perìgeion

un atto di poesia

Antologia degli oppressi

clementelli_mauro_antologia_degli_spirituals_1

di Giorgio Galli

All’improvviso mi cadono gli occhi su un vecchio libretto della Newton Compton, di quelli che si vendevano nelle edicole a mille lire l’uno: si intitola Antologia degli spirituals. Traduzione e cura di Elena Clementelli e Walter Mauro. Lo apro. La prima poesia mi balza incontro con la sua straordinaria informalità:

*

«Oh, due chiacchiere con Gesù sistemano tutto, tutto.

Due chiacchiere con Gesù sistemano tutto, tutto.

Signore, guai d’ogni genere,

Ma, grazie a Dio, ho trovato sempre

Che due chiacchiere con Gesù sistemano tutto.

 

Fratello mio, io mi ricordo che, quando ero un peccatore dannato,

Gridai “Abbi pietà, Gesù”

Ma l’anima mia era ancora inquieta;

Finché sentii il Signore che diceva

“Vieni, io sono la via”,

E due chiacchiere con Gesù sistemano tutto.

 

A volte il fulmine biforcuto e il tuono fragoroso

Dei dolori e delle tentazioni ci mettono a dura prova,

Ma Gesù ci è amico,

Egli ci proteggerà fino in fondo.

E due chiacchiere con Gesù sistemano tutto.

 

Oh, due chiacchiere con Gesù sistemano tutto, tutto.

Due chiacchiere con Gesù sistemano tutto, tutto.

Signore, guai d’ogni genere,

Ma, grazie a Dio, ho trovato sempre

Che due chiacchiere con Gesù sistemano tutto.»

 

Le ripetizioni e la struttura circolare sono tipiche del genere. Ma quello che più colpisce è il tono familiare della composizione, insieme alla labilità -o forse è libertà?- dei nessi logici. Le stesse caratteristiche che ritroviamo in un’altra poesia, dedicata all’approssimarsi della morte:

 

«Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere:

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.

 

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere:

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.

 

Sono andato al cimitero l’altro giorno,

Io sento che il mio tempo sta per scadere;

Ho guardato a lungo dove riposa mia madre,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.

 

A volte sono sollevato, a volte sono proprio giù,

Io sento che il mio tempo sta per scadere,

E a volte sono a terra,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.

 

Attento, fratello mio, a come attraversi l’incrocio,

Io sento che il mio tempo sta per scadere,

Potresti mettere un piede in fallo e la tua anima sarebbe perduta,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.

 

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere:

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.

 

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere:

Io sento, io sento, Signore,

Io sento che il mio tempo sta per scadere.»

 

La semplicità di queste formulazioni, il tono apodittico ed esclamativo, la libertà dei legami associativi, le immagini tratte dalla vita quotidiana ci ricordano una grande antologia europea della poesia popolare: Il corno meraviglioso del fanciullo di Arnim e Brentano, da cui Mahler trasse molti testi per i suoi Lieder. Che cosa hanno in comune gli spirituals e i canti popolari della Slesia? Di sicuro l’essere espressione di un universo oppresso. La rassegnazione e la rivolta degli umili sottostanno a entrambi. Ma nel vocabolario dei neri d’America, schiavi, la rivolta è percepibile soltanto a contrario, tra le pieghe di un universo in cui la rassegnazione è la nota dominante. Prendiamo per esempio questo passo (i versi in corsivo sono cantati dal coro):

*

«Va, Mosè,

Là in terra d’Egitto,

Dì al vecchio Faraone

Di lasciare andare il mio popolo!

 

“Così ha detto il Signore”, l’ardito Mosè disse,

Lascia andare il mio popolo!

“Altrimenti colpirò a morte i vostri primogeniti”.

Lascia andare il mio popolo!

 

Va, Mosè,

Là in terra d’Egitto,

Dì al vecchio Faraone

Di lasciare andare il mio popolo!

