La poesia che affronta il mondo
di Nino Iacovella
La prima volta che vidi Gabriela Fantato era al Circolo Bertolt Brecht a Milano più di venti anni fa. Era insieme a Giancarlo Majorino a condurre una rassegna di poesia. Ero da poco che vivevo in città e a quei tempi mi sfamavo continuamente e compulsivamente di qualsiasi proposta culturale che mi proponeva: cinema, teatro, mostre e concerti. E finalmente, dal vivo, anche degli incontri di poesia. Per questo ero lì.
Gabriela prendeva la parola, conduceva l’incontro e Majorino interveniva in seconda battuta. Erano affiatati. Gabriela m’incuriosiva per la sua personalità che ben si armonizzava in quella serata con i tempi e gli interventi del vecchio maestro. Una personalità che è stata a lungo importante nella direzione de La mosca di Milano, per anni uno dei punti di riferimento delle riviste di poesia milanesi. La sua direzione editoriale era una prova della sua particolare attenzione per il mondo della scrittura contemporanea, in coerenza con lo sviluppo corale del fare poetico di Gabriela, autrice dedita alla poesia come in un percorso collettivo, una voce all’interno di una moltitudine con un sentito fine di fratellanza poetica. Questa fratellanza è evidente ancor più nella sua ultima opera Terra magra, così ricca di rimandi ai maestri e ai “fratelli e sorelle” in poesia , attraverso vere e proprie dediche-esergo che riconfermano un altro credo fondamentale dell’autrice: l’opera di un uomo ha senso solo se umilmente innestata nell’opera umana nel suo complesso. Per lei è così anche nella poesia.
“Vivere con il coraggio obliquo / quella gioia semplice del dimenticare. / Vivere e disperdersi, vivere / tra chi vive.” sono i versi della quarta di copertina, fulcro della poetica di un libro che nasce e si sviluppa in buona parte nel periodo pandemico. Terra magra è un presente temporale e un futuro prossimo che non lascia trasparire più abbondanza e che anzi mostra ancor più i segni inequivocabili di una carestia esistenziale e sociale. In un grado zero del vivere.
Il titolo prende la scena nella sua scarna evidenza lessicale. Due parole che fanno eco a terra madre, matrice espressiva di riferimento di una natura che dona vita e nella quale, il materno dell’autrice, nell’amore e nella responsabilità di aver messo al mondo i propri figli, si fa canto predominante. Terra magra evoca una terra povera, ma anche un richiamo di suono alla parola agra, termine ancor più duro quando riferito alla vita in sé. D’altronde la pandemia s’innesta in un vivere già compromesso dalle pregresse crisi economiche, sociali e ambientali. Un insieme di accadimenti che già rappresentavano una netta cesura al lungo e ininterrotto periodo dove, soprattutto in occidente, scienza e tecnologia, insieme all’anestetico dei consumi di massa, sembravano aver rimosso la presenza ineluttabile del dolore.
Dal microcosmo affettivo e familiare della Fantato si tracciano poeticamente le direttrici esistenziali nel macrocosmo dell’umano e dell’umanità: nelle generazioni che si susseguono, dalla natura morta alla vita, dalla memoria e dai sentimenti che cercano di tenere traccia, attraverso la scrittura, di ogni singola esistenza.
L’autrice fa uso di una parola piana, levigata e allo stesso tempo verticale, di una verticalità lirica sempre “pulita”, armonica, derivante da una scelta dei significanti molto accurata. Il risultato di questa ricerca compositiva è di un verso apparentemente comunicativo ma che sostanzialmente tende a uno scarto linguistico alto.
Un’altra peculiare caratteristica della sua scrittura è l’inserzione di versi in corsivo. L’effetto percepito è quello di un controcanto interno che sembra essere una immersione intima verso il proprio infuocato nucleo sentimentale; una discesa necessaria per raggiungere sino in fondo l’ustione emotiva della sua poesia.
E ci sono stati viaggi, / punte su punte e inverni / e pregare su strade mai viste / balzi per scoprirsi / – figli e inventarsi / padri e madri. // Anni ci sono stati, per dire / siamo qui e siamo / nudi.
Terra magra
Ritorni
Dalla spiaggia ritorno sempre
con un sasso, un ramo liscio
o una conchiglia.
Ho pezzi minuscoli
di isole che non ricordo.
Scaglie, ossa persino e
frantumi di colonne.
Stanno nella ciotola, vicini
come bambini nel cortile.
Non so se ricordano il nome che li fece
– interi, la pianta che li univa
e il dolore, prima dell’arsura.
Le voci, certo le voci
le hanno addosso,
una sintassi di calcare e vento.
