perìgeion

un atto di poesia

Massimo Conese, Esercitazioni di historia e anatomia

Johan Christian Clausen Dahl, L’eruzione del Vesuvio, 1823

Stame, corolla*

Ah se fossi rimasto anemone

candido giglio o asfodelio notturno!

non penserei. All’inesauribile incanto

del dire e del fare. Ma, penso,

sono un’anima logica e sensitiva;

passo dal metrò che si snoda lascivo

sui contrafforti dei paesi oltre tariffa

urbana al surgere della scoperta,

sorgiva intenzione di svelare il modo

e l’azione della poesia. Sì, penso

per collimazioni dei miei

pensieri brulli e visitati da chimere.

Che sia più facile snodarsi sul prato

dell’infanzia da abbeverare un fioco

dal minio della corazza e incanutire?

Solevo colmare gli anni di pensiero, sondavo le aperture del teschio.

Ah il miraggio del pensare!

Sempre seduto o inciso nel vagone,

ora con lacerti di nebbie a brani,

tra spalti di un cantiere aggettante

cemento su fiori mai nominati.

Ora sgroppate di luce diffusa, mai solare,

in valli e templi e isole e cipressi

marroni di Böcklin, a guardia dell’unica

speranza, quella di riemergere con la testa

in una corolla, profumata o nauseabonda,

ma sempre stame, corolla appunto.

Il vecchio mi cerca l’obolo, noti

i suoi denti digrignati

al solo astro che illumina le

nostre notti, la mano compressa

nell’atto, una gobba artificiale

di pensieri accolgono i mali

del mondo, un vaso di Pandora

che trasecola ed imprime.

Loro, i fruitori neanche se ne

accorgono, puntini materici di un

cosmo asperso di immobili,

case decostruite a colpi,

lavatrici buttate tra sterpi, forse a

lavare il cuore di rettili.

Ah penso che non sarò mai più

corolla o stame, eccomi talvolta

appagato di non sapere.

* Pubblicata in Frammenti imprevisti, a cura di Antonio Spagnuolo, Kairòs Edizioni, Napoli, 2011.

Segni*

Coltiviamo le acque acute

scure, e ci immergiamo nel sale

di una terra pastosa,

lingua parlata che tramuta in seme e produce il segno.

Infedeltà alle cose:

sussurri di un fiume sogni

che viaggiano al mare

che si alza e si abbassa

al tuo respiro

per nulla

essere mai più

pistillo o sepalo, talvolta

appagati di non credere

le foglie che cadono

corrose sul margine.

Sembra ieri che la pervinca

riempiva i muri dai buchi

anche ora che siedi immobile

tra le bare di cristallo e decidere

se baciare le donne di neve.

* Pubblicata in Frammenti imprevisti, a cura di Antonio Spagnuolo, Kairòs Edizioni, Napoli, 2011.

In fiamme*

In poche parole siamo pronti al tutto

a falciare l’erba dei nostri giardini in pigiama

a soffiare nella tromba del giudizio ed attaccare

anche ad annegare nella solitudine romantica

ad accettare il demone di Füssli o la luna di Caspar.

Impantanati nelle possibilità vogliamo sognare

di quando, bambini, ci alzavamo con le stelle negli occhi

il caldo brusìo delle lenzuola, il sonnecchiare

della tartaruga-fratello. Ora ci basta guardare nelle superficialità

dell’altro obbedire al comando. Ma un vulcano si è scatenato

dalle profondità dell’isola, l’atollo è in fiamme

e noi non possiamo più negare.

* Pubblicata in La clessidra, n. 1/2, Edizioni Joker, Novi Ligure (AL), 2012.

In croce

Scendevano come formiche dalla scala a spirale

lungo il muro della cittadella d’oro,

mai immaginati i colpi su colpi della mazza

sul chiodo piantato sui calcagni.

