di Barbara Pumhösel
“La poesia è qualcosa che gira per strada”, diceva Federico García Lorca “Che si muove, che passa accanto a noi. Tutte le cose hanno il loro mistero, e la poesia è il mistero che hanno tutte le cose. Si passa accanto a un uomo, si guarda una donna, si indovina l’incedere obliquo di un cane, […]”[1]
Ecco. Il poeta, attraverso quell’incedere obliquo, ci porta dritto nel centro del discorso poetico canino e la sua andatura (anche) sulla pagina. Sul ritmo in poesia è stato riflettuto, scritto tanto, a cominciare dall’apparire dei primi versi scritti, dalle evocazioni, preghiere, desideri di colloquio con entità superiori, non umane che richiedevano linguaggi diversi, non utilitaristici, canti, suoni che creano melodie e rimangono nell’aria.
Non c’è rito che non coinvolga ritmi – evoluzioni o variazioni, ma comunque nati dai primi, essenziali e indispensabili come il battito cardiaco, il susseguirsi dei singoli respiri e dei passi. Il ritmo contribuisce a evocare colori, a rendere visibili figure e enigmi nascosti tra le righe. Non a caso, nella metrica classica si parlava di piede come misura – piedi che si muovevano nella danza, vertevano, battevano il tempo, e semmai, contavano le battute.
Il cane conta le
vocali di
rincorsa, l’attesa
lo sovrasta,
quasi è più forte
di lui. Essere che
ascolta vocali
aperte e pure
sguardi che si
trattengono in
silenzi, ancore e
salti. E sotto un
geometrico
schietto raggio si
manifesta tutto
quel sole sua
meraviglia di
sempre, grazia e
ringraziamento
Che succede se il ritmo che porta avanti il discorso poetico, parte da quattro zampe e non da due piedi? Potrebbe nascere una raccolta come quella di Giampaolo De Pietro, dedicata al cane Tobia, il cane corallo/ che corteggia ogni cespuglio.
Anche qui l’entità non è umana – e non è nemmeno una divinità – ma ha comunque un’anima (o qualcosa di simile giacché in quanto forma e consistenza ne sappiamo poco anche della nostra) e si chiama animale. Mammifero, sia chiaro, come noi, ma con un ritmo, un numero di zampe diversi e un’angolatura propria sul mondo, sul paesaggio e sui vari vis-à-vis, sia umani, animali o vegetali (e cambia anche le nostre).
Vivi-da terra.
Vivo-il col-ore. Da
quando ti ho
conosciuto sono
prato da un capo
all’altro il nostro
Pure il modo di comunicare segue altri canali – attraverso il movimento, il corpo intero, la coda, il pelo, le orecchie, la capacità di leggere il suolo attraverso l’olfatto che permette sfumature e approfondimenti che a noi umani sono negati. C’è uno scorrazzare allegro, uno sguardo obliquo, finestre sul paesaggio costruite con i versi, ci sono tutti gli ingredienti, e intorno, lieve e assoluto – sempre presente – la consapevolezza della fine.
I disegni di Francesco Balsamo, poeta e artista visivo, arrivano come ombre tra rami, delicati, passeggeri e in dialogo con i versi, mai solo “illustrazione”.
L’essere canino che si porta dietro l’umano al guinzaglio sarà capace di creare sinestesie attraverso qualcheduno dei suoi sensi più sviluppati, creazioni subitanee, dell’aria e del momento, poesie istantanee, concrete e fugaci.
La riflessione filosofica sul rapporto tra esseri umani e animali ha origini antiche, ma ultimamente chiama in causa anche aspetti etici, religiosi e scientifici, e come vediamo nei versi di Giampaolo De Pietro, anche poetici.
Lunga
lunga ombra
della mancanza
mi stai di spalle
e fiuto a fiato
mi allunghi a te
e io a me – siamo
davvero lunghissimi:
infiniti, direi.
[1] Intervista del 27 luglio 1936 (Trad. di Milton Fernàndez)
Giampaolo De Pietro, Dal cane corallo.
Disegni di Francesco Balsamo, Arcipelago itaca 2019
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Bellas letras
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L’ha ripubblicato su inni in vanie ha commentato:
Grazie alla precisione della lettura di Barbara Pumhösel, alla gentilezza di Nino Iacovella e l’accoglienza di perìgeion, grazie sempre all’editore e a chi ha lavorato al libro con me, Francesco, Alessandra, Cristina. E soprattutto, grazie a Tob.
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Grazie a te Giampaolo e a tutti i lettori e simpatizzanti del nostro blog.
Nino
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E’ sempre un grande piacere ritrovare Giampaolo e la sua poesia.
Fra quelli pubblicati qui, poi, l’ultimo brano è micidiale.
Francesco
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Nino, Francesco y J.LL.Folch: grazie! Questa sì che è accoglienza! G.
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Lo leggo più volte e continuo a meravigliarmi della profondità dell’opera sotto l’apparente semplicità del racconto di un poeta e il suo cane.
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Giampaolo riesce a commuovere e ad “assorbire” il lettore anche parlando di una foglia. Qui sta la sua importanza: essere sempre dietro ciò che guarda, quasi sparisse. Come un illusionista, fa muovere quel che tocca, fa vivere quel che guarda. Lo conosco da tempo e le sue poesie mi hanno sempre coinvolta. In questo libro però materializza la propria presenza, ed ecco il libro più “umano” di De Pietro. Altro gioco di prestigio naturalissimo, il ruolo di Tobia e quello del poeta si sdoppiano e ricompongono, in un affascinante gioco di specchi. Tutto costantemente semplice, quanto può esserlo la verità.
Cristina Annino.
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