Le guardo riposare.
non chiedo, non posso sciupare
– il patto.
***
Una terra dura
I.
C’è un secco qui che taglia
ogni baia, ogni insenatura
come le figurine in carta dei bambini.
Le pietre si alzano a picco,
cupole di un santuario
gettato in faccia al sole.
Vorrei sapermi inginocchiare
e pregare
Vorrei un padre per questi anni
spezzati alla caviglia.
II
La terra è dura qui, distese di calcare
e indifferenza, scogli senza pudore.
II dolore sale e si fa ruga,
memoria del dopo.
III
Lascio che il vento intagli il mio corpo,
sarò docile al blu come questo cielo,
paziente al vento.
Lontano le stelle fissano, certe del disegno.
***
Una terra magra
La terra è sfinita,
le bocche in silenzio,
da sotto la crosta del mondo
piano piano tornerà l’erba che faceva
il suo gioco con la falce,
nei filari di giugno.
Intanto la storia nasconde
la scatola dei nomi, li rovisto, cerco
la forma bella per contenerli.
Sarà facile ritrovare
l’inverno dei sette anni,
le ossa rotte quando correva
l’adolescenza.
Viviamo una vita minerale,
strati su strati, assemblaggio
di parti minime
***
Preghiera
I.
Prendimi per mano e saliamo
dove non si può, dove si vede
– l’azzurro che toglie
il respiro, senza la certezza di tornare,
finché sarà notte e poi giorno.
Mentre il buio accerchia
il mondo là sotto,
dove si misura il respiro
e si cancella il perimetro
dove lo spazio è
zona di sorveglianza.
II.
Cantiamo la linea a perdita di sguardo,
la precisione dei numeri primi,
sfuggenti e infiniti,
andiamo dove non c’è scacco e dolore,
saltiamo a piè pari i confini.
Amiamo le foglie con ostinazione.
le radici che ci fanno
poveri e saggi nella stagione
a venire.
***
Sacrificale
Ancora gli dei chiedono
– sacrifici senza spiegazioni,
chiedono il rito che apra
le porte e schiuda
il cielo tra le ginocchia
Chiedo pietà per chi sa il bene
senza amarlo davvero,
per chi ha patito il male,
chiedo un gesto che scompigli
questo nero
e regali fiori – inaspettati.
Aspetto il tempo del raccolto
e che sia largo il braccio
a prenderlo,
per gli anni che saranno.
***
Accogli
Accogli nel bianco
anche il tempo che ci precede.
la voce di chi verrà e saprà
– aprire le porta,
tieni lontano quel gelo
di pizzi e vacui sorrisi,
lascia che sia e venga
un geranio nel cemento,
il gufo che canta
la notte e i sogni.
Attendi in preghiera.
come il monaco,
ascolta i rumori del vento
e il balzo del cielo
proprio quando nessuna parola
sa prendere il volo.
***
Un sogno strano
Impressionante
scrivere ancora parole
e vedere lei che sale e sale
ogni vocale, punto
su punto, sale sui muri
e le finestre si aprono
– enormi,
vedere ponti saltati alle spalle…
Nella città scatterà
la punizione,
qualcuno scoprirà
il canto della pagina,
qualcuno non potrà dimenticare
lei che voleva
– sposare
l’infinito al muro di casa.
Mentre mi sveglio
scopro che ho verniciato
tutti i muri d’inchiostro.
file di parole prima che gli echi
mi morissero in gola.
da Terra magra di Gabriela Fantato, Il Convivio Editore, 2023
Gabriela Fantato, critico e poeta. Le sue raccolte poetiche: La seconda voce(Transeuropa, 2018); L’estinzione del lupo (Empiria, 2012); A distanze minime(in “Nuovi poeti italiani 6”, Einaudi,, 2012); The form of life, trad. E. Di Pasquale (Chelsea Editions, New York, 2012): Codice terrestre (La Vita Felice, 2008); Il tempo dovuto. Poeise 1996-2005 (editori&spetttacolo, 2005); Northern Geography, trad. E. Di Pasquale (Gradiva Publications, New York, 2002); Moltitudine (in Settimo Quuaderno di poesia italianq, Marcos y Marcos 2001): Enigma, (DIALOGOlibri, 2000); Fugando (Book, 1996). Ha curato con Luigi Cannillo La Biblioteca delle voci. Interviste a 25 poeti italiani (Joker, 2005), e diretto la rivista di poesia, arte e filosofia “La mosca di Milano”.
“ sposare/l’infinito al muro di casa”
che bella immagine, come tante altre in queste belle poesie, delicate e piane nell’espressione di sentimenti profondi e liberi come ciottoli sulla spiaggia. Grazie.
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