Immane specchio, alterità che ti tiene.
Immane fallo, corporeità che ti scorpora.
Immane gabbia, verbo che t’ammutolisce.
Simbolo, Monumento: Niente in cui svanisci.
di Giorgio Cesarano
Tempo di celebrazioni. Il pregio delle ricorrenze, al di là della retorica generazionale di come erano “formidabili quegli anni”, sta nel fatto che consentono, a posteriori, di far emergere informazioni, materiali, memorie dal cono d’ombra della storia. Proprio di recente, come se fosse un instant book, Castelvecchi ha ristampato un vecchio libro del dimenticato poeta citato in esergo al presente scritto: Giorgio Cesarano.
Si tratta di una testimonianza diretta dei mesi del ’68 a Milano apparso per la prima volta, come cronaca dei fatti, sulla rivista “Nuovi Argomenti” con il titolo La notte del Corriere. Successivamente rielaborato in forma diaristica per «Paragone» di Anna Banti e Roberto Longhi e finalmente raccolto in volume, non senza censure, per Mondadori col titolo I giorni del dissenso.
Sulla primavera di quei giorni si propone qui un altro testo, un’altra testimonianza più strettamente poetica, sopravvissuto per alcuni decenni nel silenzio di alcune biblioteche e rinvenuto quasi per caso da chi scrive. L’autore, Fabrizio Bianchi, oggi noto come piccolo editore di poesia appassionato e competente, dissimula un malcelato imbarazzo nel veder riaffiorare dalle nebbie del tempo un ricordo rimosso, ormai lontano quasi mezzo secolo. Il volume si intitola *appunti per una demitizzazione dell’eroe – ed altri masochismi ed è apparso nel 1974, al costo di 1500 lire, in una raffinata collana di poesia intitolata “Qui poesia contemporanea”, con caratteri Garamond su carta Kandida, per la casa editrice bolognese Seledizioni. La collana, ed anche la casa editrice, è rimasta attiva fino a buona parte degli anni Ottanta e annovera tra i suoi autori Roberto Sanesi, Aldo Ferraris, Helle Busacca e molti altri.
Il libro di Fabrizio Bianchi si presenta suddiviso in due sezioni, Avanti! [Inevitabilmente] e L’eroe archiviato, composte ciascuna da quattro poemetti. La prima sezione si apre con tre poemetti, Io non ero fatto, Signori Compagni e Faticosamente, il primo dei quali viene qui riproposto, nati proprio nei giorni della contestazione: il primo testo, datato Novembre 1968, rappresenta già una meditazione, una riflessione e rielaborazione su quanto accaduto e vissuto, mentre il secondo e il terzo poemetto sono impressioni a caldo, nel mezzo degli eventi, e narrano episodi risalenti alla primavera del ’68 e in particolare ai giorni dell’occupazione, il 23 Maggio, all’Università degli Studi di Milano.
Il quarto poemetto che chiude la prima sezione, invece, trae spunto da una vicenda personale. Fabrizio Bianchi si espone alla brutalità delle cose, a volte provocando nel lettore urticanti irritazioni, senza concedere molto alla speranza o a se stesso, e, partendo da un tragico incidente accaduto a un compagno di classe, Per Enrico Vallardi: «Il più bel ragazzo del liceo, ridotto ora a una larva: cieco, sordo, muto, paralizzato e senza memoria dopo 40 giorni di coma, in seguito a un incidente di motocicletta», arriva a domande ultime, quasi metafisiche, come: «Ma è questo l’odore di Dio?».
Nella seconda sezione del volume l’eroe del ’68 viene perfidamente archiviato. I quattro poemetti, Una cosa tristissima Noi delle vecchie province Autoritratto dall’esilio e Nel buio delle sei del pomeriggio, sono attraversati da un cocente senso di amarezza e da un basso continuo di depressione cronica. I riferimenti costanti alla cultura pop e alla cronaca di una quotidianità senza storia stridono con la presunta epicità dei ricordi sessantottini. Il lato ironico e impietoso nei confronti della propria discesa agli inferi della vita ordinaria si evince, non senza divertimento e gusto per il paradosso, già dalla scelta di un insolito esergo posto all’inizio di un poemetto: «Il letto è diventato per me un luogo di delizie, non lo cambierei con tutti i troni del mondo. Che cambiamento. Che rovina.» così Napoleone a Sant’Elena nel 1819.
Il senso complessivo che emerge dalla lettura del volume di Fabrizio Bianchi ricorda, per certi versi, la celebre invettiva, Quando è moda è moda, di Giorgio Gaber, nel suo spettacolo Polli d’allevamento nel 1978, che costò al cantautore milanese una marea di fischi e il ritiro dalle scene per un paio d’anni. In quell’invettiva il papà del teatro canzone metteva in evidenza l’ipocrisia e, con molta provocazione, il mutamento antropologico in senso piccolo borghese della gioventù rivoluzionaria di appena un decennio prima. Bianchi arriva quasi alle stesse conclusioni, ma già nel mezzo degli eventi.
