Il materiale fragile (PeQuod) è una raccolta che segna una nuova e importante tappa nel percorso di Alessandro Agostinelli; e forse poche volte come in questo caso la parola “percorso” acquista pienezza di significato, dal momento che nel libro è possibile incontrare – o riscoprire – alcune poesie che l’autore toscano aveva disseminato all’interno di precedenti lavori, poesie che ben si amalgamano con altre più recenti. Quella di Agostinelli non è infatti un’operazione pseudoantologica, mi sembra di poter dire, quanto piuttosto l’istantanea di un divenire che nel corso del tempo si è fatto sempre più consapevole e solido. Anzi, pensando ad Alessandro, non stona affermare che si tratta della fotografia di un viaggio, perché il concetto di viaggio è da sempre centrale nella sua scrittura e forse nella sua vita. Il viaggio è sì muoversi, andare, spostarsi, ma – come afferma giustamente Salvatore Ritrovato nella sua precisa nota critica – ciò che più conta nella scrittura di Agostinelli è l’interiorizzazione del viaggio, perché “ogni scrittore è in viaggio/ viaggia tra sé e per il mondo”.
La poesia è testimonianza della cura che l’autore ha per le parole. Non stiamo parlando però di una semplice attenzione formale, per quanto la ricerca di un linguaggio che si adatti perfettamente al suo significato sia centrale nella ricerca di Agostinelli: intendo invece che la parola ha la responsabilità di raccontare “il nostro essere civili con gli altri” e quindi svolge il compito di rivelare e rivelarsi, cambiando forma, adattandosi e, se necessario, riducendosi anche a filigrana per raccontare la fragilità. Perché, è bene sottolinearlo, si tratta sempre di materiale fragile come è fragile e imperfetto il nostro presente, come è marginale nella inevitabile individualità il punto di vista di chi osserva, come è transitoria e al tempo stesso orgogliosa questa esistenza dove siamo “un prestito, la brezza sottile/ di un giorno felice”.
Il materiale fragile è un libro da leggere e rileggere, da apprezzare, da approfondire passaggio per passaggio nella scoperta di nuove stratificazioni e significati, e infine da tenere caro.
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vicolo del porton rosso
c’è un muro di fronte alla finestra
della cucina di casa mia
nel vicolo del porton rosso
è su quel muro che leggo i continenti
sento i refoli dei venti, nuvole,
le turchesi braccia dei tesori
sventolare sulle terre del galoppo
e vedo agitarsi oceani in tempesta.
proietto lì, sopra i mattoni multicolore,
le direttrici di viaggio della mia età
quasi adulta, io che non cresco mai
perché vedo il mondo intero
dentro un pezzo di muro.
*
parola
alla parola resta,
amore e misericordia
appese come azioni
d’equilibrio,
l’armonia intera del mondo.
sostieni il sorriso
se il peso preme della vita:
siamo luoghi e incontri
fantasie, merci, sogni
e sapori lontani.
siamo il lento schiocco
della frusta, l’invisibile
fluire gitano, scorta
custode di noi stessi,
un prestito, la brezza sottile
di un giorno felice.
*
I
nascere dove si può vivere
e non sbagliare a venire al mondo.
vivere dalla parte giusta
e lì non sbagliare famiglia.
così parla l’occidente, par che
sbagliare cognome sia come
sbagliare continente,
vivere diventa sopravvivere:
si è clienti, utenti, elettori.
cittadini? – quando piace!
e le tragedie dei giornali
si leggono direttamente
nel nostro portafogli sahariano,
noi dai cognomi sbagliati.
*
X
vederla potessi almeno che fugge
limpida come grandine nella testa
la notte quando brontola sul guanciale.
cosa è vero, cosa è qui?
mattone su mattone il tuo arco aperto
vive sfollato al vento di luglio,
pur viene solida e lucente
si tocca ma scolora, la nostra vita.
ancora vedo – di fronte o alle mie spalle –
la rincorsa nel sogno che chiamo realtà.
*
XIII
tutto ciò che vi hanno detto deve ancora essere verificato
tutto ciò che hanno scritto è solo meraviglia del proprio
sentire
tutto ciò che pensate sia
a portata di mano
è fuori dalle coordinate quotidiane
tutto ciò che sovrasta il giorno è bugia.
e l’eccezione che pare di sentire
la stravaganza che apprezziamo provare
qui come su una giostra luccicante
in questo preciso istante
dura il tempo di un budino inchiodato al muro.
*