perìgeion

un atto di poesia

Mario Campanino, L’angelo morto

E la sua mano che si scaglia in alto
schiusa a ghermire, ti rimane innanzi
aperta, dentro gl’infiniti spazii,
difesa e ammonimento, o Inafferrabile!
(R.M. Rilke, La settima elegia duinese, trad. V. Errante)

L’intelligenza con l’angelo – nostro primordiale pensiero.
(Angelo: ciò che nel profondo dell’uomo
tiene a distanza dal compromesso religioso […].
Conosce il sangue, ignora il cielo).
(R. Char, Fogli d’Hypnos, 16, trad. F. Marotta)

 

a cura di Roberto R. Corsi

Per i tipi de L’Arcolaio di Gianfranco Fabbri è da poco uscito L’angelo morto del poeta e musicologo Mario Campanino. Doveroso, intanto, registrare che si tratta di una riedizione – «riveduta e aggiornata dall’Autore» – rispetto alla prima uscita per CFR/Anterem Edizioni, ottenuta a suo tempo da Campanino in qualità di vincitore del concorso Opera Prima edizione 2013. Viene riproposta anche la densa prefazione di allora, a firma Flavio Ermini. Compaiono invece per la prima volta in questa riedizione i disegni di Barbara Cotignoli.

Si tratta di un poemetto in 24 episodi brevi. Fedelmente al titolo, si sostanzia nella osservazione di un “angelo” morto per strada, sul marciapiede; creatura in cui l’io poetante s’imbatte in una giornata ordinaria, prima di passare oltre.
Opera snella, metricamente libera e lessicalmente semplice; contraddistinta da un utilizzo retorico pressoché costante – ostinato, si direbbe musicalmente – della similitudine o della metafora (la sostanza poetica principale: VIII, XIX, XX) secondo uno schema descrittivo “negativo/positivo” («non come… ma come…»). In pratica, una gigantesca ekphrasis della “natura morta su cemento” immaginata dall’Autore.
Tutto questo sposta ovviamente l’emotività e l’indagine del lettore sul piano ermeneutico e soprattutto allegorico, rendendo irresistibile chiedersi chi/cosa sia questo angelo – se una rappresentazione della condizione umana oppure un in se, peraltro entro una categoria (quella degli angeli) che più di tutti è connotata di ipoteticità/inconoscibilità/conoscibilità in intellectu.
Entro questo terreno di gioco il lettore sarà sballottato come una pallina del flipper. Si dispiega, infatti, tutta l’abilità dissimulatrice, pirandelliana di Campanino, che con un tratto di penna sancisce (soprattutto in XXI; quasi a mano aperta e protesa per divieto, come nell’esergo rilkiano che ho scelto per questa recensione) la non umanità del protagonista, e con l’altro insinua il contrario mediante il paradosso/rovesciamento (XVII: «non era senza sesso come un angelo/ ma era senza sesso come un uomo») e perfino un’ironia contestuale che, entro un procedimento di spoliazione dei caratteri quasi metafisico, trovo irresistibile (XV: «e si vedeva che era stato palestrato»!).
Del resto tutta la raccolta è marchiata da contraddizione, essendo un corposo, ingegneristico-poetico studio su una figura che, alla fine, si dichiara di non aver avuto tempo sufficiente per osservare…
Privo di “connotato-vissuto” umano – quasi una statua di Condillac fotografata prima di schiuderle organi di senso (e orifizi) – ma simile agli umani, anzi forse umano in fieri mercé piedi cuciti e un cordone ombelicale ancora attaccato al corpo, l’angelo di Campanino subisce comunque l’umanità, per trovarsi a morire in un contesto metropolitano di nerofumo e polvere (questa diade ricorre spesso), attorniato da persone che gli appongono sulla testa la loro firma nella più classica e scellerata delle interazioni “griffe/graffitare” contemporanee, o forse con intenzioni votive (XIV). Ancora una studiata indeterminatezza nell’incipit-explicit di XXII («Altri uomini erano passati… Che avevano lasciato i carri armati ai piedi») può riferirsi alle interazioni umane col cadavere ma anche alla sua natura umana im-perfetta o trasparente.

Suggestiva l’interpretazione di Flavio Ermini, per il quale nella indeterminatezza dell’angelo sta «l’indivisibile che ci accomuna al di là delle differenze» (si veda soprattutto l’indeterminatezza del colore della pelle in IX), disvelato dal minimale intervento dell’io che si situa, come un sipario o come l’aria delle Goldberg, in apertura e chiusura di raccolta. In questa stessa direzione, per il prefatore, l’andamento descrittivo della raccolta sarebbe un invito ad «abbandonare la soggettività in poesia». Invito “fortiniano” che sarei d’accordo nel cogliere qui se si fosse usato il verbo “ridurre”, ma che nella sua forma integrale non posso condividere del tutto: in primo luogo perché mi trova tradizionalmente scettico sulla possibilità di completo adempimento, dato che ogni osservazione presuppone un soggetto osservante e qualunque Reine Dichtungslehre, proprio come la kelseniana dottrina pura del diritto, è resa utopica dalla nostra discrezionalità politica; in secondo luogo perché a mio avviso la contraddittorietà esegetica, la metafora e l’ironia che ho evidenziato sono (provvide) microiniezioni di soggettività campaniniana.
Pure io sono caduto nella ragnatela “angelico-ermeneutica” di Campanino. I versi di chiusura, che non rivelo, mi fanno pensare a una metafora della condizione del poeta – orfano della sua musa-mondo, sbertucciato in più modi dalla folla (e dagli “altri” colleghi della societas leonina poetica), non adattato e ipersensibile par excellence. Verrò mangiato dalla smentita dell’Autore, ma in fondo – proustianamente – è irrilevante.

***

I.

Ho visto un angelo sul marciapiede
in mezzo a tante irrilevanti cose
come apparso all’improvviso
ma non come una sorpresa
o una cosa serbata
né come un enigma
apparso lì semplicemente
come in un’epifania
non di cosa violata
ma di cosa che si svela
.

*

XIX.

Non aveva nessuna apertura
in effetti era un corpo senza buchi
senza passaggi per entrare o uscire
ma non come una segretezza
o una gelosia
e non come una presunzione
piuttosto come una rimanenza
e un mancato approvvigionamento
o un oscuramento
come una fine delle trasmissioni
.

_______________

[Mario CAMPANINO, L’Angelo morto, Forlimpopoli: L’Arcolaio, 2017 (2), pp. 53]

Informazioni su Roberto R. Corsi

"La perdita e il perdono" (Pietre Vive, 2020). Mi trovi come @rrcorsi su Instagram / Telegram / Threads.

2 commenti su “Mario Campanino, L’angelo morto

  1. Pingback: Mario Campanino, L’angelo morto (su Perìgeion) | Roberto R. Corsi

  2. ninoiacovella
    01/11/2017

    “Pure io sono caduto nella ragnatela “angelico-ermeneutica” di Campanino. I versi di chiusura, che non rivelo, mi fanno pensare a una metafora della condizione del poeta – orfano della sua musa-mondo, sbertucciato in più modi dalla folla (e dagli “altri” colleghi della societas leonina poetica), non adattato e ipersensibile par excellence. Verrò mangiato dalla smentita dell’Autore, ma in fondo – proustianamente – è irrilevante.”

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Questa voce è stata pubblicata il 30/10/2017 da in letteratura italiana, poesia con tag , , , .