Il periodo mitico della gioventù e della rivolta sembrano smarrirsi per sempre proprio quando ci si accorge che aspettare Godot è una faccenda più facilmente legata all’infanzia e all’adolescenza. Certo è più maturo, è più adulto, non aspettarsi niente; ma demitizzare la propria storia personale non può non essere un atto autolesionistico. Si finisce, addirittura, con un senso generalizzato di impotenza e incapacità di adeguamento al vivere, per percepire la fatica di una conclusione, quasi si trattasse di trovare la degna chiusa in una poesia. Certo la ragion cinica ci avvisa che: «Corrono i nostri anni e i giorni verso la fine / e intanto seguitiamo la nostra incostanza / tra futili discorsi di sopraffazione / o abbandonandoci del tutto al fluire della cose». Occorre però anche non dimenticare che: ce n’est qu’un début continuons le combat…
di Lorenzo Pinardi
I
«Chi mi libererà
da questo stato di morte?»
Io non ero fatto, Signori
per trovare da solo la via
Io ero fatto per stare seduto e aspettare
per lasciare correre gli avvenimenti
e aspettare tranquillo l’Evento…
Io sono stato scimmia e sasso
sono stato a volte provocatorio e insolente
ma non sono mai stato un comunardo
o un uomo d’azione, dalla facile mossa
sono stato, piuttosto, a volte il bestione
a volte Maccus, la maschera di Plauto
certo, Macco, la maschera ottusa
dal fallo enorme – stupefacente
e non ho mai avuto troppa scioltezza di cervello
ma questa volta la seduzione mi ha giocato
mi ha suggerito un ruolo più importante
– oh, la presunzione avventata e fallace! –
mi ha mostrato sottobanco la Vera Redenzione
con occhiate ammiccanti da gran ciarlatano
e astute, suadenti parole di convincimento
Ma non è stata solo un’illusione
nient’affatto: è un grosso errore crederlo
e solo una mente maldestra può pensarvi
invece – piuttosto – si può avere avuta l’impressione
che questi Cavalieri dell’Anticristo, Signori
sapessero con esattezza le loro mansioni
e recitassero la loro parte con puntiglio
II
Ho fatto insieme la strada
con gente che piscia dietro agli alberi
o che passa strisciando contro le auto in sosta
ho fatto insieme la strada
con gente irritante dagli immensi deretani
imbrigliati in sospensori sorprendenti
negli impianti sanitari delle polisportive parrocchiali
e ho potuto facilmente appurare
come ci si può anche pregiudicare la carriera
quando si ripetono le stesse barzellette
più di due volte con gente nevrotica
col fegato gonfio di eros e negroni
e la bocca farcita di olive e sigarette
e ho invidiato – ferocemente – rombanti personaggi
dalle facce curate di una sfacciata presunzione
dal futuro di un chiaro e nitido successo
ed un presente morbido di affascinanti donne
ho fatto insieme a loro la strada, Signori
strisciando fuori da sporche lenzuola la mattina
affacciandomi a grigi davanzali
ogni volta come all’utero del mondo
impugnando sbilenche valige di libri e calzini
e camice sporche arrotolate in fogli di giornale
Così sono giunto, Signori
attraverso una realtà fatta di caffè
di tavolini traballanti
e d’alluminio satinato da grassi sederi
Sono giunto, Signori
tra una sigaretta e l’altra
e macchie d’umido sui muri
Sono giunto, dunque,
ad una conclusione
III
Ma forse – Signori – non sono stato degno
e, infine, sono sempre stato un buon borghese
con i suoi piccoli interessi personali
individualista ed insensibile al richiamo delle mète
e certo anche nel Movimento all’Università
certo io rappresentavo il luogo comune
Io confondevo spirito di corpo con coscienza di classe
ma ho imparato presto a gridare i miei slogans
e ho cercato di superare i pregiudizi metafisici
(anche se non ho mai rinunciato all’uso della medaglietta al collo
e alla messa di mezzanotte a Natale)
Mi sono sottoposto alle mansioni più umilianti
sono stato io ad aprire tutti i tappi alla Triennale
tra i cassetti, come un pescatore d’ostriche
per dissetare i miei capi ciarlieri
con i premi nascosti della Coca-Cola Company
e ho anche fatto ore di picchetto
quando pioveva e pioveva e pioveva
in via Festa del Perdono, alla facoltà di Lettere
e sono stato picchiato, insultato e braccato
tra le grida della gente e lo strepitare dei clackson
quando hanno deciso di sedersi in piazza della Scala
e tutto ho fatto abbacinato dal momento
quando sarà giocata la carta vincente
e gli altri guarderanno con occhi impotenti
l’apoteosi di me col Movimento Studentesco
[e della giustizia sociale – sicuro – assieme a noi]
IV
Ma è stato lì che è venuta l’Estate
e dal mio ennesimo naufragio
– della carne, Signore –
ti prego guardami,
ed abbi compassione
V
Crollano i miti:
e ho fatto con loro la strada
Jimmy il Katanghese – un prezzolato
giustiziato dai suoi – una sporca faccenda
legato e bruciato in un bosco in Normandia
e Cohn Bendit – abbronzato sulla Costa Smeralda
subissato di fischi al congresso di Carrara
un piccolo grasso borghese che si vende a peso d’oro…
e poi, alla fine di Agosto, lo scandalo di Praga.
