di Marco Furia
Un non definitivo arresto?
“L’arresto”, seconda raccolta data alle stampe da Gabriele Gabbia, si presenta quale sequenza di accurate cadenze in cui riflessive immagini si susseguono secondo eleganti ritmi.
Leggo a pagina 20
“(…)
Poi v’è quel modo
di star dentro alle cose
–di starvi poggiato
fra valichi e case–;”.
Emerge qui, introdotta da tre punti chiusi tra parentesi, una quasi noncurante, sospesa, consapevolezza: stare davvero “dentro le cose” è impresa non sempre facile e, forse, oltre certi limiti, nemmeno possibile.
Non resta, allora, che descrivere
“l’immane
movimento della vita”.
Attento a evitare il rischio di chiudersi nella propria esclusiva intimità (i cui esiti espressivi potrebbero risultare alquanto incerti), Gabriele si apre al mondo del consueto, del quotidiano, attento a illuminanti tratti soltanto a prima vista banali:
“Lo stesso sole del cardigan di quel giorno
la stessa tenue, disparata apertura
la stessa distanza di ieri da te”.
Un’ “apertura”, pur “tenue”, assume non secondaria valenza: attraverso un piccolo squarcio si può già osservare il mondo.
C’è, poi, la “distanza”, ossia la presa d’atto di un dualismo soggetto-oggetto che, vissuto quale limite, il Nostro forse vorrebbe superare anche correndo il pericolo dell’insuccesso: tuttavia il tono della sequenza sembra tendere a una non del tutto rassegnata accettazione.
Cito, a questo punto, dal singolo componimento il cui titolo è identico a quello dell’intera silloge, i seguenti versi:
“e nessuna parola più
da pronunziare; solo
un rintocco languido
lento, fino all’arresto […]”.
Ebbene quella “parola”, che, ridotta a “rintocco languido”, non è più capace di proseguire, mi pare potrebbe esprimere una (pur drammatica) difficoltà ma non una definitiva sconfitta: altri linguaggi emergeranno, altri modi di vedere il mondo l’umanità sarà in grado di porre in essere?
Esistono possibili aperture verso territori fisici e idiomatici in cui, senza perdere noi stessi, potremo continuare a vivere?
È questo l’interrogativo che Gabriele con i suoi intensi versi pone: evita di rispondere in maniera esplicita, ma il suo insistere scrivendo suggerisce un senso di non diffidente tensione partecipativa.
L’ “arresto” è singolo evento che non esaurisce l’umano divenire?
Impegnarsi al meglio nello stare “dentro le cose” può essere una possibile via d’uscita?
Marco Furia
Gabriele Gabbia, “L’arresto”, casa editrice “L’arcolaio”, Forlimpopoli, 2020, pp. 52, euro 10,00.
foto di Alessandro Ligato