In queste settimane abbiamo assistito ad una fioritura di testi sul periodo che stiamo attraversando. La maggior parte, anche se lodevole nelle intenzioni, difficilmente colpisce nel segno, forse perché vuole colpire nel segno e si perde sotto il peso dei propositi.
Ho chiesto invece a Iole Toini se potevo pubblicare questo breve scritto, e lei – la ringrazio – ha detto di sì. Ci tenevo in modo particolare.
Provate a leggerlo, se volete, e sono convinto che capirete perché.
Forse non è primavera, forse non sono alla finestra, i tetti non sono tetti e il lago che intravedo in lontananza non è un lago. Niente è quel che è. Neppure io sono io. Uno spazio sconosciuto strappa i confini noti per esplodere in un’ambigua forma.
Distolgo gli occhi e guardo in alto, il cielo rallenta, mi fa entrare. Le case diventano vele, vialetti e lampioni prendono il percorso più ampio e vanno incontro a un sole fastoso. Gli alberi staccano il suolo e cominciano a raccontare
di quando le radici spiccavano corpi verdi e lingue di formiche slittavano sui loro dorsi e vermi inghiottiti da becchi risalivano i corsi d’acqua e larici e robinie e gorgoglii puntiformi frinivano di modo che niente era immaginato, tutto poteva essere toccato e mai smarrito. Le foreste erano possenti, ali di codirossi seguivano i risvolti alle colline che invitavano i corsi d’acqua a dar corpo alla luce. Era un’unica forza brillante, che non faceva che divaricarsi e crescere, infilarsi fra pietre e muschi e codi di lepri, e correre smisurata in un unico respiro.
Raccontano gli alberi che ogni cosa era anche un’altra, cosicché tutto era porta e chiave, le vette erano anche fondi marini, i camosci diventavano prati e le gole dei torrenti salivano fino a farsi grani di sale.
Ma torno a guardare dalla finestra e non so cosa vedo: case raggomitolate intorno a volti svuotati dalle lacrime, Un respiro affannoso solleva il petto alle strade. Camion militari scortano occhi muti verso un gorgo di bare. Si è fatto tardi davanti agli schermi. Tutto sta marcendo.
Ignobili esseri addossati ai muri sono pronti a squartare, anche ora che tutto è sfatto, anche ora che assi sono inchiodate alle chiese e le madri sono morte e nessun volto è rimasto acceso nella strada.
Da una casa si alza un suono inverosimile di trombe, in lontananza campane suonano a festa; è domenica e come ogni giorno il cielo continua a riversare il suo blu e selve di abeti da qualche parte, in alto, riscattano lo spazio con la loro maestosa immobilità.
Paratico, 18/04/2020
***
Veramente notevole.
Quanto di più intenso ho letto in questi giorni di questi giorni…
Grazie.
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Iole è sempre stata un sistema solare a sé stante, completamente uguale e completamente diverso al nostro, una mano miracolosa nel raccontare e stampare immagini su carta, uno scrittura unica.
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Scene insolite, di intensa luminosità , dove la natura si mostra pure incredula della morte, dell’assurdità di questa catastrofe. Versi vicini al bordo dell’indicibile e attraversano il nostro silenzio.
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Scene insolite, di intensa luminosità , dove la natura si mostra pure incredula della morte, dell’assurdità di questa catastrofe. Versi vicini al bordo dell’indicibile, che attraversano il nostro silenzio, si fanno silenzio.
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grazie a tutti.
in particolare a Francesco Tomada.
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Il dono della poesia il più delle volte si manifesta così.
Grazie Iole e grazie Francesco.
Nino
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grazie Nino. sono sempre un po’ imbranata e imbarazzata. Ma è un grande piacere stare qui e sentire il vostro calore.
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Il regalo ce lo hai fatto tu, Iole.
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Iole è un bel regalo
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