di Nino Iacovella
Capita, non spesso, ma capita, che buoni esordi in poesia avvengano da autori maturi (ossia sopra la soglia oramai canonica degli “under 40”) e spiazzino positivamente il lettore.
È il caso di Andrea Mella con Il misantropo dei Sargassi, edito nel 2018 per i tipi delle Edizioni del foglio clandestino, casa editrice molto attenta a sostenere accuratamente i propri progetti editoriali, inclusi quelli di poesia, con pochi e mirati libri. Quello di Mella è uno di questi.
È una raccolta incentrata sul tema del mare e delle sue evocazioni, tra le quali quella del viaggio dei naviganti: la tappa esperienziale della vita degli uomini. Avventura e destino, l’odissea umana.
Lo so, non trovo nessuno tanto sincero
da dire: hai torto a stare rintanato,
malpagato, nell’orto fatto di mura, carta
e videoterminale; nella periferia, circondato.
Sul curriculum non l’ho scritto
meglio tacere le inclinazioni
nessuno conosce le virtù del ritiro
i litri di vino stillati nello sfintere
il rodimento vivo e mai palese
il riordino, la ritirata
nessuno conosce più il greco, la lingua, se non i greci
ma quelli hanno il mare e il miele per condire
la malinconia.
Il libro comprende, inoltre, in una sezione specifica intitolata Transito, anche la versione più drammatica del viaggio in mare, quella affrontata ai giorni nostri dai migranti con imbarcazioni di fortuna dalle coste del Nordafrica a quelle del Sud Europa.Tra immagini e linguaggio fuori dai canoni più riconoscibili della poesia che si scrive oggi, Mella ricorre nei suoi versi a una efficace miscelatura di narrazione e di lirica, che contraddistingue la sua forte vocazione al dire, così come la sua capacità di racchiudere, all’interno della parola, immagini originali e dai contenuti emozionali sempre intensi.
L’apice di questa intensità viene raggiunto proprio nella sezione dedicata ai migranti Transito, a mio avviso la più riuscita, dove il rischio del “naufragio compositivo” del poeta, della possibile caduta patetica dovuta al proprio “sguardo morale” su tali accadimenti drammatici, viene evitato proprio dall’allontanamento della propria presenza autoriale giudicante. Qui, Mella, rimane fedele all’equilibrio dell’osservazione e della parola, frutto di una maturità di scrittura che si lascia particolarmente apprezzare.
Il misantropo dei Sargassi, Andrea Mella, Edizioni del Foglio Clandestino, 2018, Sesto San Giovanni
L’ANELLO DELLE MAREE
Quando la nuda sembianza
si aggrappò alla figura,
guardai altrove
e l’aria pareva
punteggiata di respiri
oppure – non ricordo
scambiai l’anello delle maree
a un prezzo anteriore, sfasciato
sulla battigia con me cencio
tarmato da acqua e tempo, tornato.
TU CHE GUARDI
Tu che guardi il mare
e non sei affranto, non hai cedimento
neanche a ridosso del bagnasciuga.
I capelli perdono il vento,
la prima rima, la linea sottile che sposa
i ricordi.
Alla fine della giornata, metti una moneta
nel calcetto. Ti giochi una mezza bottiglia di sambuca
e ti arrabbi inventando un grido, una nudità
nella quale forse sei giaciuto. Hai parole politiche
e segni il cuore sopra la camicia mentre tutta la taverna
è una macchia di radica. Qualcuno rompe un bicchiere
come potrebbe rompere il guscio di un uovo.
Tu, non smetteresti di ignorare I’orario, porteresti via
[anche le barre
se fosse per te, hai fatto il partigiano
tu lo sei stato: tutto l’inverno dell’ultimo anno;
poi addetto alle pompe al Petrolchimico
e infine lasciato da una figlia, imbrogliato dagli alimenti.
Non puoi capire chi svende una fiaba per notte,
chi si arrende alla risata storta, chi dice
non sono più tempi.
Sorridi, soffi, richiami nel porto le meduse
quando finisce il pane per i gabbiani e le voci
spruzzano promesse e desideri, ma lontani
e mai da soli, come un canto che viene dal nido.
Tomi a guardare nel nero del mare. Puoi stare bene.
TRANSITO
II viaggio si è fatto largo, solo un fremito,
a galla nella testa, nei discorsi mezzo evaporato,
un tappo nello stagno.
Deragliata la voce combatte
coi guasti del generatore a gasolio, annuncia
pesce fritto (quando tornerà l ‘elettricità:
una cernia d’oceano o pezzi dal fiume),
per ora si può giacere sullo zenzero, spaziare
avverte, la voce: è troppo lunga la strada,
più lontana
delle vite di tutti. l’una accanto all’altra.
***
Riempire la clessidra con le domande delle dune,
questa l’eco malmessa del tempo. Anche il tempo
si dissolve sotto uno zenit siderale, possente
di un ‘unica linea vertebrale.
Riempire i volti di luce, prima dell’ingorgo
del tramonto. Nella notte tornare a far respirare
la salvezza. Per salvarsi, si sa, occorre avere i piedi
e una stella che si metta a funzionare.
***
Gli strati d’aria più prossimi al futuro
dolgono bollenti, hanno messo di confortare,
porgono, tra le rovine annientate dal sole,
un digiuno di fango rosso. La fabbrica
degli astronomi disegna miraggi che confondono
ritira i dollari per mettere le anime su piste
nemmeno più evidenti dell’afa spostata
da un saluto. E i corpi marciscono nei cassoni
di uno Scania oppure fanno una questua
permanente
con le scapole attorcigliate nell’autostazione.
***
Per risparmiare non si può rallentare il respiro
nell’acqua delle taniche vogano
le spine della sete, così le ansie portano il rumore
del camion a squarciare la geografia, le ghiaie,
i semi precipitati da chissà dove e le palme
da dattero, se non sono un’illusione.
Passa, lungo piste di schiavi di impossibile
lettura, la carovana. Anche se nessuna pupilla,
nessuna stella, più brilla, chiusa nel fagotto,
nessuna tanica balla più, nessuno stomaco.
Bevi l’ultima acqua prima di maledirla, detta
una voce allo stremo. Sembra venire da un faro
Ma un faro, nel deserto, di certo non c ‘è.
Foto tratta dalla pagina Facebook dell’editore