traduzione e premessa di Crescenzio Sangiglio
I testi che seguono costituiscono la traduzione italiana della più recente – e breve – raccolta di poesie di Jannis Dallas, autore tra i più noti della 1a generazione poetica del ’60, critico finissimo, esimio traduttore e in particolare interprete di tutti gli antichi lirici greci.
È forse la ricapitolazione di un’esperienza esistenziale e poetica più che settantennale nella quale lo sguardo critico epperò anche sentimentale compone i tratti definitivi del vissuto-affresco, ma sopra tutto definisce quelli dell’effettività e virtualità delle cose e degli uomini nella intertestuale dimensione del palinsesto esperienziale.
Un parvus libellus bensì, ma explicitario che si sròtola per codici significanti e direi orfiche articolazioni concettuali nella direzione che àuspica finalmente l’avvento della via “dalla catabasi a veder l’annunziata anabasi”: chiaramente balùgina il passaggio dalla storia alla trascendenza, dalla attualità dell’oggi alla realtà del tempo atemporale, due livelli diacronici che s’incontrano e si confondono.
I versi obbediscono con felice vocazione ad una grafia apofantica che ripercorre un retroterra fenomenico carico di multiplanari, esplicite o sottese, construzioni figurali. Così il poeta compie, attraverso una conclusiva somma empirica, il cabotaggio (forse liberatorio?) dell’io, sognatore, visionario ma pure sanguignamente concreto, rimèmora “arcobaleni” e “scudisciate”, “mura” e deità anonime ed eponime riflettenti l’umana connotazione, “città amata” e “vicoli”, “balbettamenti” e “strepiti” e “Babilonie”, e infine la “lingua e la scrittura”, lo spazio estroflesso nel quale egli ritrova e conferma se stesso e gli altri, il personale caos entropico e la demistificazione dell’umanità e del cosmo.
Con i versi di Primùltimo, un’invenzione verbale inconsueta, ma altamente espressiva, il pensiero escatologico pone le proprie logiche valoriali e depressurizza l’antinomia tra logos e bios per la finale isometria “dell’ultima visione di questo viaggio”.
È il momento centrìpeto in cui Dallas raccoglie nel proprio unicum fisico-psichico e metabolizza in un filosofico sìnolo di diacronica riflessione passato e futuro nella semiologica seguenza di realistici fotogrammi in progress.
La decisiva esclamazione: “sin qui siamo giunti” riassume il causale vissuto e insieme il causato orizzonte della finale evasione.
PRIMÙLTIMO
intromissioni del potere
la società e la storia le nostre fatali radure
Ι
ELEGIE STORICHE
I due ponti
Sotto gli arcobaleni fino ai cavalcavia
vidi i miei amici uno ad uno proiettarsi
verso i galleggianti o pensili dello spazio
Io tengo i due significanti della mia vita
quello che cigola fino all’Eufrate e al Danubio
e l’altro iniziatico di Eleusi a scindere in due
con i suoi dileggi i Misteri Eleusini
Con questi in bocca: motteggi e scudisciate
della dizione e contro-dizione
attraverso nuove impalcature passando la soglia
entrai nel laboratorio
e lì conciliatore della poesia divenni
Il ritorno dell’emigrante
Non è questo il ritorno dell’emigrante
(“È andato lavapiatti ritorna americano…”)
è alienazione e inversione di percorso
Una metà è rimasta lì a combattere
un gradino sopra-sotto gli altri
i rimanenti manovali o emigrati
Non sapeva nulla degli Stati Uniti
nè mai chiese quanti dollari costasse
la Libertà insidiosa1 dell’ingresso
L’altra metà fece ritorno giocatore – quello di carte
Adesso è pedina sulla scacchiera dell’Europa
servo o reietto dell’euro nell’ eurozona
1) In greco χαλκευμένη dal verbo χαλκεύω nel duplice senso di “produrre in bronzo” e “macchinare, insidiare”, riferito alla statua della Libertà e al suo significato “americano”
Ai confini
su dalla Tracia a testa alta
Rodopi s’erge a guardar sgomenta
in basso le acque egee tinte di rosso
Burrasca esplode
corre il nostromo
tutta Lesbo corre
e corre Chio
e le madri a galla
da Farmakònisso
ad Aivalì
semimorte
coi neonati
sulla mammella
e balza da una
costa all’altra
l’onda
cappio ventoso
strappàdoglieli
d’entro le braccia
gli appena nati
Vidi le mura
Voce clamante lamentosa dietro i muri
Non sono dell’eremita i muri Le mura sono
di popoli antichi con le gole protese
di ostaggi e di statue decapitate
Le mura di Palmira vidi abbattersi
E su dai Balcani fino al Medio Oriente
mura abbattersi e mura nuove ergersi
II
TEMPO PRE-ISTORICO LUOGOTEMPO
1
La strada faceva capo a rovine preclassiche
E allora come da una fenditura del frontone
entrò ed uscì fulminea trascinando
– mirifica visione – l’ala di un sogno
Che volo, diceva Atena – un volo aquilino
in quel momento balzando in armi
balzando tutta sapiente
e dietro a lei il poema
dalla testa di un dio che stillava sangue
amori e sangue
di un dio bulimico e parricida
prole di Saturno e pronipote
del Tempo2
2) In greco assonanza fra Κρόνος (Saturno) e Χρόνος (Tempo).
