Può risultare una poesia oscura quella di Patrizia Sardisco, ma lo è solo nella misura in cui è necessario. E’ probabile che, da una selezione di pochi testi, quale quella presentata in un articolo precedente, questa difficoltà possa presentarsi. Ma non si presenta alla lettura dell’intero poema. O almeno, risulta evidente, a una lettura completa, la necessità che giustifica le apparenti opacità del testo. Quello che non si percepisce, infatti, da una selezione di testi, è la struttura.
Queste poesie provano a rappresentare qualcosa che si presenta in modo enigmatico: la relazione con qualcuno che non è in relazione -o non lo è del tutto. Se si ha presente il modo in cui si manifestano le forme dello spettro autistico -specialmente quelle ad alto funzionamento- si sa anche quanto è difficile già identificarle come tali, e si sa che l’autismo è un oggetto misterioso perfino per la scienza. Ogni volta che fa una diagnosi di autismo, lo psichiatra sta ammettendo una falla nella sua scienza, perché nessuno finora è ancora riuscito a identificare l’eziologia e la prognosi dei casi d’autismo in modo convincente, e tantomeno a fornire una cura. In sostanza, quella dei “disturbi di spettro autistico” è una categoria nosologica quasi vuota, perché comprende sindromi diverse ma con alcuni tratti in comune, di cui si conoscono le manifestazioni esterne ma non le cause o le dinamiche profonde. La poesia di Patrizia Sardisco comunica questo mistero -che sgomenta- attraverso il manifestarsi di vari campi semantici e il ritmo del loro svelarsi per poi velarsi di nuovo.
C’è un’altra dinamica implicata nella poesia, ed è la reazione perturbata del neurotipico di fronte alle epifanie della neurodiversità, o meglio l’effetto disturbante che l’autistico involontariamente provoca -anche a dispetto della sua stessa volontà di comunicare- nel neurotipico e e la conseguente reazione perturbata di entrambi.
Tutto questo non lo si può rendere linearmente, perché significherebbe scrivere un’altra opera, e ricorrere a categorie già conosciute. Il linguaggio apparentemente misterioso della poesia permette di proiettare sul linguaggio stesso quel reciproco e muto osservarsi senza potersi capire: permette quindi di restituire umanità e dignità umana a qualcosa che è al di là delle convenzionali e codificate manifestazioni della nostra “umanità”, e di dargli una dignità al di là delle forme di dignità che la società ammette. Strutturare diversamente il discorso, esprimerlo con modalità comunicative socialmente convenzionali toglierebbe senso all’intera operazione: significherebbe rimette etichette dove l’autrice le aveva tolte. In questo senso, al lettore di Autism spectrum è richiesto uno sforzo per uscire dalle categorie di senso comuni e da un’articolazione di significante-significato lineare. Bisogna essere disponibili a percepire musicalmente questa poesia, e a trovare nelle sue ragioni musicali tutte le sue ragioni.
D’altronde è proprio il disagio verso i manuali e le codificazioni ad emergere in più passi della raccolta, accompagnato a un senso di impotenza e di sconfitta:
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«… lo sgomento
di risuonare io lo stimolo il riflesso
amorfo e vacuo vagone impermalente
per contratto e per diciotto ore
sapermi io uno dei corti e troppi raggi
contingente nella tua corsa aspecifica
binario transitorio
verso nessuna stella»
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«e l’amo mio d’amore
è una pedagogia del fiato del respiro»
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L’inefficacia delle nozioni manualistiche, di fronte alla realtà dei fatti, assume addirittura i connotati di un sogno irrealizzabile:
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«forse colti nel sonno tutti i gesti
ricomporranno armonie più pronte
alla concertata comprensione dei manuali
una lingua universo un’armonia
senza più i connotati
di gravità»
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Il disagio dilaga in entrambi i poli di questa non-comunicazione:
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«e io che dovrei farmi
dissuasore invisibile
abbassare l’offerta
implementare interfacce coniuganti
tra un fuori fosforo e un interno opaco
resto pietra focaia
della tua rabbia»
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D’altronde non mancano esempi di ritorno al senso comune e a processi di significazione lineari. Solo che sono ritorni momentanei, e per nulla esenti da strappi:
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«prego ma per disobbedienza
che un giorno tu abbia un sole
una stella ignorante sulla faccia
un movimento bene aderente al testo
a cogliere la mano
più dimessa non più sacerdotessa
per sé sola»
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Ed è indicativo dell’unità d’intenti e della struttura poematica della raccolta il fatto che una composizione come questa -di una chiarezza cristallina- sia posta a metà dell’opera:
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«l’aggettivo generalizzato
si riferisce alla compromissione
delle diverse aree di sviluppo
il termine pervasivo
dice l’azione penetrante
le invasioni e il sovvertimento
delle prestazioni
e mi domando di quale forza
dovrò farmi fulcro
farmi generalizzata e pervasiva leva
per sollevarti intera_mente
mondo»
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Una poesia come questa non ha nulla che non sia immediatamente intelligibile, ma presenta verso la fine uno switch figurativo e di senso, per cui il “sollevare” l’autistico e la sua mente diventa pesante come sollevare il mondo, e l’autistico viene identificato come un mondo nel mondo. Un altro switch di senso è in questa stupenda poesia, dove la stessa parola introduce sia l’”esame” scolastico che l’”esame di realtà” proprio della psichiatria clinica, proprio come in musica l’enarmonia permette ad una stessa nota di appartenere, durante una modulazione, all’una e all’altra tonalità. Vorrei anche far notare come il termine medico “scotòma”, che per un’oculista indica una “zona cieca” della visione, sia usato per indicare la blindmindness, la cecità mentale dell’autistico di fronte alla pragmatica sociale umana. Per ribadire, ancora una volta, come il mistero di questo linguaggio non sia mai sintomo di un virtuosismo fine a se stesso, ma sempre sia al servizio di un’espressività tesa e massimamente essenziale:
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«quindi non te lo chiedono il programma
tu non farai l’esame
di realtà chiesto da questo testo
cosmo minuscolo infedele e tronfio
come se fosse l’unico zampillo
di esistenza l’unica precisione
atomica il punto che non trema
allo sguardo di un dio retta perfetto
tu in un altro infinito circolare
movimento inumano
trovi la sera al tuo teatro interno
io ombra resto
nel palco di proscenio l’algore semibuio
del tuo scotòma lunare»
Leggerò e rileggero’ versi e impeccabile critica.
