Di Amara
Bologna, forse il millennio scorso
Un estremista biondo
proprio come me
“comunque un idiota”
reciproco pensiero
fra i meandri dell’affetto
di una stretta di mano
di vigore tra il medio, il metodico e l’astratto
e nessun libro e nessun pugno
da scambiarsi per il resto del tempo
del nostro futuro minuscolo mondo
autoreferenziale:
c’incontrammo al funerale
di non ricordo che
♦
Barcellona
Prego per la mia ossessione
che arrivi sana alla sera
e mi possa dire: eri vestito bene,
come un operaio degli anni cinquanta
o un calciatore con la chitarra,
un centrocampista che i fascisti ammazza
con timidezza.
Parlo, ma forse non abbastanza
con ogni capello caduto
dal senso di vuoto che adesso
mi sento in testa
mentre le ramblas invocano, quasi pretendono
nel vento dolciastro una dolcissima
festa, rimango alla fabbrica.
♦
Il tramonto
Il mio tramonto riesce ancora a farti arrossire
giovane luna dei miei ultimi passi,
verso il buio settembrino
che m’illuda a un sole nuovo.
♦
Fine turno
Graffia
la pasta lavamani
graffia ed è essenziale
per levare una buona discreta percentuale
di metallo unto di olio lubrificante
dai palmi invecchiati
che ti carezzeranno le guance
♦
L’omonimo
Carne di un carnefice da giorni vegetariano
sembra malato in realtà è un poeta cui hanno abbagliato la sintassi;
la sua ultima raccolta tiene
fermo benissimo un bellissimo bicchiere
le sedicenni che sullo schermo giocano a palle di neve
lo guardano e un po’ gli sorridono di giovanile
a sfiorire pietà
di tutto questo in questa sera appena
appena ostile
forse non scriverà.
♦
Genialità
Non importa in quale stupido secolo tu sia stato generato
i classici russi ti hanno espulso comunque da pagine sempre dense
e ricche come la tua pancia qualunque, o molleggiato grasso
di vita sterminante, danzante su uno sterrato dove conti
i denti, gli amici, i calcoli renali e pensi e ripensi che in fondo lo zero
sia solo un imbroglio travestito da numero reale; nel frattempo ti dividi
in tre diciassettenni che sembra se ne vadano poi tornano
purtroppo ancora vivi,”non si può essere seri, ma nemmeno così imbecilli”
pensi uno e abbondantemente trino, e vorresti arrotolarti i capelli
e creare mille “e” scritte in corsivo, per un elenco di quelli che conosci
da qui a San Pietroburgo fino ai giorni quasi nostri, ma hai la testa
che è una pagina bianca, una festa senza parole invitate, dove hai una voglia
con la forma di un punto di domanda,”sarò un idiota?” Te lo chiedi con serenità
accettando il fatto di non avere particolari capacità e la pistola che stringi
è solo un dettaglio nella foto di copertina del romanzo, a cui con grossa ironia qualcun altro
ha dato il titolo “Genialità”.
♦
La femme blanche
Ecco l’impermeabile di cammello
ha i miei stessi spenti anni,
la zanzara mi ha punto
aspettava da tempo, nessuno ha troppa sete
in questa voragine nel centro, di Parigi
anno eccentrico settantaquattro
l’amante indiana ha le tue stesse iridi, mi dici
castano interno giorno quarzo
è una pistola l’oggetto
di cui da molto tempo non ti parlo
dai un colore allo sgomento
sarà quello che mi aspetto:
triste solitario rosso tinto in giallo
e io non posso che spararlo
lo ammetto, provare a uccidere il vento
riuscendo sempre soltanto a sfiorarlo
ottenendo, in quel che amour definiresti
il modo più violento
soltanto una spavento,
eri il mio modo per distrarlo.
♦
L’estate peggiore da quando invecchio
Epitaffio frettoloso,
per uno che conosco
poco:
“Muore a ventisett’anni, sopravvivendosi
come un domenicale londinese qualsiasi, muore
e il respirare è un fastidio
che quasi lo uccide, muore
tra penne scariche muore
con colesterolo buono, pallottole e bile
abbondanti sulle strade
per il vuoto di sangue che oramai
nel cuor più non gli vive”
Ma la pistola è scarica,
ha sciolto in mille lacrime di vetro, un bicchiere
l’ultima munizione
La pistola è scarica, ripeto
è scarica
mi ucciderò per persuasione
♦♦♦
Massimiliano Aprile (Bergamo,1984)
Appassionato di biografie fittizie, ama, affatto ricambiato, la bicicletta e le canzonette sconce.
Disarcionato dalla prima e ispirato dalle seconde, comincia a scrivere versi durante l’adolescenza, versi che andranno a comporre un modesto falò nel piovoso ferragosto 2003.
Dopo un lustro sabbatico dedicato all’ozio e all’ingrasso, ricomincia in contemporanea a pedalare e a scrivere testi di canzoncine, nel contempo scopre la poesia con cui ha tuttora rapporti non stretti ma gioviali.
Pubblica saltuariamente su siti di settore.
[foto gentilmente fornitaci dall’A.]
“Fine turno
Graffia
la pasta lavamani
graffia ed è essenziale
per levare una buona discreta percentuale
di metallo unto di olio lubrificante
dai palmi invecchiati
che ti carezzeranno le guance”
È un tipo di poesia che apprezzo. Che comunica senza rinunciare alle profondità del sentimento umano.
Quando arriverà il giorno in cui molti capiranno che scrivere in modo semplice non è “il banale” e scrivere in modo complicato non è un buon servizio che si fa alla complessità (in questo caso della poesia, nelle sue sfumature del pensiero e del sentimento umano) probabilmente staremmo tutti meglio: poetanti e lettori di poesia. Scrivere semplice, in poesia, quando la poesia è davvero poesia, è difficilissimo.
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C’è “genialità” nelle sue poesie.
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