perìgeion

un atto di poesia

Rosaria Lo Russo, Nel nosocomio

rosarialorusso-10

 

di Roberto R. Corsi

La società produce paura, la paura catalizza il desiderio di sicurezza, il desiderio di sicurezza genera l’opportunità etico-economica di meccanismi di salvaguardia doppiamente “esclusivi” – isolanti e basati sulla solvibilità; segue una fase di appagamento; poi improvvisamente, per la stessa logica etico-economica, dal nosocomio si scivola, tra vane resistenze, nel dormitorio.
Il sistema binario nosocomio-dormitorio (nient’altro, quest’ultimo, che la nostra cruda destinazione) è all’inizio del libro luogo allegorico, poi non-luogo nella misura in cui non crea identità relazionale ma ospita un coacervo di individualità in transizione (un gruppo basato più che altro sull’arrangiarsi e sul si salvi chi può). Per finire con la terza sezione, efficacemente definita “Spoon River glocalizzata”, attraverso la quale, tra elegie funebri via via grottesche glaciali o dolci, viene svelato il già evidente, ossia l’identità tra costruzioni fantastiche e (in-)civilità contemporanea.
Dopo la prima uscita nel 2011 e alcuni inediti fatti circolare su carta o in rete, Nel nosocomio della “poetrice” fiorentina Rosaria Lo Russo vede nuovamente la luce a febbraio 2016 in una versione grandemente accresciuta e comprensiva delle poco fenomenali fenomenologie dell’ultimo quinquennio (di transumanza da papi al “nuovo giovane sorridente e spregiudicato direttore-chirurgo plastico”).
Versione completa? Sì, anche se ho l’impressione, che è pure un augurio, che il nosocomio possa essere per l’A. un progetto diacronico, un Leviatano mai definitivo, in costante aggiornamento.

Nel nosocomio la cifra stilistica ed erudita di Lo Russo può esprimersi in tutta la sua nota ampiezza forza e varietà di registri, dal parental advisory al lirico, dal tratteggio in pochi versi alla prosa poetica.
Spicca l’intelligenza con cui le possibili obiezioni all’opera vengono prima nominate poi rovesciate o esasperate.
Per esempio quella di attingere a un filone, quello distopico, sfruttato fino all’esaurimento. Una poesia (Forse non tutti sanno che…; incipit settimanenigmistico, magari a parodia dei nostri immancabili pavoneggiamenti critici a valle della pubblicazione) non fa mistero ed elenca i modelli distopici di 1984, del Prozess e soprattutto del massimamente nosocomiale, confortevole e riparatorio Zauberberg.  Modelli, questi, su cui se ne potrebbero affastellare molti altri: cito solo l’Ishiguro/Romanek di Never Let Me Go e la iperchirurgizzata figura della madre del protagonista in Brazil di Terry Gilliam.
Ma a ben vedere la sezione finale ci mostra che la distopia non è affatto tale, che non esiste, risolvendosi né più né meno che nella cronaca: ciò in particolare nella poesia Ci siamo appesi… dedicata agli imprenditori suicidi del nord-est, dove le chiavi crittografiche nosocomio=azienda – come microcellula dello stato turbocapitalista – e nosocomio=paese si rivelano espressamente.
Parallelamente l’obiezione di maniera che potrebbe derivare dal trofico strumentario stilistico di Lo Russo, nonché dalla vocazione saldamente performativa della sua poesia, viene confutata sublimandola nell’invenzione di Clori: un getto d’acqua di piscina che, sapientemente direzionato ad altezza pelvica dalla protagonista, si trasmuta dialogicamente, per assonanza, da strumento di piacere in amante (ben poco arcadico/a) col nome della figura arcadica cantata dal Tasso (e messa in musica da Monteverdi).
A ribadire che la complessità del procedimento poetico è irrinunciabile per trattare di una società irrimediabilmente complessa.

 

La metafisica è più lampante sotto questa luce
al neon. È straordinariamente immobile e si-
lenziosa la coda dei degenti per il prelievo
nella lunga durata delle albe invernali, è stra-
ordinariamente fosforescente l’attesa, ogni
attesa, e sono molte, per le molteplici attività
del nosocomio: questo meraviglioso luogo
in cui attività e contemplazione coincidono.
In questo luogo di perfezione noi degenti
scegliamo di non pensare al futuro, perché è
qui e ora la compresenza del compimento
del pensiero occidentale: attività e contem-
plazione contemporaneamente la realizza-
zione di tesi antitesi e sintesi sposata dal nostro
direttore.

