traduzioni di Michele Obit
Rembrandt van Rijn, avtoportret, 1669
Golo čelo je najsvetlejši del slike.
Pogled je nekoliko utrujen, molčeč,
kapa in sivi lasje izginjajo v temo ozadja –
Mojster je star, žena in sin sta umrla,
imetje pošlo, dragocene slike
prodane, da bi poplačale upnike.
O njem govorijo v pretekliku,
naročil je malo, vedno več
je rjavih in sivih tonov.
Čeprav mojster ve, da je vse
enako neresnično in neobstojno,
še vedno občuti bolečino in razočaranje.
Njegovo življenje je postalo majhno,
doseg roke in misli krajši, ne zmore več
drugega kot majhne korake.
Potezo za potezo. Pogosto brez cilja,
brez pomena. Ko se ustavi, se za hip zazre
vase, v vse svoje naslikane obraze –
najde nekje v globini oči
blag in, kljub grenkobi, prizanesljiv
smehljaj? To je umetnost:
ne osenčiti oči, temveč
sredi teme naslikati
nenadejan izvor svetlobe.
Rembrandt van Rjin, autoritratto, 1669
La fronte nuda è la parte più chiara del dipinto.
Lo sguardo è come affaticato, laconico,
il berretto e i grigi capelli scompaiono nel buio dello sfondo –
il maestro è vecchio, la moglie e il figlio sono morti,
gli averi venuti meno, i preziosi dipinti
venduti per poter pagare i creditori.
Di lui parlano al passato,
gli ordini sono pochi, sempre più
sono presenti i toni marroni e grigi.
Anche se il maestro sa che è tutto
allo stesso modo instabile e irreale,
continua a sentire il dolore e la disillusione.
La sua esistenza si è fatta piccola,
l’ampiezza del braccio e dei pensieri è più corta, non può
fare altro che dei piccoli passi.
Tratto dopo tratto. Spesso senza un fine,
senza senso. Quando si ferma, per un attimo fissa
se stesso, i suoi volti dipinti –
da qualche parte nel fondo degli occhi trova
un mite e, malgrado l’amarezza, indulgente
sorriso? L’arte è questo:
non offuscare gli occhi, piuttosto,
in mezzo al buio, ritrarre
l’inattesa sorgente di luce.
*
Saskia
Naslikati to žensko, ženo,
njeno mehko kožo, njen vonj,
preden se umije po napornem dnevu,
kako puhti iz vseh pregibov,
kjer se deli telesa lepijo med sabo.
Način, kako si spne lase,
kako ji vsake toliko uide koder, kako
se nasmehne. Kako se ji tresejo
prsi v smehu, kako v ljubezni in kako po njej.
Kako speča ne sluti, da skiciraš njene odtise
v blazinah, njene gube, vse trenutke
majhnega življenja, stisnjene
v bežen poljub snopa svetlobe s kožo.
Sledi donošenih otrok na njenem trebuhu,
sledi nedonošenih in prezgodaj vzetih k Bogu
v kotičkih njenih ust in oči,
v ostrini, v odmaknjenosti izraza
tik pred zoro, ali ko se spet končuje dan
in dobi žalost neprebojen, mrzel lesk jekla.
Slikati, kar je pred tabo, tudi njo,
ki te še ni zapustila. Dokler vaju smrt ne loči.
Razumeš, kaj je treba? Skozi to, kar imaš,
skozi golo vulgarno deskriptivnost,
hvali svojo ženo, hvali spretnost svojih rok
in svetlobo. Hvali tudi temo in sence,
zaradi njih postane platno slika.
Zaradi njih postane čas življenje.
Sleherna ura in gib čopiča sta le posojena,
pripadata gospodarju svetlobe in sence,
vidnih in nevidnih stvari.
Prav je, da ob vsaki uri dneva
brez odlašanja vzameš v roko svinčnik
in z mrežo črt, rastočih na papirju,
pričaš o svetlobi onkraj časa,
o podobah tostran senc.
Saskia
Ritrarre quella donna, la moglie,
la sua soffice pelle, il suo odore
prima che si lavi dopo una giornata faticosa,
come irradia calore da ogni movimento,
dove le parti del corpo si attaccano tra loro.
Il modo in cui si annoda i capelli,
come ogni tanto le scappa un ricciolo, come
sorride. Come le tremola
il petto dal riso, come mentre fa l’amore e come dopo.
