a cura di Giorgio Galli
Primož Čučnik è un poeta, editore e traduttore sloveno. È nato Lubiana nel 1971. Ha quindi assistito, proprio all’inizio della maturità, al disgregarsi del suo Paese e delle ideologie che lo sostenevano. Non è un caso che un’immagine ricorrente nelle sue poesie è quella del vento, simbolo di dispersione e di vuoto, e che l’atteggiamento prevalente sia un’ironia disincantata, un sorriso filosofico in cui par di sentire un’eco szymborskiana. Nelle sue poesie assistiamo a una sorta di skat letterario -lo skat è quel modo di cantare, tipico del jazz, per cui si accostano sillabe liberamente: il cantare alla Louis Armstrong, per intenderci- uno skat che però non è fatto di parole, ma di frasi. Frasi brevissime, incisive, apparentemente ingenue, che spesso coincidono col verso e che sono accostate l’una all’altra in un apparente disordine. E poesie che sono come mosaici: acquistano senso se guardate nell’insieme, e solo allora si capisce la preziosità dell’intarsio. Ecco, Primož Čučnik è un magnifico poeta di un mondo in cui la parola non conta, in cui il pensiero non conta, e in cui tutto ciò che è possibile è abbandonarsi a un piacere divertito della malinconia, a un sorridente attraversare il vuoto. Scettico per natura ma anche per formazione e storia, il poeta si fa beffe dei miti e delle ideologie del presente -”nuove finestre”: ma la finestra, come il vento, è immagine del vuoto- a cominciare dal mito dell’Europa, a cui dedica un excursus storico dissacratorio, che ricorda la Breve storia del XX secolo del ceco Patrick Ourednik (Quodlibet, 2015). Evidentemente, l’anima slava contemporanea non può non rileggere con dissacrante ironia la storia -quella storia che, nel ventesimo secolo, la ha travolta.
Qui presentiamo sei poesie dalla raccolta Trilogia (variazioni 2004 – 2014), edita da incertieditori nel 2016 nella traduzione di Michele Obit e con note di lettura di Loredana Di Pietro e Giampaolo De Pietro.
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Dovremmo registrare questi giorni
con tutte le videocamere ed i microfoni
che possiamo
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Forse così comprenderemmo
che sono stati “i giorni delle nostre vite”
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Anche se non abbiamo votato per essi e non c’erano coalizioni
che potessero appoggiarli o respingerli
tutto è rimasto nelle mani del vento
di alberi agitati e d’alcuni rami
che ristagliavano dalle ombre
son divenuti chiari, rinverditi dalla luce
con un’incredibile fermezza prendevano le proprie difese
e si chetavano nei movimenti, nella seduzione del vento
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Non chiedere quindi
che ti dia qualcosa di simile
perché non conosco la risposta
sono qui per ascoltare
e legato alla curvatura
che spinge al silenzio, nutre con il rumore,
inutile è il tentativo di aprire la bocca, dire qualcosa
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Così grande è in questo momento!
che l’ombra, là fuori, significa pace
penso alla pace così come ci si sfiora
o si gioca in due con le dita sui palmi
incrociandole, dopo un po’ è tutto chiarito
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Così forse comprenderemmo
che questa mattina ci siamo incontrati e questa sera
ci accomiateremo nella dissolvenza
in un ameno chiaro di luna
con questo prezioso ritmo elegiaco
che nessuno ha votato per questi sogni o altri
tradimenti, colpe, sconfitte
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Dovremmo forse tenerne conto
nella spiegazione semplicemente e in modo implicito
come i giorni delle nostre vite
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Da “Accadimenti d’aprile”
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3
Il cambiamento è più chiaro, più lesto di noi!
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E ancora questo, dimenticavo di dire.
Questo vento continua a prendersi gioco di noi.
Ma noi stessi non siamo abbastanza seri, no,
una percezione che vale oro.
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4
in realtà, tutto era diverso.