Il buio del giorno in cui sfociava era sempre più buio

dell’occhio lucido di quando erano bambini

e cantavano le lodi del Creato

e si nuotava nell’amnion dei celenterati.

Un gufo si alza dal tetto di crisolite

e, sbattendo le ali, si tuffa nel mio collo,

giù fino alle profondità dell’impiantito

e consuma un altro dramma

dell’umanità. Egli non sapeva scegliere fra Cielo & Terra

di Luce e colori erano fatte le sue idee,

di lì la costante de-voluzione

dell’agnello che sfocia nell’agape dei  Templari

e malattia dei puri e folli è.

Ascensione

Oh Sole, baciami, corsiero

e la tua ancella, velluto d’estate,

di sale corroda il vaticinio

che aspetta ogni uomo come torcia;

che io possa abbracciare

le Sirene alate nel volo apicale

e comandi alla dèa verde-azzurro

nata dalle spume d’argento

e secondata dal Poseidone scotiterra.

Oh Sole destriero, baciami sulle carni

che furono brace e che diventeranno

puro pensiero di caligine.

Mutazioni della luce

Il mare, il fantasma dell’ombra,

riporta ad una voluttà di fanciullezza

quando anche il Tempo voluttuoso

era un essere grazioso;

e le pene scorrevano lievi

non tornavano se non pensieri primevi,

manca poco, dice la falena alla sera,

poi scenderò nel mare del rimescolamento.

“Ora è tenebre, ora è notte”,

scriveva Kavafis

nella sua tenda alessandrina.

Angiporti*

Mi persi in quella distanza marginale

perseguita per tempo insonne

non che parli di bucoliche nefandezze

mai che voglia dire del mare magnum

che scalpita in me come bucefalo di fuoco

per cui non tanto mi esercitassi

ad affabulare ma a tirar

maieuticamente il nos dall’io.

Il passero della poesia si raccoglie su se stesso

a rinfocolare fasci di cadaveri

immaginare passi attoniti fra la neve

cadente di luglio come

ninfea su palude-mischia gli angiporti

e quali sono tutti gli infiniti paesaggi

che possiamo indovinare stando sulla

bocca di un cannone armato e pronto.

* Pubblicata in Labyrinthi, a cura di Ivan Pozzoni, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2012.

Ora che sono tornato*

Ora che sono tornato dal viaggio mi ricordo della pioggia che stillava come
sangue sulle coste d’Irlanda. La cattedrale dall’alto campanile guardava l’oceano
come grosso uccellaccio che cabrava sui flutti verdastri e melange oppure
appollaiato sulle nuvole. E ora che sono tornato alla routine quel senso di
funerale non si scolla più addosso, tanto più che si legge in un Isolario del ’500 a
riguardo di Hibernia: “questi isolani sono grandissimi mangiatori, & tra loro cibi la
carne umana, hanno molto in uso, Et li loro parenti poi che morti sono, li
mangiano, Et questo appo loro e grandissimo honore…”. La banderuola lilla
sventolava sul porto sepolto, e là lo incontrai. Il ragazzo dei quadri. I suoi collage
hanno spezzato la realtà, ci dipartimmo dal pub e facemmo una passeggiata sulla
rena di una spiaggia immensa, il mare livido e burrascoso. Poi a Galway è partito
per le isole Aran, le Beate, aveva un’ossessione per non rimanere sulla terra
ferma. La mort d’Arthur. Visto che dipoi non l’ho visto più, e si sa che naufragò
con la noce che gli faceva da barchetta. Partì per decostruire un mito e
impiantare nelle coscienze uno nuovo. Si può da poeta.

* Pubblicata in XXX VII, a cura di I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2016.

La mia morte ti aiuterà

1.

La mia morte ti aiuterà,

amore mio, a vivere meglio

a congelare il cielo in un sogno

per vivere come meglio credi

l’esistenza di un angelo possibile.

2.

