di Nino Iacovella
Autrici come Rossella Maiore Tamponi rientrano in quella ristretta categoria di poeti che non amano apparire all’interno del circuito, o forse sarebbe meglio dire “cortocircuito” mediatico. Fuori dai social, fuori dalla strisciante ansia dello “scriversi addosso” e dalle fioriture neoretoriche e stilistiche, l’autrice predilige i lunghi tempi di scrittura e la ricerca appartata. Il novantesimo grado segue, dopo ben dieci anni, l’originale struttura compositiva de Le camere attigue. Laddove in questa precedente opera si costruiva un edificio ideale, una tridimensionalità di spazio dove poter contenere e razionalizzare lo sviluppo della propria sentimentalità, ne Il novantesimo grado vi è in questo senso una evoluzione in termini di astrazione: la struttura poetica portante diviene lineare e bidimensionale, poggiata ad arte sull’opera concettuale di Mondrian. L’esigenza sembra essere, in ogni modo, quella di dare una sorta di equilibratura agli slanci emozionali della poeta, un ordine alle proprie pulsioni vitali: un controllo che tende, come nelle intenzioni del neoplasticismo, al raggiungimento di una sostanziale purezza: da qui le linee dritte contrapposte alle oblique, gli angoli retti per la giusta riquadratura della rappresentazione esistenziale.
Rossella Maiore Tamponi lavora quindi su diversi piani di linguaggio. Vincenzo Frungillo nella prefazione non manca di sottolineare la solida presenza filosofica nella poesia della Tamponi, una densità filosofica rappresentata dalle stesse citazioni di poetica di Mondrian e di autori quali Martin Buber (anche qui la filosofia, come la geometria, viene usata come una doppia voce razionale e sentimentale). La lingua è piana e duttile, usata per rappresentare la complessità di tali intersezioni. Il progetto è decisamente solido e per questo Il novantesimo grado è un libro destinato a soddisfare anche i gusti dei lettori più raffinati di poesia.
Oedipus Edizioni, novembre 2020
Sono rimasta nel ritmo, nella tensione degli opposti, fra le linee
ripetere croci, gli incroci toccarsi, e un istante la quiete.
Questa stagione, oltre la metà della vita, è rettificazione
delle curve.
Si perdono i dettagli, se non in repentini acuti del ricordo.
E tutto è ricondotto a linee rette, le Orizzontali della terra
e della carne, di un femminile accomodato in desiderio e delirio.
Le Verticali e gli slanci, senza un principio, senza origine,
senza falsa obbedienza:
accese in me, dentro il presente, e giunte oltre confine,
se per confine si può prendere
il luogo velleitario e la dolce superbia di continuare a pronunciare Io.
***
Il punto
L’istante dove siamo – il punto –
ha la voce di Euclide
declina un luogo senza parti
senza dimensioni o grandezze
e quindi smisurato.
C’è solo un corso degli eventi
fra le infinite rette
che il punto lo possono varcare.
(Come i bambini che rimangono a casa
dietro i vetri di un giorno in pieno sole
rimpianti e vagheggiati dalla luce).
***
Per sottrazione
Una dopo l’altra delle porte battenti
l’ultima non apre
non chiude
non esiste.
Non esiste speranza di lasciare
lo stretto corridoio in cui la povertà
fa il povero carnefice di sé
e una dopo l’altra ogni maschera
nel gesto stesso di sottrarla al volto
sta meditando in quella successiva.
***
Poesia trasversale
A volte tutto muore nella sua corolla.
L’amore ha predato ancora come una bestia.
A volte uccide chi ama prima di appassire.
***
Torna la vita intera dentro gli ultimi giorni
come una radura. L’erba
consumata dal passo e un intreccio di sole
in forma di alabarde.
L’ultirna malattia è uno svolazzo di uccelli
col nuraghe di fronte
scorta della storia di tutti su un storia qualunque.
La commedia di ombre fra sughere scuoiate
rese inermi di rosso.
Le linee parallele seminate dal caso
che ora reggono il bosco.
***
Saranno angoli retti dello sguardo
a sorreggere il tempio e la casa
per sempre i cardini delle aperture, gli incontri.
Il corpo mio il tuo
il braccio teso per la man aperta.
Le linee della vita che si toccano.
***
Resta oramai
non hai più dove andare
ma credi di portare
la linea della vita oltre
le nostre quattro mani.
Non è questo
abbuffarsi della vita
la sorpresa di dio.
È solo la tua intraducibile parola
che ascolto, e rimani.
Rossella Maiore Tamponi, nata a Tempio Pausania, vive e lavora a Genova. In poesia ha pubblicato Le camere attigue (II Foglio Clandestino, 2011 – I Premio ex aequo Città di Piove di Sacco-Diego Valeri 2013) e la plaquette Il cardine e l’apertura con l’artista Annalisa Pisoni Cimelli (Pulcinoelefante, 2018). Sue poesie sono presenti su diverse riviste tra cui “Arcipelago Itaca’ (n. 5,2011), “Punto – Almanacco della poesia italiana” (5-2015, Puntoacapo Editore), “Fili D’Aquilone”, “Il Foglio clandestine” (Anno XXJIl, n. 84/85). Alcune traduzioni da Emily Dickinson sono apparse su “La foce e la sorgente” (n. 2 fase. 2, 2018). Ha scritto per il teatro e per il cinema.