“A guardare / questa strada dall’alto / non si vedono polvere e ossa”: la lettura di Black Sicily (Arcipelago Itaca), la nuova raccolta di Fernando Lena che vede la luce a oltre tre anni di distanza da La profezia dei voli (Archilibri, 2016), mi ha richiamato alla mentre alcuni versi tratti da una canzone meravigliosa di Cesare Basile, Sotto i colpi di mezzi favori, canzone in cui l’autore catanese descrive con pennellate impressioniste la realtà estremamente complessa della Sicilia. Anche Fernando Lena racconta una Sicilia drammatica, fatta di piccoli paesi, di una provincia lontana dai grandi centri, ma lo fa dal basso, da dentro, con una vividezza di toni e colori tale da renderne tangibili i sapori, gli odori, gli oggetti. In questo senso l’approccio di Lena è decisamente non-poetico, in quanto privilegia – come è sempre accaduto nella sua scrittura – l’adesione alla realtà piuttosto che un distacco letterario: i luoghi sono strade, piazze, cortili, ma anche bar, parcheggi, ospedali, cioè gli stessi luoghi dove accade di vivere e a volte di morire.
Al di là della qualità della scrittura, che si traduce in un linguaggio teso e vivido ma non privo di epifanie sorprendenti e di dolcezze improvvise, quello che ancora una volta stupisce e impressiona nella poesia di Fernando Lena è il suo valore di verità. È infatti una poesia che non ha paura di sporcarsi le mani, di parlare di pizzo, di lampioni crivellati, di killer e di vittime, come se dapprima volesse disegnare una scena e poi, uno ad uno, inserire in quella scena i suoi protagonisti. Si tratta quasi sempre di persone dolenti, che esprimono il loro sforzo non soltanto nello stare nel mondo ma soprattutto in questa piccola e peculiare parte di mondo che è la Sicilia, a cui in molti casi dimostrano un attaccamento irreversibile (“a furia di mettere radici / aggiungiamo un po’ di morte”).
[…]
Non si tratta soltanto del dolore acuto e immediato del distacco, ma soprattutto di quello irrimediabile della perdita, che porta con sé un vuoto senza rimedio, l’impossibilità definitiva di un confronto forse troppe volte rinviato, una solitudine perpetua. Il titolo della terza sezione, quasi ironico nella sua drammaticità, è Centro Recupero Luttodipendenti: pare però che l’intera raccolta si fondi su un bisogno di fratellanza, sul tentativo di raccogliere le esperienze di ciascuno così da poterle condividere e in qualche modo farsi forza, capirsi per poter andare avanti e venire a patti con “quella morte comune / per sempre incompresa”. Così Black Sicily, nella sua bellezza scabra e ruvida, più che un libro di poesia diventa un gesto di accoglienza umana, la consolazione che viene da un uomo che riesce a dire la parola giusta perché egli stesso è alla ricerca di quel verso che “può ancora misurare il vuoto”.
(dall’introduzione di Francesco Tomada)
Dalla Sezione “C.R.L”
( Centro Recupero Luttodipendenti)
XL
Ci metti una vita,
a preservare l’economia del lutto
e poi da morto
sperperi tutto in un istante
mentre vieni guardato
come una sardina in scatola
durante una cena di sceicchi,
all’improvviso è la fame
di quel sentimento sparito per sempre
a farne della bocca
un ricordo che mastica
parole e parole.
XLI
Un centro recupero per luttodipendenti
pura follia? Qui come negli alcolisti anonimi
la parola diventa un’assatanata
sofferenza da spurgare,
Mara intanto ci racconta
di come ha perso Elisa
dopo uno stupro, il sangue
il suo respiro interrotto
nel baccello materno
e io? Dovrei raccontare
di come ho perso me stesso
guardando il cielo
da un cortile al buio
mentre il pollice spingeva
l’instabilità di qualche Dea
venuta a sussurrarmi che Marte
è appena fuori dalla vena
appena dopo che togli l’ago
e la musica allinea i pianeti
con un prurito e un dire rauco
disfatto dal silenzio.
XLIII
A mio padre,
il giorno del suo funerale
misi qualche verso
nella tasca della giacca
con la stupidità di chi
desiderava dalla poesia
una forma di eternità
e non mi sono mai chiesto
se ai vermi le parole
piacciono in salamoiate di lacrime
o croccanti di profezie
un po’ fumanti
come dopo i primi
cortocircuiti lisergici.
XLIV
Ci provi una vita
ad abituarti a dividere
la colazione con una cagnetta
e poi quanti i giorni
a connettere un linguaggio
con la bestia che hai in corpo
e se poi arriva la morte
a privarti dei suoi peli sul divano,
d’una zampa sulla primavera del tappeto
forse rimani ammutolita come Sara
con la gola senza un ricordo da sputare
e c’è la bava del dolore
di notte a strisciare sull’insonnia.
XLVI
Muore il vicino sussurra Erminia
e pensi a come sarà da adesso
il suo giardino, muore il fruttivendolo
e mi chiedo come sarà il peso
delle mie mele preferite
senza il suo tocco bilanciato da un sorriso,
muore il figlio del panettiere
lui così gentile in una curva di farina
scivolato nell’oblio abbracciando
un albero in coma, e poi muore
una parte di me, mio figlio
dietro una pompa di benzina
con un paio di proiettili nel torace,
l’odore di nafta con quella del sangue
radicale nelle vendette esecrabili
e non mi chiedo perché è il silenzio
a chiedersi come il dolore
con le sue capacità architettoniche
riesca a proteggermi dentro un simulacro,
morta anche io respirando la vita degli altri.
XLVIII
E’ un respiro pesante
quello che abbiamo da dirci,
pesante è l’intonaco della stanza
questa pelle di gesso
che come un ventre materno
vorrebbe proteggerci
quando siamo qui a parlarci
dimenticando la vita,
Massimo non vorrebbe capire dice
non vorrebbe intuire che qualcosa
si è rotto, dopo ogni morte
la frattura è un tramonto
che non puoi condividere
è quella giostra dove la sua bimba
rideva precipitata nella felicità
che solo l’aria ti dà
accarezzandoti come un aquilone,
lui non vorrebbe che quella giostra
si fosse arrugginita in una data,
ma noi siamo fatti di date
con un inizio e un’angoscia
e quell’alba in cui mio padre
morendo mi disse d’andare altrove
solo ora capisco che quell’altrove
è la paura di non poterci dire
quanto di umano c’è nel delirio dell’arresa.
(Altre poesie da Black Sicily qui)
***
Fernando è un altro di quei poeti che salta a piè pari il confine delle forme e delle strade già asfaltate della poesia italiana.
Figlio di letture che allargano il campo alla più prevedibile scrittura poetica nostrana, ci dona qui un testo di più ampio respiro, di stampo lirico-narrativo, più anglosassone, più apolide, più universale.
E ci mostra la parte più scura della Sicilia meno idilliaca. Finalmente.
Grazie
Nino
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Caro Nino grazie per queste concise illuminazioni critiche che in breve esprimo lo sforzo e la piccola rivoluzione poetica dalla quale è nato Black Sicily
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Caro Nino grazie delle tue brevi illuminazioni critiche, sottolineano alcune delle motivazioni e modalità poetiche sulla quale si fonda e si è libro il magma testuale di Black Sicily.
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