Si contano i centimetri
tra il primo vagito e il nulla
come se la misura percorsa
restituisse un senso.
La morte, sopita tra le palpebre
in attesa di un battito, torna
(forse non era mai partita)
e si muore a pochi minuti da noi.
Crescerà erba nuova sul Campo
e scuoterà ogni tua preghiera:
Niente è perso
di ciò che abbiamo amato.
(A Christian, giugno 2018)
*
Dicono molto le mani
della gentilezza
un fare domestico, familiare
il fruscio della carta
riempie di cielo la stanza
l’intreccio delle dita sfiora
l’angolo del tavolo
e scosta i pensieri di lato.
Semplici promesse
calcolano il peso del giorno
un profumo, un passo indietro
per conservare l’equilibrio
delle labbra
e assolvere la notte che verrà.
*
È una calma supina e assopita
che circonda il letto
tu sprofondi gli occhi e sai
(certo lo sai) tuo ultimo domicilio.
Le mani raccolgono il ricordo
di un destino borghese
in quel lento gesto di pettinarsi:
questione di dignità
anche davanti alla morte.
*
Ancora mi misuro a spanne
(non sono mai abbastanza alta
per incontrarti nelle pupille)
come bastasse chiudere gli occhi
per allontanare le cose.
L’evidenza in cui i gesti sono
e noi siamo accanto a essi
affossa ogni allusione.
Non c’è ordine o spazio definito
in cui la notte non possa celebrare
la bellezza di un miraggio.
*
Non c’è luogo senza gravità
se non quello interiore
né deserto né foresta
nessuna stanza o muro
o riparo dietro le case
(resto sempre donna anche
quando corro a braccia aperte)
e il solo raccogliermi
con grazia e violenza
accarezza la circonferenza
della mia solitudine:
l’addio del giorno alla notte.
*
Tutto avviene come un rito:
mani che spianano lente
le pieghe della tovaglia.
Una tavola apparecchiata
su cui manca il pane
non i fiori, sistemati con cura.
Non so da dove arrivi la forza
di placare la fame
(tra equilibrismi e cadute)
arginare fiumi, sradicare alberi
poi ritirarsi in quegli anfratti
in cui il silenzio trova voce
e ogni giorno ricominciare.
*
Nelle stanze in cui è riflesso
un Dio bambino
resto a contemplare
il Mediterraneo tra le ciglia
e i polpastrelli
che disegnano a memoria
la curva di una spalla.
Le piccole partenze
come certi ritorni, gioiscono
senza emettere suono
eterna inquietudine dei sassi
che ricadono al suolo
– senza colpa – solo la grazia
di un volo incerto.
Donatella D’Angelo, lavora dagli anni ‘80 nel campo delle arti visive e comunicazione come grafica, illustratrice e fotografa, ed è curatrice di eventi culturali. Fa parte degli artisti selezionati per il secondo volume dell’antologia sull’autoscatto curata da Giorgio Bonomi Il corpo solitario, Rubbettino Editore (2017). Ha esposto in collettive e personali in Italia, America e Francia ed è apparsa su varie pubblicazioni di settore. Sue opere sono parte dell’Archivio Nazionale dell’Autoritratto Fotografico del MUSINF di Senigallia e ha vinto il primo premio del II concorso nazionale LABirintiFOTOgrafia 2015 con Los Respiros del Alma in collaborazione con Josè Lasheras, serie inclusa nel suo primo libro di poesie Memento vivere, Edizioni del Foglio Clandestino, 2016.
Poesie di grande intensità, queste della D’Angelo. Con, in più, il pregio di una quasi assoluta nonchalance rispetto all’andazzo del fare-poesia contemporaneo, così pieno di sotterfugi. La D’Angelo scrive di morte solitudine e dolore con parole nude, verbi essenziali, aggettivi “carichi” e non soltanto allusivi, e indica un modo, felicemente “naif”, di dire pane al pane le sue cose e i suoi sentimenti: dice, con sobrietà – dice, non gioca, come i troppi, a mascherare per strappi paratattici ammicchi narrativi e ghirigori metaforici il vuoto-troppo del cuore e della mente.
Bene così.
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Grazie Massimo per le belle parole!
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Sono d’accordo.
La semplicità è una conquista e una virtù quando, come qui, significa trasparenza e schiettezza (ma l’esatto opposto della banalità). E’ un lavoro di pulitura umana prima ancora che letteraria, mi sembra, quello che sta alla base di queste splendide poesie.
Francesco
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Ciao Francesco! Le tue parole mi commuovono sempre. Grazie e spero di vederti presto.
Donatella
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