perìgeion

un atto di poesia

Paolo Polvani, Il mondo come un clamoroso errore

a cura di Roberto R. Corsi

Il mondo come un clamoroso errore (Pietre Vive Editore) è una raccolta che tratta di ultimi, di emarginazione, di abiezione, di fatica del vivere, de molesta senectute, di morte; e riesce a farlo senza surplus espressionisti o eccessi di ironia (tutto con la lodevole eccezione de L’uomo che brucia). Ma anche con qualcosa di più del semplice naturalismo descrittivo. Merito forse della maturità dell’Autore, che si esprime attraverso disincanto, senso di fratellanza e benevolenza, empatico pessimismo. I versi, in prevalenza liberi e sciolti, raccontano spesso storie di persone su cui splende talora un tenue sole di felicità. Il lavoratore dalla tuta arancione sembra parte del paesaggio di una veduta, le operaie che si recano al lavoro in bicicletta stemperano la durezza della levataccia per il turno mattutino con la loro sensuale giovinezza; il “re della ramazza” è oggetto di affettuosa canzoncina.
Se la natura di Polvani ricerca indefessamente rettitudine nelle persone comuni o scampoli di sorriso in situazioni difficili, titolo e altre poesie non mancano però di riportarci alla aberrazione (il titolo del libro è tratto dalla lirica Complanare), a intenti o esiti tragici tratteggiati delicatamente (Una ringhiera, Il monaco dagli occhi scuri), come pure alla grigia durezza della condizione di molti (Al mercatino dell’usato), alla crudeltà algida delle istituzioni (Il crollo: «Il tema della recita è il cordoglio»), alla ineluttabilità della condanna della specie (Non ci salveremo). Condanna avallata ed eternata dalla profonda insensibilità dei nostri tempi, stigmatizzata nella poesia finale Purché vinca la Giuve che è una sorta di “norma di chiusura” del sistema: calcio (e belle forme) come arma di distrazione di massa dal dramma delle pagine precedenti, e dunque come garanzia di perpetuità del medesimo dramma. Una posizione che fu anche, tra gli altri, di Giovanni Giudici (Viani, sociologia del calcio): «Tutto questo parlare di calcio/ per non parlare d’altro/ – tutto questo per non guardare/ l’essenziale del mondo (…)»

***

COMPLANARE

Erano allegre, vocianti,
erano tante,
giovani più giovani
della mia giovane figlia
sulla complanare 16 bis,
con bei culi in vista,
ciò nonostante
mi ha fatto male male, ho visto
il mondo come un clamoroso errore,
un enorme abbaglio, un solo,
unico sbaglio.

*

L’UOMO CHE BRUCIA

Forse importa alle banche un uomo che brucia?
Una grossa fiammata non ammorbidisce il ruggito degli autobus

e i semafori
perseguono nel loro muto ammiccare.

La comunità dei colombi ne risulta
parecchio infastidita.

L’uomo in fiamme percuote stupidamente l’aria,
annaspa, affoga nella piazza, è tragico
ed è buffo. C’è una lettera. La vampata
iniziale è la firma. La solitudine
è ogni ricordo.

*

UNA RINGHIERA

Guarda: perde una ciabatta mentre scala
una sedia: non è impresa da poco scavalcare
una ringhiera, ci sono i fili della biancheria
c’è lo sguardo dei gatti e le foto
allineate come un cinema muto
e guardare di sotto non porta bene. Una pensione:
ci si combatte con quei pochi euro
si maledice quella cifra esigua ma a che serve
mordere il cielo.

Guarda: la sedia traballa, non bisogna
guardare di sotto, non bisogna. Non ci saranno
angeli a sorvegliare il volo e Superman
sarà occupato altrove. Guarda come si scavalca
una ringhiera.

*

LE OPERAIE SULLA BICICLETTA

Le operaie sulla bicicletta raccattano le sparse briciole
di vento. Presto la furia di luglio diverrà uno schianto.
Un sole delinquente tramortirà le case. Ma adesso
indugia al bordo della seduzione, le stringe, le lusinga, le carezza.
Un’afa perpendicolare planerà sui tetti. Le operaie agguantano
un’elemosina di fresco, sui raggi della bicicletta
s’incide la luce della fretta, della necessità, è un lampo, un guizzo
il trillo d’una chiamata, un appello, è un’adunata
che scaraventa fuori dalle case una sudata
forza lavoro, stremata da lenzuola, provata
dalle lunghe notti. Ma c’è la bicicletta che rimedia
l’aria, ricuce i sogni boccheggianti appena evaporati,
c’è il canto della bicicletta che regala alla via
una folata di giovane allegria, di cosce abbrustolite
sulle spiagge, di radi brividi di gioia, l’andirivieni
dei pedali, la foga della corsa, e quell’ombra in fuga, il caldo
che incalza e impazza, il sellino che ad ogni buca
sobbalza, e strapazza, di buon mattino, la scontrosa grazia
delle gentilezze, delle morbidezze, segrete sirene di ogni ragazza.

