RUGGINE E ORO. Le leggi della ruota antica
Marco Munaro è un mio fratello, condividiamo da vent’anni l’ustione la grazia la sonda la fregola bambina della poesia. E anche la fatica quotidiana per intrecciarla con la vita. C’ero già nel 2003 quando Marco, in veste di soave maieuta – come lo ha definito Umberto Simone – avviò la straordinaria avventura del Ponte del Sale. Quindi mi conosce bene e sa il rigore del mio monaco interiore e quanto non mi senta adatto alle recensioni canoniche. Brindo a RUGGINE E ORO e saluto a modo mio libro e autore.
…Vedo il groviglio delle acque separate, sento
il labirinto dei loro vasi comunicanti.
Annoto subito questi due versi, tratti dall’incipit del volume, perché ai miei occhi custodiscono lo sguardo e la postura più profondi con cui è stato scritto. Subito dopo vi parlo della foto qui pubblicata. La foto che Marco mi inviò appena la sua nuova creatura uscì dalla tipografia.
RUGGINE E ORO: ancor prima che ricevessi la mia copia come socio del Ponte, Campanellino – chiamo così l’annuncio buono per il me lettore – mi segnalava che quel titolo, brillìo e pepita, ci suonava strettamente familiare. Ci, ossia ll’intera confederazione delle mie anime, a noi che con i villaggi e le radici abbiamo fatto capriole nell’erba conti serrati lotte all’ultimo sangue. Guardate la luce nella foto, la polvere dorata della copertina che illumina il legno e il color ruggine del pavimento di cotto. Traduco il titolo a modo mio: la ruggine, la ruggine radiosa di Lèdo Ivo, citato in esergo, la ruggine che si deposita lungo la vita che passa, e l’oro che si deposita lungo lo stesso cammino vanno affidati non solo al ricordo ma al complesso della memoria, e per acquisire un senso più utile e compiuto reclamano di essere nominati dalla parola profonda della poesia.
Il Ponte del sale, Rovigo, 2020
Galilei
A Co’
Cosa vedi laggiù dalla finestra?
Un muro, una ragazza che passa
o una formula che spiega il tempo?
È maggio siamo avvolti dalla
maestà degli alberi verdi e quasi in fiore
io guardo i fili d’erba matta
le spighe d’oro
i cardi che fra poco scriveranno
i loro calligrammi nell’aria
e penso al tuo pensare
alle parole di una canzone amata
correndo
la mattina quando suonano le campane
nella via deserta
e ti svegli
Ciuso E Ciaro
Arrivano in coppia a piedi con una
graziella a mano parlando sospesi
tra la legge Basaglia e il nulla in via Orti
i matti,
dalle caldaie dall’oratorio
dai polli dalle bietole da tutti
quei letti tutti quei bottoni
rovesciati per terra.
Parlano una lingua indecifrabile a
brandelli tra la guerra e l’alluvione.
Mi muovo tra i mattoni
crollati del fienile
e l’edera si arrampica ed inghiotte
le case, sacra a Dioniso.
Erano in due,
parlanti in una lingua
ignota Ciuso e Ciaro e barcollavano
come fossero brilli
scampati fuori tempo
i parenti cangianti della luce
dell’aria della terra
e delle lentarine
nel fosso, di quello che c’è – e poi
scompare.
Proprio ieri stavo trascrivendo una poesia dedicata a Pier Luigi Cappello scritta da Marco Munaro e tratta del dolce e bel libro Ruggine e Oro. Ora la pubblico e se non dispiace allego il link a questo suo articolo, Grazie per la bella recensione/non recensione.
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