 

Non faticheranno più come bestie in schiavitù,

Lascia andare il mio popolo!

Finiamola dunque con lo sfruttamento d’Egitto,

Lascia andare il mio popolo!»

 

È evidente l’identificazione dei neri d’America con gli ebrei oppressi dalla schiavitù d’Egitto. Confrontiamo ora la poesia con un passo dell’autobiografia di Malcolm X: “Credo che ora Dio stia concedendo alla cosiddetta società bianca cristiana l’ultima occasione di pentirsi ed espiare i suoi delitti: avere sfruttato e reso schiavi i popoli di colore di tutto il mondo. È proprio come quando Dio diede al Faraone la possibilità di pentirsi, ma questi rimase fermo nel suo rifiuto di fare giustizia in favore di quelli che aveva oppresso e, come sapete, Dio distrusse il Faraone”. L’identificazione col popolo oppresso si è trasformata in capovolgimento attivo dell’oppressore, il sogno di liberazione in spinta al suo annientamento.

Come scrivono Elena Clementelli e Walter Mauro nell’Introduzione, “gli spirituals sono canti di dolore che esprimono, o meglio nascondono perennemente un dramma umano, ma anche una speranza in una migliore sorte futura”, e in essi “va sottolineato il vivo e caldo senso di partecipazione umana del nero alla condizione di Dio-uomo nella sua incarnazione in Cristo”.

Gli schiavi neri sono più oppressi, più umili dei contadini della Slesia. Per questo, una figura come quella del soldato che si lascia distrarre dal suono di un corno alpino, presente nel Corno meraviglioso del fanciullo, non è nemmeno concepibile nell’immaginario della gente di colore di fine Ottocento. Non è possibile agli schiavi neri nessuna distrazione, nessuno scarto dalla norma. Il cantare in sé, lo spiritual in sé è l’unica distrazione possibile e la speranza di riscatto è tutta nel regno dei Cieli, secondo una visione cristiana che è stata usata contro i neri e che i neri hanno adottato: forma estrema di alienazione e al tempo stesso unica consolazione:

*

«Potete seppellirmi nell’Est,

Potete seppellirmi nell’Ovest,

Ma io sentirò squillare la tromba quel mattino,

Quel mattino, mio Signore,

Ho tanto desiderio di andare,

A sentire squillare la tromba,

Quel mattino.

 

Tutti i buoni Cristiani quel giorno,

Metteranno le ali e voleranno,

A sentire squillare la tromba quel mattino,

Quel mattino, mio Signore,

Ho tanto desiderio di andare,

A sentire squillare la tromba,

Quel mattino.»

 

Non manca l’ammirazione ingenua dell’oppresso per la forza -e di qui il prevalere di immagini tratte dal Vecchio testamento:

 

«Leggete su Sansone sin da quando nacque,

Fu l’uomo più forte mai vissuto su questa terra,

Leggete di quei tempi antichi,

Egli uccise tremila Filistei.

 

Fermatevi e lasciatemi raccontare quello che fece Sansone,

Guardò il leone e il leone fuggì via,

Ma Sansone lo stese morto

E le api nella testa del leone fecero il miele.»

*

Insomma, questa Antologia degli spirituals è prima di tutto un’antologia di ciò che si muove nell’animo degli oppressi, dei meccanismi che lo dominano, delle aspirazioni -timidissime- al riscatto.

Informazioni su Giorgio Galli

Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato in Scienze della Comunicazione a Siena. Vive a Roma dove per due anni ha gestito una libreria indipendente. Ha pubblicato "La parte muta del canto" (Joker, 2016), ritratti biografici di grandi musicisti del passato; "Le morti felici" (Il Canneto, 2018) e “Le voci sopravvissute” (Gattomerlino, 2020), piccole collezioni di brevi prose poetico-narrative; il racconto lungo “Il matto di Leningrado” (Gattomerlino, 2021) e la raccolta di poesie "Canzonacce" (Delta3, 2021).

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