Un aprile come gli altri, con una luce diffusa
e qualche brutta notizia. Questo non dovrei
dirlo. Eravamo pronti ad affogare la felicità
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in un cucchiaio d’acqua. Era diventata
prevedibile, noiosa, sempre più
frutto dell’abitudine. Non vuoi questo, anche se
non lo riconosci, questa è la cosa peggiore
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che possa capitarti. Ed è accaduto,
per questo abbiamo subito bramato il cambiamento.
Quello che non avverrà mai, non per forza.
Per iniziare quindi alcune incombenze urgenti
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ed il codice numerico, così potrai telefonare.
“Attraverso le nuove finestre sono pronto
a vederla diversamente.” Hai detto questo –
ma cosa volevi dire?
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Il sole tramontava nello specchietto retrovisore.
Automobili in fuga. Un chiarore abbagliante.
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Scelte passeggere
Il bambino al piano di sopra piange.
Mi sono appena asciugato i capelli. Ascolto Ryoanji
per quattro solisti e orchestra. Tutte le mie esperienze
sono rivolte alla letteratura.
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Non ho mai avuto dei pattini.
Sui roller non sono capace di fermarmi.
Anche quello che la meditazione fa
per chi pattina senza la necessaria stabilità,
è rivolto alla letteratura.
Vedere e pensare le cose, prendere posizione,
pranzare e bere caffè,
parlare ed amare, innamorarsi,
dimenticare, fare dei passi avanti
e indietro, tendere le orecchie e tastare,
cambiare, questa è soltanto una sfida.
Punti di vista o prospetti
sotto i quali ci vediamo.
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E’ che le lingue che escono da più bocche
sono una lingua. Stavo appena parlando al telefono.
Tutta la mia immaginazione e ciò che è davvero accaduto
e ciò che potrebbe, è rivolto alla letteratura.
Sento una voce e la trascrivo come mia.
Come fosse il canto di un coro.
Noi persone possiamo toccarci,
fare errori o non capirci l’uno con l’altro.
Il tempo è come un giudice,
ma possiamo far finta non sia quel bambino.
“Non ho tempo”, diciamo, ma cosa vogliamo dire?
I diversi significati ravvivano le conversazioni.
Il male peggiore è il significato senza vita.
+
Così il sole può sorgere ed immergersi
nel mattino, anche nelle ore di grigio.
Sono quasi nudo e scrivo, Ryoanji sta smettendo di suonare.
Il vento si preoccupa di farti scivolare
e perderti, sa però sempre
dove sei. Quando la musica cesserà,
vi prego, accendete le luci.
+
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Da “5000 anni di Europa”
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1
La struttura è più complessa
che nella pianta di un’agorà ateniese,
ma funziona quasi allo stesso modo.
+
La gente di città gira per le piazze
ed ascolta la musica concreta dell’intorno.
I piccioni si bagnano nelle grondaie
+
e spruzzano gli amanti del tè seduti di sotto.
Bere il tè è pratica importata dall’Oriente.
Il tè verde georgiano non ha nulla a che fare con la Georgia.
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Le bustine russa o indiana è bene
sollevarle. Qui giungiamo
con le nostre opinioni, anche se non ne abbiamo.
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Gli antichi Greci ci danno la cornice
per dei discorsi immaginari.
I piccioni cagano sulla “pianta di un’agorà ateniese”.
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*
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Istruzioni per l’uso
Gioisci almeno due volte.
Non ha effetti collaterali.
Non danneggia chi ti sta attorno.
La contagiosità non è fatale.
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Uccide più lentamente del fumo.
Fai attenzione agli spazi tra le righe.
Ingrandisci, guarda cosa c’è tra le lettere.
Dapprima solo tocca leggermente.
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Scuoti prima dell’utilizzo.
Ciò che eccede, cadrà.
Ciò che eccede non lo farà più.
Vorrei regalarti un ramoscello.
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Una rosa, vorrei regalarti.
Alcune punture non sono piacevoli.
Sono però belle.
Alcune ripetizioni non lo sono.
+
Prima dell’uso leggi con attenzione.
Come segue.
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.
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