Senza Titolo 43
Lo sappiamo entrambi
che l’essenza del viaggio sta nel primo passo,
staccarsi dal nido, oscillare sul dirupo.
Lo vediamo bene
il nostro stare sospesi in alto
mentre il treno di sotto taglia la campagna
e ricuce luoghi con una linea retta, una sigaretta
che si assottiglia nella sala d’attesa,
il circuito della lancetta.
Solo chi sta al nostro fianco
sa che dall’ala di qualunque aereo
tutti i balconi di Lisbona sono uguali
e non c’è rampicante che tenga
nemmeno un vestito fiorito steso al tepore,
un fremito un battito un lirico alito
che stringa la distanza.
Ma dammi ancora la mano ora che precipitiamo
su poli commerciali pressati di negozi
su file di cartelloni con scritto saldi
e sulle offerte take away di cibo giapponese.
Prendimi entrambe le mani, ti prego
prendi la cloche di comando,
voglio tappare ciascuno dei tuoi singhiozzi
frattanto che scendiamo giù negli inferi
imprecando contro una qualsiasi divinità uccello
per trovarci un mantello di piume mai usato.
***
LE CENTO CITTÀ
Il mare non bagna i tuoi piedi
li lambisce, si insinua
tra le loro pieghe, sotto pelle.
Le nuvole e le stelle non ti guardano le spalle,
restano distratte
da un jet che passa
dal blues in un locale in cui si suona
da una busta di plastica bianca
in un angolo, lasciata sola.
I gatti non si strusciano sulle tue caviglie
si inseguono tra i bidoni fuori dai ristoranti
e mi dici che sono falsi
e si lasciano accarezzare solo per riempirti di peli.
È la città che mi esplode nello sterno
con il suo cemento liquido
a guardarti e toccarti
a lambirti e spettinarti,
è una città
con il deserto di Gobi e i parchi di Londra
con le sete di Damasco e le nubi dell’isola di Terranova
e con tutti i sali e scendi di San Francisco.
Il mare non bagna i tuoi piedi
li lambisce, si insinua
tra le loro pieghe, sotto pelle.
Le nuvole e le stelle non ti guardano le spalle,
restano distratte.
Ma sui muri di questa metropoli
ci sono occhi e orecchie, bocche e marmi
ci sono le mie mani che scrivono
che sei città dentro la mia città,
che sei città fatta di altre cento città.
Ogni senso ha come direzione il tuo centro
quando distratto
mi perdo con incedere lento, incerto
tra mostre di manichini spenti e portici dormienti
prima di salire sul quattordici, a mezzanotte.
***
CERCA IL MIO CORPO
Cerca il mio corpo tra la carta
appallottolata, in fondo al cestino
tra indizi di scrittura
e le pagine di un giornale.
Oggi sono un giro di danza
sul guado della punteggiatura,
un flusso di coscienza
legato a fili di inchiostro, un mostro
di bellezza e natura.
Cercami ora
che sono un punto nero e cauto
e volo e mi specchio e spiego
che dietro l’anima liscia
vi è un calarsi nella tempesta,
retrocedere nel cuneo,
essere primordiale.
Cerca il mio corpo sulla carta,
lì il mio passo non pesa, si fa tenue
come zucchero a velo
come disegno
su una spiaggia di bicarbonato.
***
INVITO ALLA POESIA
Le orchidee stanno ferme a morire
mentre un convoglio merci tira dritto per la pianura
e il postino consegna le ultime lettere.
La pazienza del sole
ha portato frutti carichi di succhi
è tempo di vendemmia – anche di parole.
I ricordi fanno gara a non sbiadire lenti
sulla pelle, di nuovo
un certo tepore – è la tua mano
che mi viene a cogliere.
Mi dici di entrare.
La tenda antimosche svolazza
porta sentimento di spazio e libertà
e sa bene
che tra poco lascerà il posto alle persiane chiuse,
all’intonaco e alle ombre cinesi.
Dovremmo ritornare primitivi – aggiungi
stupirci davanti ai sortilegi
dei camini accesi. Io lì già ti vedo:
il tuo profilo disteso al fuoco
il riflesso giallo e rosso a farti da contorno.
È un invito alla poesia.
***
Senza titolo 60
C’è chi cerca la libertà
al bancone di un bar
davanti a birra e noccioline.
C’è chi trova la felicità
in un pompino fatto sotto casa
dalle labbra di una bella nigeriana.
C’è chi incontra la città
alle cinque e trenta del mattino
appena prima dell’alba
appena prima di finire il turno.
C’è chi ha la responsabilità
di dire sempre il vero
e chi ha imparato a proprie spese
che le ombre non sanno mentire mai.
C’è chi crea la sua realtà
nel cartone di una scatola digitale
convinto che sia tutto chiaro
certo degli angeli in paradiso.
C’è chi spegne sigarette
e chi accende un lume
chi se ne va lontano a sputare
invece di rimanere e ingoiare.
C’è chi butta tutto questo
tra le cosce aperte di una poesia
e spenta la luce ci fa l’amore
e poi aspetta.
Molto apprezzate. Tutte.
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Pingback: Matteo Rusconi, inediti — perìgeion – Parole & Carriole
lieto per questo spazio allo spessore della tua poesia
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