La mia morte ti saprà aiutare,

angelo mio, a curare il giardino

delle delizie, primizie anzitempo,

a baciare i boccioli dell’esperienza

inselvatichendo al punto di essere belva.

3.

Ma non dimenticare che la mia morte,

amore mio, ti farà godere della mia memoria,

e del segno della mia presenza

tu ne potrai fare un viatico della semenza

una gloria dell’esistenza.

4.

Ma non ti aspettare che io muoia,

amore mio, senza porgerti il seme

di coloro che ci seguiranno come speme

per un arcaico futuro in cui

tu ed io vivremo l’ultimo inverno.

5.

Ma seppure io dovessi morire prima

di aver detto le mie parole di vita, tu,

amore mio, sarai la madre dei miei pensieri,

la tessitrice dei miei sogni di cristallo,

colei che colpisce la freccia nel bersaglio.

6.

Ma riguardati, amore mio, dal tempo

perché il tempo non potrà guastarti

non potrà infliggerti nulla di nuovo

che non sia già scritto dal principio,

al momento della mia morte per te.

È possibile che il tempo

            È possibile        che il tempo       non abbia mai conosciuto

sé stesso     nella fuliggine dei camini         nello spazio

del cammino attraverso i secoli

nel rumore delle ruote che sole rotolano per mano dell’uomo

accovacciato sul selciato di una cattedrale in rovina

posseduto dalle genti di un impero rovesciato

nell’incuria della palta che ci sommergerà tutti

attraverso le note di una musica perduta

            È possibile che l’uomo         non abbia conosciuto sé stesso

nel fratricidio  come agnello sacrificale

all’interno della mente che poi sogna 

l’incesto tra le stelle

            È possibile che l’anima non abbia conosciuto se stessa

tra le sinapsi sommersa

nel mare dei pensieri che si ingarbugliano

goccia a goccia       stillante il nulla

per poi almeno dire qualcosa

            Ora guardiamo l’albero per non vedere la foresta

* Pubblicata in Dieci anni VIII, a cura di I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2017.

Le poesie qui presentate fanno parte della raccolta inedita Esercitazioni di historia e anatomia.

Massimo Conese (1961), dopo la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bari, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare presso l’Università di Napoli “Federico II”, e svolto periodi di ricerca presso l’Università di Copenhagen (Danimarca) e l’Ospedale San Raffaele di Milano. Dal 2019 è Professore Ordinario in Patologia Generale all’Università di Foggia.

Ha pubblicato sei sillogi di poesia: Il sogno dell’isola, Edizioni La Vallisa, Bari, 1991; Xenografia, Edizioni La Vallisa, Bari, 1994; Il libro delle Visioni, Edizioni Laboratorio delle Arti, Milano, 1996; Ur, LietoColle, Faloppio, 2005; Poemi lustrali in prosa, Editore Levante, Bari, 2008; Storia terrena, infernale e celeste di una marionetta, Limina Mentis Editore, Villasanta, 2010. Sue poesie sono comparse sulle riviste “La Vallisa”, “Il Monte Analogo” e “La Mosca di Milano”.

Ha curato la traduzione di due volumi di fiabe e leggende: Fiabe e Leggende Norvegesi (2001) e Fiabe e Leggende Irlandesi (2004), entrambi per Besa Editrice (Nardò).

Ha pubblicato inoltre tre volumi di saggi: La malattia delle fate. Origini degli esseri fatati, Edizioni Studio Tesi, Roma, 2012; Nati con la camicia. La membrana amniotica nel folklore e nella medicina, Edizioni Studio Tesi, Roma, 2018; La pulce di Hooke. Intersezioni tra medicina, letteratura e arte, Stilo Editrice, Bari, 2022.

Un commento su “Massimo Conese, Esercitazioni di historia e anatomia

  1. vengodalmare
    11/04/2024

    Che potenza hanno questi versi! Formidabili. Grazie.

    "Mi piace"

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Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 10/04/2024 da in Massimo Conese, ospiti, poesia.