Come mentre dorme non si accorge che abbozzi i suoi segni
sui cuscini, le sue rughe, tutti i momenti
di una piccola esistenza raccolti
nel bacio fugace di un fascio di luce con la pelle.
Le tracce dei bambini partoriti sul suo ventre,
di quelli non partoriti e presi troppo presto da Dio
negli angoli della sua bocca e degli occhi,
nel taglio, nel modo in cui distoglie lo sguardo
un attimo prima dell’alba, o quando di nuovo finisce il giorno
e la tristezza ha la fredda, infrangibile lucentezza dell’acciaio.
Ritrarre ciò che ti sta davanti, anche lei
che non ti ha ancora lasciato. Finché morte non vi separi.
Comprendi ciò che serve? Attraverso ciò che hai,
attraverso il volgarmente nudo carattere descrittivo,
esalti tua moglie, esalti la destrezza delle sue mani
e la luce. Esalti anche l’oscurità e le ombre,
per esse la tela diventa un dipinto.
Per esse il tempo diventa vita.
Ciascuna ora e movimento del pennello sono solo in prestito,
appartengono al signore della luce e dell’ombra,
alle cose visibili e invisibili.
Giusto è che a ogni ora del giorno
senza posa prendi in mano il lapis
e con una rete di linee che aumentano sulla carta
testimoni la luce oltre il tempo,
le figure al di qua delle ombre.
*
Lea, Labanova hči
Gledam jo, kako spi poleg mene.
Ne štejem ovc, da bi zaspal,
nespečen od izčrpanosti.
Sedem mesecev in sedem let.
Nešteto ovčjih oči,
kupov bele in šaraste volne.
Iz mene je naredila moža.
Ne govorim o telesu,
čeprav šteje tudi to,
da se sprejmeš v nekem objemu.
Ne oče ne mati te ne naučita
zahtevati zase samega sebe.
Zahtevati zase dela sveta,
z roko zaklicati: Moje!
Skloniti glavo in garati naprej,
ko ti želja vzame del tvoje svobode.
Da se naučiš reči da ali ne
in stati za svojo besedo.
Biti mož. Ljubiti svoje delo. Svojo ženo.
Včasih tehtati življenje in smrt.
Dom in dolžnosti.
Ko ležim in preštevam svoje blagoslove,
ji položim roko na ramo.
Ni bilo časa, da bi delil srce
še s čim drugim.
Pravijo, da notranji glas, če ga
ne poslušaš, utihne.
Ni mi žal ne ure ne dneva
ob njeni strani. Jutri
se poročim z Rahelo.
Lea, figlia di Labano
La guardo mentre mi dorme accanto.
Non conto le pecore per dormire,
desto per l’esaurimento.
Sette mesi e sette anni.
Migliaia di occhi di pecora,
mucchi di lana bianca e pezzata.
Di me ha fatto un uomo.
Non parlo del corpo,
seppur conti anche
che ti accogli in un abbraccio.
Né tuo padre né tua madre ti insegnano
a pretendere te stesso per te.
Pretendere per te un pezzo di mondo,
invocare con la mano: È mio!
Chinare il capo e sfaticare ancora,
mentre il desiderio si prende una parte della tua libertà.
Perchè impari a dire sì oppure no
e tenere fede alla tua parola.
Essere uomo. Amare il proprio lavoro. La propria moglie.
A volte soppesare la vita e la morte.
La casa e i doveri.
Quando sono disteso e conto le mie benedizioni,
le pongo la mano sulla spalla.
Non c’è stato tempo per spartire
il cuore con qualcun altro.
Dicono che la voce interiore, se
non la ascolti, zittisce.
Non rimpiango le ore né i giorni
accanto a lei. Domani
mi sposerò con Rachele.
***
Veronika Dintinjana è originaria di Lubiana, e lavora come medico chirurgo.
Ha pubblicato due raccolte di poesia: Rumeno gori grm forzicij (Literarno-umetniško društvo Literatura, 2008) e V suhem doku (LUD Literatura, 2016).
I suoi scritti sono stati tradotti in numerose lingue straniere, ed è unanimemente ritenuta una delle più importanti voci della poesia slovena.
***
L’ha ripubblicato su friulimultietnico.
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Sono figlie del bosco, queste poesie. Gli stessi chiaroscuri, l”aria pregnante di odori di erba e fiori, la sensazione di venire da lontano, un bel respiro … poi dici: ma che belle queste poesie. Ed è vero.
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