È tema che, per via di mio figlio, sento molto.
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Ha ragione da vendere Girogio Galli, bravissimo come sempre. Il linguaggio di Patrizia – e confesso che devo ancora leggere quest’opera per intero – anche solo dai brani citati, non ha nulla di virtuosistico e compiaciuto. Nè nulla di veramente e volutamente oscuro. E’ certo una poesia tesissima, densa ed intensa nelle scelte lessicali e strutturali ma tesa – quasi con rabbia – a voler mettere in assoluta evidenza il nostro “autismo”, la nostra colpevole non-volontà di comunicare con l’altro, di aprirci al non-io, di credere nel valore del dirsi ed ascoltarsi. In tutte le forme della relazione umana e delle diversità umane. Come già accadeva nello splendido, fortissimo “Eu-nuca”, qui il nostro silenzio si allarga ad ogni comunicazione interpersonale. Per pigrizia, per incapacità, per comodità. E qui il poeta affonda la sua parola tagliente come rasoio, dice questo male, lo agita davanti al lettore. Poesia “civile”? Poco importano etichette e definizioni, credo. Quando la poesia parla con tanta crudezza ed efficacia di una realtà presente e terrificante è solo ottima e necessaria poesia. E corro a leggere il libro! Complimenti Patrizia! E un caro saluto a tutto voi di Perigeion!
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Ringrazio la Redazione per l’accoglienza e Giorgio per la sensibile e appassionata lettura. Grazie a Poetella per la fiducia con la quale si accosta ai miei versi, grazie a Francesco per i complimenti e per le buone parole che sempre dispone, generoso, intorno alla mia scrittura. Il mio abbraccio a voi tutti.
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Ho lavorato per anni in questo campo e versi come questi:
«prego ma per disobbedienza
che un giorno tu abbia un sole
una stella ignorante sulla faccia
un movimento bene aderente al testo
a cogliere la mano
più dimessa non più sacerdotessa
per sé sola» (ma anche altri)
mi restituiscono in pieno tutte le complesse emozioni e i conflittuali stati d’animo coinvolti nelle meravigliose relazioni terapeutiche con i bambini affetti da autismo. Leggerò con piacere e attenzione questo libro.
Grazie
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Grazie, di cuore. Sarò felice di conoscere le sue impressioni, se vorrà.
Un saluto!
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Volentieri, appena avrò letto il suo libro. Grazie ancora.
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Sig. Galli buongiorno,
ho fatto l’esperimento, sa? Ho manipolato una strofa di una di queste poesie postate qui sopra per un totale di 4 testi, 3 falsi e uno originale. Poi ho spedito il file a un amico, nonché poeta, del cui orecchio mi fido ( ovviamente sincerandomi che le poesie non le conoscesse e chiedendogli di non accedere a google etc) . Devo ammettere con mia sorpresa che ha individuato, tra i quattro testi, quello originale. “Suona meglio”, mi ha detto. Ho subito pensato: potevo ottimizzare meglio gli altri testi! mascherarli di più! Forse sì, ma il mio intento era di smontare letteralmente questo “genere” di macchina con pochissimo sforzo, confidando proprio nella sua debolezza generale, senza pensarci troppo sopra insomma.
Una volta assodato che, per me, la matrice di questa poesia è gratuitamente ermetica, volutamente intellettualoide e forzatamente oscura, ho ritenuto davvero, che cambiando l’ ordine dei segni di cui è composta la strofa, il testo di partenza sarebbe stato irriconoscibile rispetto agli altri proposti. Invece no, proprio non affatto così. E questo già al primo test ( farne altri non ha senso). Se dunque anche l’unico piano di preferenza rispetto agli altri testi da me elaborati fosse “solo” una suggestione fonica – ovvero un “suona meglio rispetto alle altre” – bene, credevo che la strofa non avesse nemmeno un suono tale per cui potesse essere riconoscibile, tanto meno apprezzabile.
La schiettezza della risposta del mio amico, non mi dà adito a dubbi in merito, non mi concede scampo alcuno:
1) il mio orecchio è fallato
2) il mio pregiudizio deve essere rivisto.
Sono stato dunque decisamente ottuso, e di conseguenza, anche arrogante.
Ho ricevuto la mia lezione. Farò in modo che mi serva per il futuro.
Grazie del suo lavoro e buona giornata.
Massimiliano
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Mi fa piacere, Massimiliano. Grazie.
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