dalla prefazione di Giancarlo Pontiggia
L’ago della bilancia
Raffaela Fazio non ama le raccolte poetiche disorganiche, il verso abbandonato a se stesso, chiuso in una mandorla di impronunciabile verità, e di ambigua rarefazione: i suoi libri sono compatti e strutturati; i suoi versi sono spesso accompagnati da lunghe didascalie e da citazioni che hanno il compito di illuminare il movimento serrato e argomentato del discorso. A volte, come nel caso di Ti slegherai le trecce (in cui attinge al patrimonio del mito classico), e di Midbar (che affonda nell’oscura selva dei libri veterotestamentari), dà vita a una galleria di figure e di personaggi che irrompono sulla pagina con tutta la loro carica archetipica, e la stratificata complessità di una storia che viene da lontano. Il compito dell’autrice è quello di interrogare, e di esigere una risposta che deve, prima ancora che a se stessa, al lettore.
Anche Meccanica dei solidi ubbidisce allo stesso principio generativo: tredici storie, tredici destini che si compiono nel segno del sacrificio. Storie che appartengono però, in questo nuovo libro, al nostro tempo, tratte per lo più dalla cronaca contemporanea, e di cui sono protagoniste (con l’eccezione di Oates, nel terzo componimento) figure anonime colte nel momento di una scelta che viene prima di ogni pensiero, e nella quale forse si svela la loro vera essenza.
Anche la collocazione delle tredici storie risponde a un’esigenza di chiarezza: il primo e l’ultimo dei componimenti mettono infatti l’accento sulla parola chiave della breve raccolta («forze», al plurale), e da cui dipende il suo significato complessivo. Come i solidi rispondono a una sollecitazione prodotta da un agente esterno, opponendo più o meno resistenza, così anche gli uomini devono costantemente misurarsi con forze che premono sulla loro vita, e che a volte, come in questo componimento d’apertura, non consentono alcuna astuzia, alcuna forma di compromesso.
Arland Dean Williams Jr. era uno dei passeggeri a bordo del volo Air Florida 90, che si schiantò nel fiume Potomac poco dopo il decollo da Washingron, DC, il 13 gennaio 1982. Arland che, insieme ad altri cinque sopravvissuti, attese i soccorsi aggrappato ai rottami della coda dell’aereo passò di volta in volta a chi gli stava accanto il salvagente lanciato dall’elicottero. I cinque vennero tratti in salvo. Quando l’elicottero tornò per Arland, lui era ormai affogato. Aveva 47 anni.
Due forze
Due forze in gioco:
il gelo compatto del fiume
e l’incerta presa dei pochi
rimasti
aggrappati ai resti della coda.
Tra loro, uno più vigile di tutti.
Calato dall’alto, il salvagente.
Lui lo passa
a chi gli è più accanto
una volta, due, tre, quattro.
He’s the last man in the water:
L’ultima cima
non trova più la stretta delle mani.
È scomparso
sott’acqua, sotto i rottami.
Due forze in gioco:
la natura imparziale
e la scelta
dell’uomo che sposta
di tre quarti d’oncia¹
l’ago della bilancia.
¹ Corrispondenri a 21 grammi, considerati il peso dell’anima.
Randall McDougal è morto il 27 marzo 2019 nell’Arkansas a causa di un incendio scoppiato nel suo autocarro, che trasportava nitrato d’ammonio, usato come fertilizzante. Accortosi che i freni si erano infiammati, e consapevole della pericolosità del carico, Randall ha chiamato il 911 per far evacuare la zona e ha continuato a guidare, portando il camion fuori dalla strada principale, in un ‘aerea non abitata. Dopo essere sceso dal veicolo, invece di fuggire, ha tentato di spegnere il fuoco. In quel momento è avvenuta l’esplosione, che ha aperto un cratere di circa 5 metri. Non ci sono stati altri morti. Randall aveva 63 anni.
Il carico
La strada fatta di ore
per coprire una distanza
è un non-tempo
che scorre lineare.
Solo conta
il punto di partenza
lo spazio familiare.
Eppure là nel mezzo
del trasporto
il giorno si è ferma to
per sua scelta.
L’incendio ha cominciato
con i freni. L’allerta
lui l’ha data al primo segno
ha proseguito
nel posto più remoto
(sa bene che il nitrato
è pericoloso).
È sceso
per spegnere le fiamme
e l’autocarro è esploso.
Adesso è quel non-luogo
quel buco nella terra
ciò che resta di più denso.
È il cratere
da cui riparte il tempo:
diverso, il carico di senso.
Augustin Affi, ventunenne di origine ivoriana cresciuto in ltalia nei pressi di Forli, è morto sulla spiaggia di Lido di Classe, a Ravenna, il 30 giugno 2011, dopo aver creato di salvare due bambini di otto e undici anni che stavano annegando. l bambini sono stati tratti in salvo da due militari di stanza in zona, ma per Affi, recuperato troppo tardi, i tentativi di rianimazione sono risultati vani. Il comune di Forli ha pagato i funerali e il rimpatrio della salma in Costa d’Avorio. Il giovane giocava in una squadra di calcio locale, apprezzato per la sua rapidità in campo. Augustin Affi è ricordato dai suoi compagni come un eroe.
Raggio d’azione
Nel capocannoniere
una promessa. Quante azioni
di un gioco
ancora da venire
e vite in una vita.
Quel pomeriggi
al grido
vicino al litorale
è sceso tra le onde.
Ma la linea di fondo
si è spostata. Un fallo
del destino, una buca.
Il corpo così rapido a reagire
non deve aver capito
la caduta, l’assenza
di rumore sugli spalti,
Chissà se anche il paese
che lo accoglie
nell’ultima trasferta
per lui ha una parola
che per metà è pianto
e per metà vittoria.