica sia nell’oggetto («Il paesaggio è un falso / con un buco al centro») che nella sua stessa opportunità («troppo vero spezza il filo»). Fino a «lo strapiombo di essere intera», verso di chiusura della penultima poesia del miniciclo/ ultima che vi propongo: mirabile nel rappresentare, nell’allegoria del funambolo che la poesia svolge, euforia della salvezza da uno strapiombo che, all’atto di contemplarlo, sembra trasferisrsi dentro di noi.
***
Alle caviglie indossi
dei passi tra i rami spezzati
echi guaiti di vento.
E t’incalza la svolta del sangue
nelle nocche strette
nei pugni chiusi. Gonfia
le vene, distende
al torace una
caduta.
*
Tarla, la piccola larva
di bava slavate geometrie
trascina dei solchi il logorìo
e appena un molle accenno
di spina dorsale, in trasparenza.
Un Notturno risuona, in lontananza.
Le rovescia addosso
tutto il peso di questo cielo livido.
*
Questa luce atroce ci abbaglia.
Il sublime risuona, il male dirige l’orchestra.
È che tutto funziona, qui, tutto
è pulito, e abbiamo nomi per ogni cosa
e le cose scansano i nomi.
Dunque ridateci nude carcasse
agli argini delle coscienze, vogliamo
l’odore di prima della cenere
e tutta la vita brulicante, intorno.
*
Il paracadute appeso al ramo, culliamo.
Il paesaggio è un falso
con un buco al centro: occhi
che tarlano, bocca che trama la tela.
*
È saggezza di funambolo: troppo vero spezza il filo.
E barcolli in barbagli, cieco l’occhio che crede
svelto il piede che sfiora
lo strapiombo di essere intera.
___
La foto ci è stata gentilmente fornita dall’A. ed è di Sua proprietà.
Versi originali, scaturiti da un flusso visionario in cui antico e contemporaneo si incontrano, e l’irreale s’invera. L’autrice mantiene la tecnica (ancora da affinare) al servizio delle emozioni, e a prevalere è l’interiorizzazione meditativa di elementi esterni dentro un regime generale di indefinitezza che genera perturbamento (quale cielo piomba in tutto il suo peso addosso alla piccolo larva? E lo “strapiombo di essera intera” del verso di chiusura è fuori o dentro di noi?). Grazie a Loriana D’Ari e a Perigeion per questa condivisione.
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