Dicono che il Movimento Studentesco
è malato di velleitarismo e arroganza
che finirà per isolarsi e scatenare la reazione
dicono che il gollismo serpeggia dappertutto
che l’Opinione Pubblica è stanca di chiassate
dicono che tutto è astratto, avveniristico
e se chiedete paghe migliori è demagogico
e poi gli operai sono peggio dei borghesi
alla Fiat, alla Innocenti, alla Marelli
pane e televisione – e si sono calmati –
dicono che è ingenuo, immaturo, infantile
andare di lunedì verso Sesto col sole o la nebbia
e pretendere di trovare operai con in tasca
l’Avanti! o l’Unità e parlare di politica
quando alle mense è un mare di Gazzette
e si è già sfiatati per l’Inter od il Milan
Dicono che è sciocco scavalcare il sindacato
che sa ormai «come trattare le sue bestie»
o rifiutare la tradizione di un partito
dimenticandosi della propria debolezza…
Sì, ho fatto con loro la strada
con Bassetti e Mario Capanna
polemizzando con Rieser o con Viale
e con Moreno e i fratelli Della Mea
in pellegrinaggio per le fabbriche di Pisa
verso Lucca o Livorno con Potere Operaio…
Coraggio, il mondo progredisce: l’avvenire è radioso
VI
Ma è lì che hai conosciuto il tuo futuro?
Professi forse l’incostanza?
Muoiono le nostre speranze
come mosche d’autunno
si ritrovano tutte alla finestra
stecchite ai piedi dei vetri
e, alla fine,
noi che volevamo l’eroismo
consumati in futili ristagni
scivolando e ancora scivolando
attraverso mille oscillazioni
ci siamo arresi alle nostre debolezze
privatamente e senza clamori
bene o male
così è la vita, Signori
«c’è chi scende e c’è chi sale»
e c’è anche chi si logora nel mezzo
radicato alle proprie impotenze
scontento comunque
dei propri compromessi.
Fa buio presto, adesso
ogni giorno un po’ prima:
in riva ai fiumi sedemmo e piangemmo
Si plachi il tuo sdegno, Signore
perdonaci.
Milano, Ottobre 1968
Fabrizio Bianchi – Nato nel ravennate, da sempre vive e lavora a Milano. Durante gli studi è praticante giornalista come segretario di redazione di una testata culturale, incaricato per le recensioni d’arte di una testata specialistica della Montedison e responsabile della pagina settimanale dedicata al mondo giovanile di un quotidiano nazionale. Dopo la laurea per tre anni svolge anche il compito di assistente volontario di critica d’arte all’Università Statale di Milano. Pubblica le prime poesie sulla testata culturale della SIPRA, concessionaria della pubblicità RAI. Dal ’68 al ’73 organizza mostre d’arte, collabora come critico alle fortune di una innovativa galleria milanese, vince i suoi primi premi letterari e il premio giornalistico Viareggio. E pubblica – come vincitore per l’inedito di un concorso – il suo primo libro. Per oltre vent’anni si occupa, come copywriter ed imprenditore, di pubblicità ed editoria video. Numerosi i premi ed i riconoscimenti ricevuti per la scrittura poetica, come le recensioni e le segnalazioni: è pubblicato su web, riviste, plaquettes e antologie. È stato selezionato per la poesia per i readings del Festival “Frontiere”, sponsorizzato da Musica! e dai jeans Levi’s (Antologia Molte più cose/Mappe della nuova intelligenza, edita da Castelvecchi). Ha scritto in coppia con Daniela Monreale il libro Corpo a Corpo, edito da LietoColle, e è stato per quindici anni direttore editoriale della rivista letteraria “Le Voci della Luna”, di cui ha fondato e diretto le omonime edizioni di poesia, oggi Dot.com Press, per un triennio partner per l’Italia dell’European Poetry Tounament.
Grazie.
E’ cosa buona e giusta dare spazio alla scrittura di Fabrizio, dopo tutta l’attenzione che lui ha garantito a quella degli altri.
Francesco
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