di Giorgio Galli
L’epoca geniale doveva essere il primo capitolo del misterioso romanzo intitolato Il Messia, di cui si è perduta ogni traccia e sulla cui presenza negli archivi segreti sovietici si è a lungo favoleggiato, in una spy-story che ha visto fra i protagonisti lo scrittore israeiliano David Grossman. Ma, purtroppo, la spy-story del manoscritto è finita nel nulla, e se ha alimentato la leggenda di Bruno Schulz, non ha contribuito alla nostra conoscenza di lui come scrittore. Tutto ciò che resta del Messia è questo racconto, che doveva esserne uno dei primi capitoli -forse il primo- e che per fortuna fu pubblicato da Schulz nella sua raccolta di racconti più matura, Il sanatorio all’insegna della clessidra.
Cosa sappiamo della trama del Messia? Nulla. Schulz considerava il romanzo “il seguito delle Botteghe color cannella”, ma è difficile capire in che modo la ricostruzione mitica dell’infanzia operata nelle Botteghe potesse continuare in un’opera dal titolo tanto solenne. Abbiamo un unico indizio: questo racconto.
L’epoca geniale disegna un clima di rovente attesa, che forse doveva caratterizzare tutto il romanzo. Non vi accade nulla, tranne l’esplosione della creatività del protagonista, alter ego dello scrittore. Un’esplosione che coinvolge e travolge di meraviglia tutti i personaggi e la natura stessa, perché in Schulz il cosmo si muove tutto insieme: i contrasti tra le sue parti vengono ricondotti ad un’armonia spaventosa, un’armonia che inquieta, ma che è pur sempre un’armonia. Spesso paragonato a Kafka, lo scrittore polacco sembra in realtà il suo contrario: non un sensore delle lacerazioni dell’io rispetto a se stesso e al mondo, ma un cercatore di riconciliazioni metafisiche a quel dissidio. La storia personale di Schulz, con un padre dalla debole personalità -che nella trasfigurazione mitica delle Botteghe color cannella diventa eroe trasformista, che interpreta tutti i ruoli e si atteggia a fallito Demiurgo- e una famiglia di donne molto forti, il suo carattere timido e spaventato di uomo dalla testa di gnomo e con l’aria di un “espulso dalla vita” -così lo descrisse anni dopo l’amico Witold Gombrowitz- giustificano psicologicamente questa ricerca di una riconciliazione, quest’ansia di rendere armonioso il mondo spaventoso da cui si sentiva schiacciato. Pure, i racconti di questo “gnomo” hanno la consistenza dell’epica -un’epica popolare e colta, paesana ma aggiornata ai ritrovati della più sperimentale letteratura coeva, senza tempo ma impossibile in un tempo diverso dall’ ”epoca geniale” del primo Novecento europeo.
Il clima di questo racconto non è dissimile da quello della leggenda ebraica secondo cui il Messia sarebbe apparso nella città baltica di Odessa, ma nessuno se ne sarebbe accorto -al che il Messia sarebbe tornato indietro da dov’era venuto. Ma se la leggenda ha un sapore ironico, il racconto di Schulz rende perturbante anche l’ironia, è l’equivalente della luce che, nelle lanterne cinesi ingigantisce su un muro figure che in realtà sono minuscole. Ne L’epoca geniale tutto sembra gigantesco, tutto è proiettato nella dimensione mitologica più pura. Lo stesso esplodere della creatività del protagonista potrebbe essere uno dei segni prodigiosi che preludono alla venuta del Messia.
Purtroppo non conosciamo -e non conosceremo mai- il seguito della storia, perché Schulz è stato ucciso dai nazisti che occupavano la Polonia e tutto il suo lavoro inedito è andato perduto -a meno che non risbuchi davvero da qualche archivio segreto in qualche nuova spy-story a lieto fine. Ma, proprio perché non conosciamo il seguito della storia, questo primo capitolo, questa pietra di fondazione, imbevuta di segnali acuminati che solo la ricchezza della prosa riconcilia, acquista un fascino ancor più misterioso, vibra di un’inquietudine non solo metafisica.
(Bruno Schulz, L’epoca geniale, traduzione di Lorenzo Pompeo, postfazione di Marco Ercolani, Via del Vento Edizioni, collana “I quaderni di Via del Vento”, volumetto n. 46)