*
IL MONACO DAGLI OCCHI SCURI

Quel giorno era il dolore il padrone
del mondo. Il monaco dagli occhi scuri
non era abbagliato dalla bellezza del bosco
nell’alba, il silenzio lo abbracciava
come un fratello e già germogliava
un farfugliare sotterraneo.

Il dolore gl’ impediva la vista
dei giovani faggi, delle foglie
che respiravano piano.

Non portarmi con te, gli aveva gridato
la corda, non portarmi
nell’innocenza del bosco.

Ma ora era intento a saggiare
la robustezza di un ramo, rapito
dall’idea di lasciar dondolare
i suoi occhi scuri nel bagliore del vuoto.

*

AL MERCATINO DELL’USATO

Libero ingresso per un’umanità con gli occhi bassi,
al guinzaglio di piccole miserie, impressa
una memoria di case straripanti odori, incrostati
fin dentro le parole, come certe urla che si appiccicano
ai muri e nell’aria il ricordo ancora vibra. Da questa parte
una lunga distesa di tazze, di tazzine. Di qui simulacri di corpi
di cui è rimasta solo una camicia lisa nel collo, consunta
nei polsini, giubbotti cui come naufraghi si aggrappano
aloni di sudore. In alto le antiche radio degli anni ottanta.
In certi frullatori si è come incastonata la voce
di chi li maneggiava, c’è l’orma di un lavello, di un dolore
tutto familiare. Qui l’umanità procede
con un senso di colpa cucito dentro al petto, prossimo
a farsi pianto, a scusarsi, a rendere evidente
l’umiliazione. La povertà che si nasconde
dietro un impacciato sorridere.

*

PURCHÉ VINCA LA GIUVE

Che il mondo vada a scatafascio, le guerre inaspriscano il pianeta,
i barconi facciano naufragio, i migranti a picco, i padri accoltellino
nel sonno, s’impennino i femminicidi, l’acqua scarseggi e tutta
sia di pochi, la crisi spiazzi, che l’ultima goccia di petrolio schizzi,
tutto questo per te non fa una piega, purché si vada avanti
con la liga, purché si faccia il coro, purché la curva ostenti
lo striscione, purché si salti sugli spalti, purché
il gregge veneri il pastore, purché viva la Giuve, purché risplenda
quella fede antica, la divinità più amica, purché viva la fica,
che il mondo scarti, scivoli, cada a precipizio, la bomba
faccia un’ecatombe, a Gaza i razzi squarcino i bambini, il paese
deragli, affoghi alluvionato, ma non si tocchi il campionato, purché
viva la Giuve, resti alto il vessillo del credo che anestetizza,
favorisce il sonno, confonde il senno, ottunde, vaneggia, mistifica, purché
viva la fica. Il mondo crolli, si sfracelli, ma che la curva
urli, il delirio deliri, il fanatismo scrosci e rimpiazzi
i residui sprazzi di lucidità, tutto finisca, si esaurisca il mondo, purché vinca la Giuve.

______
[Paolo POLVANI, Il mondo come un clamoroso errore, Locorotondo BA: Pietre Vive Editore: 2017, EAN 9788899076207 (EAN ebook 9788899076337)]

Informazioni su Roberto R. Corsi

"La perdita e il perdono" (Pietre Vive, 2020). Mi trovi come @rrcorsi su Instagram / Telegram / Threads.

5 commenti su “Paolo Polvani, Il mondo come un clamoroso errore

  1. ninoiacovella
    11/01/2018

    Polvani mi stupisce sempre. Soprattutto perché guarda il mondo e ne ascolta il rumore di fondo. E mi meraviglio sempre di più che dalle tante cose che vediamo e sentiamo del mondo poco se ne scrive in poesia.

    Piace a 2 people

  2. christiantito
    12/01/2018

    Grazie Roberto, Paolo Polvani è poeta e persona di grande valore. Sono molto felice di rivederlo qui.
    Christian

    Piace a 2 people

  3. francescotomada
    13/01/2018

    Mi piace molto questa poesia spesso cruda e tagliente.
    Ha occhi per guardare cosa dire, voglia e forza per dirlo.

    Francesco

    Piace a 1 persona

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Questa voce è stata pubblicata il 10/01/2018 da in letteratura italiana, poesia con tag .