perìgeion

un atto di poesia

Umani – Anim(ort)ali, Intervista a Laura Liberale

di Paola Nasti

Su una spiaggia invernale si incontrano un cane randagio, di nome Grat, e il padre fondatore della filosofia moderna, René Descartes. E’ un incontro in limine mortis: il filosofo francese mal tollera i rigori climatici della Svezia, dove una regina filosofa lo convoca per conversare all’alba; infatti si busca una polmonite e morirà di lì a poco. L’immaginario poetico di Laura Liberale raccoglie il dialogo tra i due, l’animale umano e l’animale cane. Nella scena poetica, icastica quante altre mai, Cartesio rivede l’errore fatale (attribuibile, per la verità, più ai suoi discepoli che a lui): l’errore di considerare gli animali res extensa, inerte materia estesa, priva di pensiero. Secondo il cartesiano Malebranche gli animali sarebbero nient’altro che macchine inanimate, cose; i loro versi, le loro voci semplici “movimenti naturali”, cigolii senza alcuna radice nel sentimento. Legittimo, dunque, operare sui loro corpi, farne scempio, senza rimorso alcuno? il guaito di un cane a cui do un calcio non sarebbe altro che il suono scaturito da una macchina? Nel cuore della rivoluzione scientifica, della fondazione filosofica del Soggetto, si annida e si solidifica la catastrofe della natura ridotta a fondo di sfruttamento e rapina. Laura Liberale, studiosa di indologia e tanatologa, sembra chiedersi, insistentemente: è possibile abbandonare, finalmente, la visione dualistica dell’Occidente in nome di una riconnessione olistica, di una ricomposizione più veritiera di ciò che è stato spezzato, dalla filosofia post-parmenidea in poi? Nella vicenda icastica di Monsieur Descartes e Monsieur Grat, nella gelida alba svedese, si possono contemplare molti dei fili che tengono l’ultima raccolta poetica di Laura Liberale, Unità stratigrafiche. In estrema sintesi: il rapporto degli umani con gli animali non umani; il rapporto degli animali umani con la Morte. Una vertigine, insomma, che unisce scienze biologiche e metafisica, deep ecology e visioni dal Bardo. In una pagina del suo diario (1 – 1898/1901) Paul Klee scriveva: Nell’al di qua non mi si può afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione, ma ancora non abbastanza vicino (…). La domanda evocata dai testi di Laura Liberale sembra risuonare nelle vallate di questa zona liminale che accomuna i morti e i non nati, zona generativa, per Klee, di ogni visione artistica.

Abbiamo posto a Laura alcune domande come strumento di avvicinamento ai suoi testi poetici.

1. Che cosa hanno in comune, per te, animali e morti?

Gran parte degli animali non umani rappresentano l’essere-per-il-consumo, nascono unicamente per la morte. Dei nostri morti, i morti umani, i cari morti, cerchiamo quasi sempre una continuità di presenza, e di voce. Vogliamo ascoltare le loro voci a tutti i costi. Cerchiamo i loro segni ovunque.

Agli animali, viventi che condanniamo all’essere-per-il-consumo, neghiamo qualsiasi voce, anche quella non ignorabile del dolore, quella che si fa grido altissimo, tremendo. Nullifichiamo la possibilità della relazione.

Più che di comunanza, parlerei di clamoroso stato di paradosso.

2. Una cifra forte della tua poetica potrebbe essere: dare la voce ai senza voce – animali e morti. Ti ritrovi in questa ipotesi di lettura?

Ma animali e morti non mancano di voce! E anche se il senso fosse quello di “inascoltati”, non potremmo applicarlo in linea di massima ai morti, che, così pare, non zittiamo mai del tutto, e anzi vogliamo sentire anche là dove essi tacciono.

Forse mi definirei una che cerca di ribadire continuamente il valore della relazione, del rapporto – e con gli uni e con gli altri –, una che vuole indagare la fenomenologia di tale rapporto.

3. Animali e morti possono avere una voce che non sia la nostra? Quella che gli prestiamo è davvero la loro voce, in qualche modo?

La nostra voce non è mai solo la nostra voce. Si è formata e continuamente si forma e trasforma nell’immane confluenza di tutte quelle altre voci, trapassate; è fatta di esse, che sono in lei fin dal principio, dalle sue prime lallazioni. Anche quel “terreno” che è la voce è fatto di stratigrafie. La connessione tra vivi e morti non viene mai meno, idealmente ma anche, potremmo dire, strutturalmente.