***
Oggi un nuovo decreto legge ha finalmente
stabilito, e stavolta definitivamente, che non
ci conviene uscire dal nosocomio. Fuori ci
svuotano le tasche con le tasse, nessuno ci
protegge dagli extracomunitari, fuori romba
lo sciame sismico e dai più poveracci anche
lo tsunami. Qui ronza rassicurante il bussino
elettrico del trasporto organi ed ogni sera
si può contare sullo sceneggiato del primo, su
padre pio oppure edda ciano. Poi la notte presto
mi bene rifugio nelle mie care singole lenzuola
di flanella. Perché c’è un gran rispetto nel noso-
comio per noi anziani. Hanno allestito una colo-
ratissima créche pei nipotini dei paganti vera-
mente moderna, dicono steineriana, ma non so.

***
L’evoluzione della specie richiede protesi
per disabili, arti in sostituzione di altri fan-
tasmi, commercianti a tasso zero di cuori
di ricambio, fegati freschi, tremolanti, reni. Ap-
pendici annerite, occhi di pernice, reni mob-
ili, dentiere rubate al vicino di letto: nel nos-
tro nosocomio le corsie dei macelli appesta-
no l’aria, surriscaldano il globo, tingono di
incontinente sangue grigio, povero, interi con-
tinenti. Non si lavano bene i denti, non fanno
la doccia due volte al giorno, non mangiano ver-
dure crude, mangiano cavallette fritte e vermi:
non sono liberi quelli che chiedono l’elemo-
sina, anche qui. Non fanno parte del nostro po-
polo e delle libertà.

***

Dolcemente dormiva la mia Clori
T. Tasso 

Nel nostro nosocomio puoi farti anche
l’amante a costo zero. Anche se sei grassa,
flaccida, pelosa e vecchia, o vecchia, secca
e rimbambita che ti trema anche la testa, eb-
bene anche tu puoi accedere senza sovrapprez-
zo alla zona relax, al regno potente dell’umi-
do e, se hai almeno un po’ di zucca per sco-
prirlo, ad un potente idrogetto altezza cazzo
o fica. Non si dice ma è per quello. Ma io che
mi piaceva leggere le poesie a scuola, lo chiame-
rò Clori, un nome letterario, quest’acqua clo-
rata e colorata che mi fa raggiungere l’or-
gasmo e superare il contatto dei generi, così compli-
cato. Sarà maschio o sarà femmina il potente
flusso di Clori?

Come vedi nel nostro nosocomio
a modo mio ci godo anch’io.

***
Perché non sempre funziona, anzi non si capisce
com’è che funzioni data la fretta, quando, dài fac-
ciamoci un giro di pista, morino, dài, tanto si muo-
re, che te ne frega, dài, facciamoci sta pista per mori-
re più contenti, dài, che l’usato sicuro ti conviene in tu-
tti i sensi, e i saldi adesso sono saldi davvero, da ve-
ra recessione, mica cazzi. Ne ho bisogno. Ne ho bi-
sogno per la mia autostima, me l’ha detto l’estetista,
lo sapevo di già come tutte le cose che mi dice l’este-
tista alle prese con gli occhi di pernice: è che: ho
passato gli anta da un pezzo, ho il seno rifatto, duro
come due pere kaiser della coop, e voglio voglio
voglio farlo vedere e toccare a qualcuno. E a fu-
ria di gag poi ho il culo ancora sodo, di marmo.
Ma in questa carneficina t’interessa solo bere
il frullato di proteine all’ora tot, poi carpaccio
di bresaola rucola e grana, poi sdraiarti e asso-
pirti nelle sdraio ergonomiche della zona
relax.

***
Sembra che il vicedirettore, così su due piedi,
abbia deciso che, a causa del sovraffollamento,
saremo tutti trasferiti, prima o poi, nel dormi-
torio. Questa proprio non ci vo-
leva. Si credeva che avendo rinnovato l’abbo-
namento questo abominio ci sarebbe stato ri-
sparmiato. Piuttosto mi spezzo ma non mi pi-
ego a questa assurda decisione di un vice-
direttore. Credo sia possibile che il mio
corpo diventi più duro della realtà apparente:
le belle nonne fresche di botulino, le belle
nonne coi capelli rossi o gialli, le belle
donne che oscillano sui tacchi alti di
fronte al nostro direttore che offre loro
il caffè ogni volta che passa dal bar del nostro
nosocomio per far vedere a tutte che ce l’ha
ancora e sempre duro.

