perìgeion

un atto di poesia

Abbiamo discusso dell’aldilà, di Paolo Pitorri

 

 

 

PAOLO PITORRI, DAI DINTORNI DEL CORPO

Una riflessione e cinque poesie da “Abbiamo discusso dell’aldilà”, Marco Saya 2021

 

 

di Vincenzo Di Maro

Un forte lettore conosce bene quel tipo di esperienza che potrebbe chiamarsi “serendipità da lettura”: chi è avidamente disordinato nel leggere sa infatti che prima o poi si imbatterà in strane coincidenze; incontrerà, in libri all’apparenza lontanissimi, temi pressoché identici; troverà irragionevoli connessioni tra opere e autori differenti; né ignorerà che l’atto del leggere lascia talvolta dietro di sé persistenti tracce emotive: tracce che altre opere e altri autori riaccenderanno. Gli occorrerà pertanto riflettere su alcune implicazioni delle proprie letture con la vita personale.

E’, in genere, il momento in cui si riordinano le idee, si colma il senso di ciò si è letto, è la fase in cui appare chiaro il motivo per il quale un topos ci ha così potentemente suscitati: si esprime una sintesi, si giunge alla nostra “piccola verità”.

Fine della nostra prima riflessione.

Qualche mese fa, l’amico Fabio Scotto mi regalava “Il poema dei morti” di Bernard Noel; scomparso da poco, durante il corso della sua lunga vicenda autoriale, Noel non ha fatto che indagare il labile, frastagliatissimo confine tra verità fisiologica del corpo e fantasmi della coscienza. Il poema dei morti – di cui si è qui già scritto – è un’indagine di questo tipo: della morte si osserva il processo organico, portandolo a collidere con “l’inorganico” di coscienza e scrittura.

Questo mese mi è capitato tra le le mani Abbiamo discusso dell’aldilà, dell’esordiente Paolo Pitorri.

Senza vojeuristiche insistenze, in Abbiamo discusso dell’aldilà Pitorri, classe 1990, sviluppa con invidiabile sicurezza pressoché lo stesso tema del Poema dei morti di Noel, quello del corpo e della sua dissipazione, del suo sfarsi e del decesso.

E, a dirla tutta, lo fa con una certa stentorea imperturbabilità.

Pitorri mostra molto più che maturità stilistica: sembra comprendere quel che possiamo chiamare, arrischiando paroloni – lo specifico contemporaneo della poesia da Valéry a oggi: che altro non è che l’attenzione al farsi, al processo di scrittura più che al suo esito. Si tratta di una poesia che, più che il frutto ingombrante della personalità autoriale, è appartata e affatto esclusiva compartecipazione dell’io ai motivi del comporre. Giacché di processi parliamo, in quest’opera prima Pitorri fa deliberatamente coincidere scrittura e decesso: sovvertendo i termini in campo, ci infligge la lettura del corpo, del suo morire come atto creativo.

Qui si afferma che la coscienza – che da sola non basta a sancire lo statuto della nostra realtà – non fa che porsi in forma di dilemma, non fa che rendersi doppia e ambigua. Ma, ed è il punto fondamentale, tanto il corpo quanto il poema sono cose: perciò, quanto più univocamente il corpo  si disfa, tanto più la poesia si fa.

Perché mondo e parola trovano conferma nell’offesa della consunzione.

Né si tratta di trovare un senso residuale, di indagare cioè quello che resta dell’uno o dell’altra: nella breve rivelazione del libro, Paolo Pitorri asserisce che, così come il corpo nella morte c’è, oltre la coscienza, oltre l’ingombro consolatorio del poetico, il poema c’è. E in questo “aldilà” qualcosa si crea, qualcosa si testimonia.

 

 

Oggi Orione parla agli analfabeti –

il cielo è un pane antico dalla crosta bianca.

Una donna in lontananza sventola tre spighe di grano.

Truccata di campagna abbaia alla periferia

e miete, miete per il primo giorno del mondo.

 

 

*** ***

 

Dal mio occhio germoglia un fiore

un bulbo oculare pronto a sbocciare.

 

Lo annaffio ogni sera, così sarà finché campo.

 

Le sue radici si legano al cervello

in piccoli rugginosi fili di ferro –

 

Fermo questo male nutrendolo

con speranza di calmarlo – ucciderlo.

 

Una mattina lo lascerò

e libero di divorarsi in un’estinzione

fiorirà da una crepa del marmo.

 

*** ***

 

Gestire la sentenza della vita

la realtà e la finzione è cosa impossibile.

La fine è una strozzatura,

cosa affanna lo stomaco affamato?

 

Io tanto non resisto, non riesco a smettere

di pensare al mio lamento che cade dal cielo

come il mistero degli alberi.

 

*** ***

 

Il terremoto sprofonda nel tuo giardino.

Rimbomba al sole luce fredda come la tua fronte –

è luce che oggi riempie il tuo stomaco nero.

Luce che oggi è vomito, luce che oggi fuma bulimica –

il nostro errore più grande è quello delle sue ossa gialle.

 

*** ***

 

Neon

 

Hanno osservato controluce il mio sangue

ho regalato le mie nudità a donne vestite di bianco.

Tra poco devono tagliarmi, togliere i pezzi, ricucire.

Col volto cianotico fisso mia madre soffrendo

voglio rientrare in lei per non dover più vagire.

Un passo indietro per non dover morire.

Ventidue anni alle spalle per non dover nascere – soffrire.

 

Tornare in lei dove ero l’unico corpo piccolo

in una sacca amniotica: un universo nero.

Ora sto supino a riflettere il neon.

Adesso dentro di me un paese si dilata,

si espande nel mio corpo – delirando penso:

sono stufo di Londra. Ma arrivano i guanti in lattice.

La vestita di bianco mi regala dieci secondi:

un’anestesia, occhi di cataratta: dimentico come respirare.

Un taglio, uno scoppio, un maroso, un tesauro di emorragie.

Mi risucchia la schiena il nadir della barella.

Mia madre mi parla, mi stringe la mano, è nuovamente la prima volta.

Mi ha detto che sono nati quattro gatti in questa notte “bella”.

È la seconda volta che esco con lei da una stanza di ospedale.

 

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2 commenti su “Abbiamo discusso dell’aldilà, di Paolo Pitorri

  1. ninoiacovella
    21/01/2023

    “Il terremoto sprofonda nel tuo giardino.

    Rimbomba al sole luce fredda come la tua fronte –

    è luce che oggi riempie il tuo stomaco nero.

    Luce che oggi è vomito, luce che oggi fuma bulimica –

    il nostro errore più grande è quello delle sue ossa gialle.”

    Per tema e immagini il richiamo di Benn mi sembra forte. Autore certamente maturo e interessante.
    Per quanto riguarda le ramificazioni che la lettura compulsiva di libri provoca, ti confermo che è un vero e proprio precipitare nell’inconscio collettivo.
    Ninuz

    "Mi piace"

  2. poesiaoggi
    25/01/2023

    L’ha ripubblicato su poesiaoggi.

    Piace a 1 persona

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Questa voce è stata pubblicata il 20/01/2023 da in poesia italiana, recensioni con tag , , , , .
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