Quanto agli animali, assodato oramai che la semiosi deborda ampiamente dal linguaggio degli uomini e che dovremmo impegnarci a conoscere sempre più a fondo l’espressione del pensiero non umano, una forma di antropomorfizzazione relazionale è pressoché inevitabile. Ciò non toglie che ci si possa “incontrare” davvero in quel territorio condiviso che è il corpo, nella sua – per dirla con le splendide parole di Roberto Marchesini – “complessità lussureggiante”, là dove le parole restano in uno sfondo remoto e sfumatissimo. Ma per fare questo occorre rinunciare una volta per tutte alle vecchie ontologie dualistiche anima/corpo, carne/spirito e ai pregiudizi che condannano gli animali non umani alla fissità della ripetizione di un retaggio. Occorre riconoscere in ogni corpo la sua innata apertura dialogica, il rinnovarsi continuo di un’intenzionalità desiderante che sboccia nel mondo e nell’esubero delle sue interconnessioni.          

Come ha scritto Ralph Acampora in Fenomenologia della compassione, circa la comprensione simpatetica degli altri viventi: “Sono le somiglianze a rendere possibile l’assunzione del punto di vista dell’animale”.

4. Secondo te è possibile uscire dallo specismo, cioè dalle barriere che separano le specie in serbatoi linguistici/semantici diversi?

Finché la questione resta confinata in una sfera “razionale”, mi verrebbe da dire di no. Le forze che vanno messe in campo per il superamento devono essere totali, a partire dal “sentire” (la sfera emotiva), che precede il cogitare. E poi occorre, sicuramente, concedimi il termine, un upgrade dello sguardo, della capacità di osservazione. Claudio Damiani ha scritto un testo di una semplicità disarmante ma efficacissima:

La nostra è una vita di relazioni.
A te sembra che abbiamo solo la testa
china per mangiare, ma in realtà
comunichiamo tantissimo fra noi.
Pensieri fraterni, anche se a volte
un po’ litighiamo. E poi, li vedi
gli agnellini che giocano al sole?
Pensi che non li guardiamo? Pensi che,
mentre bruchiamo l’erba, non abbiamo
il cuore pieno di gioia a vederli
saltare e scherzare, e sentire che sono
i nuovi nati, coloro che accrescono
la nostra comunità, che sono il nostro futuro?
Pensi che non ridiamo tra noi
a vederli lottare tra di loro
e rincorrersi, pensi che non piangiamo
a vederli che si annoiano, o stanchi
vagano ansiosi per il prato
in cerca della madre?

5. Un’azione poetico-politica? Hai parlato spesso di Death Education. È possibile un addestramento alla morte? Una volta uno studente mi chiese, dopo che ebbi spiegato il tema del divertissement in Pascal: “Ma prof, non è meglio di-strarsi dalla morte, di-vertirsi? Insistere sulla morte è vitale o antivitale?

Non è possibile addestrarsi alla morte. È possibile addestrarsi al morire, dove morire è lasciare andare, lasciarsi andare, non opporsi a ciò che avviene di noi, in noi. È possibile non voltare lo sguardo sempre; è possibile accogliere il terrificante, lasciarlo scorrere nel corpo fino al suo esaurimento; prendere confidenza con le piccole, quotidiane morti.

Il che non significa insistere sulla morte, ma semplicemente superare l’opposizione radicale vita/morte, il dualismo (di nuovo!).

6. Canetti contro la morte: scagliarsi contro la morte è forse l’unica possibilità per noi mortali?

Di Canetti dobbiamo evidenziare la cifra biografica, intima, il grumo di dolore che lo spingeva ad affermazioni simili: “Che cosa sono io stesso, un essere inerme, a cui muoiono, una dopo l’altra, le persone più care, incapace di tenere in vita anche solo ciò che è più suo, naufragio da ogni parte e lamento!”. Odio la morte dunque sono: la forza di un motto che egli stesso ebbe modo di mettere più volte in discussione (“In te la coscienza della tremenda insidia non deve concedersi un attimo di tregua. Ma che cosa ottieni tenendo costantemente vigile questa consapevolezza della morte? Diventi forse più saldo? Puoi proteggere meglio chi è in pericolo? Infondi coraggio in qualcuno?”). Ecco. Il punto, il grande obiettivo dovrebbe forse essere questo: una consapevolezza senza rivolta, senza disperazione, senza sclerosi del sentire. Riuscire a conservare l’incanto nell’osservare la finitudine creaturale, perfino nelle tracce “dei dentini di un topo sulla carta stagnola che avvolge un panetto di burro”, “nello svolazzamento delle tarme attorno ai nostri abiti” (continuo a citare Canetti); a restare umidi, morbidi di compassione, per poter essere davvero utili a noi e agli altri quando l’impresa del morire richiederà nient’altro che la nostra accettazione.