***
Sarà che il metabolismo è sempre più lento
nel nosocomio dove ci affolliamo, in attesa
sulla riva del traghetto di una perenne estate.
Alcune più ottimiste ricorrono all’addomino-
plastica, a seni ovali e duri come ciottoli di fiu-
me, i nostri fiumi, che scorrono lenti, nella memo-
ria a lungo termine, sepolti dalla tav, o sarà per-
ché accanto al nostro nosocomio cresce bianco in-
esorabilmente l’ennesimo condominio senza fine-
stre, senza balconi con i panni stesi, senza rumori
senza suoni, un dormitorio che non promette
nulla di buono.

***
Meglio farsi la plastica, meglio sostituirsi col
titanio, meglio cento volte meglio cercarsi i pez-
zi di ricambio che rassegnarsi alla rottama-
zione. Meglio molto meglio assordarsi con la
disco dietro il vetro durante l’ora di body sculpt,
perché non possiamo permetterci di entrare
nel silenzio puzzolente dei dormitori. Qualche
suicidio dimostrativo, molti tentati, ma la lavanda
gastrica è meglio molto meglio che la lavanda
dei piedi dei preti, queste superstizioni che non
pagano. Al supermercato ho comprato un gel
alla lavanda, che assorba gli odori che esalano
dalla vicinanza del dormitorio.

***
Ci siamo appesi con una corda al collo in azienda,
siamo affondati, come dei veri capitani, con la nave.
Questo è l’orgoglio, il premio alla carriera, di noi
piccoli imprenditori del nordest colati a picco con
la crisi piú brutta dopo quella del ventinove. Farci
trovare penzoloni nei nostri capannoni è un fatto
per noi di indubbio valore in un mondo senza valori.
Abbiamo creduto nella lega, abbiamo creduto in berlu-
sconi. In realtá questa, oramai possiamo dirlo, era una
balla. Ma ci piaceva sentirci ancora padroni, padroni
di qualcosa di nostro nell’italia dei ladroni, noi eravamo
gente semplice, poco istruita e che ama rimboccarsi le
maniche. Ma quando abbiamo dovuto licenziare dal
nostro nosocomio gli operai con cui la sera ci ritrova-
vamo al bar, quando le loro mogli non ci mandavano
piú sorrisi allusivi ma sguardi smarriti perché dovevamo
licenziare i loro mariti e quindi addio shopping il sabato
con successiva cenetta e scopata, ecco allora noi ci siamo
sentiti improvvisamente anormali, come quelli che prendono
gli psicofarmaci, i drogati, e quindi pur di non andare
dal dottore di cui ci si vergogna ci siamo suicidati. Tanto
certe cose si fanno in un attimo, meglio levarselo subito
il dente malato e a noi che non avemmo nessuna dimestichezza
col pensiero filosofico ci premeva soprattutto la dignitá
i quattrini e conseguente fica in quantitá. Le nostre mogli
adesso mettono in vendita le villette di barbie, ma nessuno
le puó comperare, e questo ci riempie di un piacere volgare che
ci piace. Rimarranno anche loro piú morte di noi lassú povere
nel loro nosocomio, che non ammette questa condizione.
Sui capannoni lungo la piana ci hanno scritto tanti
affittasi, noi affissi loro affitti e intanto gli infissi
giá cominciano ad arrugginire e tutto imploderá affon-
dando nella melma della piana, visto che ormai il clima
si è fatto subtropicale nelle pianure nebbiose e afose
del vostro nosocomio. Abbiamo fatto bene a non aspettare.

_________________
Rosaria LO RUSSO, Nel nosocomio, Pavia: Effigie Edizioni, 2016, pp. 90
Foto fornitaci dall’A.

Informazioni su Roberto R. Corsi

"La perdita e il perdono" (Pietre Vive, 2020). Mi trovi come @rrcorsi su Instagram / Telegram / Threads.

7 commenti su “Rosaria Lo Russo, Nel nosocomio

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  2. marforioarsenio
    04/04/2016

    forte! anch’io anch’io quando sarò vecchio e stanco devolverò la mia pensioncina, se non si estingue prima, al “sacro tempio” (vedi 2022 i sopravissuti, questo vecchio film che, vai a sapere perché, m’è tornato in mente) di nosocomio. ma basteranno quei 4 soldi che uno versa lavorando due vite in una, non sarà il caso prima di convincere renzi, o chi per lui, in un modo o nell’altro a farsi dare un cospicuo vitalizio diciamo 5/6000 euro come quelli là, quelle anime morte?

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  3. marforioarsenio
    04/04/2016

    forse sono andato un po’ fuori tema? ma ormai. tutto merito della “poetrice”

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Questa voce è stata pubblicata il 02/04/2016 da in letteratura italiana, poesia con tag , , .