2
Dirimpetto le stetti con lo sguardo inchiodato
sulla pensilina
sui fili elettrici insanguinati
che sfiorò scendendo dal cielo
– seconda sciabolata di striscio – nascosta
sotto le piume del suo ventre
immacolato
3
Anime vaganti sul ciglio della veranda
– come in interstizio –
Di sotto il selciato
Atene calpestata
di sopra il cielo fulminante
lei, alato estraneo dello spazio
io, senza pinne, chino
sul fondiglio del caffè
e dell’abisso
4
Questa capitale e questo paese, disse
sono miei
– Anche miei, dissi
Mille volte percossa dai miei piedi
ogni suo passo uno spasimo mio contro-
risposi
5
E dopo aver molto delirato a lungo
per la Babele di un impetuoso diluvio
di voci disarticolate ed altri tsunami
d’onde un uccello si salvò
che ci parla
e il mondo devia barcollando
nei vicoli del vicinato del mercato,
e di tutto il Sud
e dopo aver lì farneticato su tutto ciò
lei con le mani spezzate come ali
una volta aquilifero del cielo
ed io
piegando le due ali come un abbraccio
vieni che andiamo – dissi –
dalla catàbasi
a veder l’annunziata anàbasi
6
A traverso i separati generatori della voce
abbiamo balbettato
Così abbiamo farfugliato così gorgheggiato tutt’e due
III
LINGUA E SCRITTURA
Non sbraitare
Dopo l’età dei rozzi metalli
il regno della ruota e fino alla scissione
dell’atomo
ecco anche per te balugina
la rivoluzione elettronica della materia
e antimateria
E dunque non strepitare mano che scrivi
non sbraitare e smettila di gesticolare
dietro alle parole
L’imperium della tua voce, basta!
La morte della parola?
La morte della parola? No!
No, no – Vi sono modi
V’è dietro alla scrittura
il suo corpo
il corpo della scrittura che si dibatte
nei mercati e nelle Borse
si dibatte e tosto rinasce
V’è ancora una silenziosa scrittura
strascicata
come serpe che striscia sul cartaceo fogliame
ne senti il sibilo con la sua lingua
Cosa vuole?
Chi è questo ciarlone al mercato
schiamazzante mercato cosa vuole l’analfabeta?
con le dita silenziose davanti a una macchina
segreto ciclostile egli stesso facondo3
Lingua mosaicata scrittura caleidoscopica
testi polifonici
una vera e propria Babilonia
e quant’altro sovrascritto come palinsesto
E la città con le sue arterie calpestate
– la nostra città
anch’essa abbandonata ai burocrati
3) La distinzione greca, quasi un gioco di parole, πολύγραφος (apparecchio per produrre molte copie) e πολυγράφος (colui che scrive molto) si perde nella traduzione italiana.
Anima, anima mia
fece in tempo a veder baluginare
la traiettoria di un naufragio cosmico
Anima anima mia, ecco che sin qui siamo giunti
all’ultima visione di questo viaggio
mentre sopra il frastuono delle onde
il timoniere scaraventato dallo scafo
si volse a guardar la fine del mondo
precipitando
foto di Angelo Trapani
L’ha ribloggato su evangelia polymou.
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Questi versi spazzano via buona parte della poesia italiana contemporanea (a mio modesto parere, ovviamente). Belli, potenti, visionari. Grazie.
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