7. La voce e la scrittura. Il tema attraversa la tradizione filosofica dell’Occidente da Platone a Derrida. La scrittura tradisce la voce? Ne è l’unica traccia possibile? Una comunicazione tra voci sarebbe una comunicazione senza logos, forse: un rimando di versi animali (cfr. cinguettii, in Unità stratigrafiche, pp. 42/43). È questo il luogo della poesia?

Ho studiato e studio una cultura, quella indiana, fiorita intorno all’oralità; lì trovo veramente la “mia” tradizione filosofica. Una tradizione che ha elaborato la molteplicità dei livelli della Parola, che ne ha scandagliato l’energia cosmogonica, performativa, rituale.

Quel tweet dei morti che tu citi, testo composto a partire dalla struttura del canto dell’allodola, nasce anche dalla mia frequentazione delle teorie sulla natura del Suono, in particolare di quei suoni specifici che sono i mantra, ritenuti da alcuni studiosi stretti congiunti dei versi degli uccelli, dei balbettii infantili, della musica, e antecedenti il linguaggio stesso.

Credo che il luogo della poesia, più che un luogo, sia un’azione di inclusione del maggior numero possibile di porzioni di mondo e di significato. Un’espansione.       

8. L’infanzia e la storia – in-fans è il non parlante; la creatura pre-istorica. Morti, animali e bambini. La tua poesia è forse un’indagine sulla preistoria?

Direi più un tentativo di riattualizzare (in primis nella mia vita) l’incanto che avvolge l’in-fans, ogni infans.

 

Poesie

 

pensare di chiamarla la “non più mano”
per la definitiva cessazione funzionale

ma finché alla signora S. stendiamo sulle unghie
lo smalto rosa a coprire il vecchio rosso smangiato
finché teniamo tra le nostre le sue dita artiche
finché persiste un qualche tipo di commercio fra vivi e morti
quella della signora S. continua indiscutibilmente a essere
una mano

 

***

 

la pelle dei morti non assorbe più

finiti gli interscambi
la flessibilità della barriera

quello che avviene sotto
avviene al chiuso ermetico
ti taglia fuori

il morto è già incassato nella pelle
prima che in zinco e legno

quello che avviene sotto chiamalo
l’inespugnabilità
del totalmente solo

 

***

 

cinguettii

mattino ventoso. mi sembra pericoloso allenarsi all’aperto
i morti vivono
i morti vivono
i torti stridono
con dei colori autentici
dei morti in attesa: vivono, vivono
ora di partenza prevista: sempre. mia mamma ed io. passato,
adios, grazie, fine. liberare. non ho parole ultime
liberare il passato per riposare
liberare il passato per riposare
liberare il passato per riposare
liberare il passato per riposare
liberare il passato davvero, davvero. vivremo, vinceremo
dove il passato? appena finito. aspetta
dove il passato? appena finito. aspetta
dove il passato? appena finito. aspetta
dove sempre? spettacolo gradito. legno. sono andato
sono finito. della prima stesura: solo merda. aspetta
angelo o legna. riposare
angeli o legna. riposare
angeli o legna. riposare
angeli o legna. sono via ora. vinceremo, vinceremo
legna vinceremo
legna vinceremo
legna vinceremo
legna vinceremo
legna vinceremo
legna. sto aspettando di fare un angiogramma
in vita
una vita
una vita
una vita
una vita
una vita
vita vita vita. assaggiate finalmente le ostriche. finito
vita vita vita. più profondamente passato. un fanculo a tutti. passato

 

 [The Tweet Hereafter (http://thetweethereafter.com) è un sito che elenca gli ultimi tweet scritti da persone che poco dopo sono morte. Twitter, com’è noto, significa “cinguettio”. Il mio testo è un assemblaggio di parti, tradotte in italiano, di alcuni di questi ultimi tweet (con, in più, qualche elemento d’invenzione), assemblaggio che prova a ricalcare la struttura del canto dell’allodola (nell’alternanza di elementi ripetuti e parti libere) rinvenuta in Rete dagli appunti di un compositore-ricercatore:
https://www.naturamediterraneo.com/forum/topic.asp?TOPIC_ID=111653&whichpage=1. ]

 

***

 

Stralci di ciò che Monsieur Descartes, in punto di morte e solo parzialmente lucido, disse a Monsieur Grat

Via da Place de Grève!
Li sentite come gridano
i gatti arsi vivi?

Che Sua Altezza attenda pure un altro po’.

Allontanarsi dal fumo
avanzare mascherati, caro Grat!

Le macchine spaccano la pietra.
Francine legge i loro pensieri
li traduce per me.

Progredire nella conoscenza della verità.

Mai negato la vita. Mai!

Una sola cosa.

Si va a passeggio lungomare, Grat.
Mio amatissimo.

 

[Monsieur Grat è il nome del cane a cui Cartesio si affezionò alla fine della sua vita.]

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