Marc Chagall, Campo di grano in un pomeriggio d’estate
di Francesco Tomada
Scrivere poesie dal punto di vista dei bambini è facile ed al tempo stesso estremamente rischioso: facile perché naturalmente si è portati ad una certa indulgenza, si è in parte esentati da vincoli linguisti, metrici e lessicali; difficile perché per un adulto è arduo ritrovare e riprodurre quell’ingenuità che è la peculiarità dell’infanzia, e si rischia di cadere in una costruzione che appare artefatta. Nei testi che proponiamo in seguito – e che fanno parte di un lavoro più ampio a cui auguriamo di venire pubblicato presto – Francesco Iannone si muove in una terra che è diversa da quella dei lavori già editi e dimostra di saperlo fare benissimo, in quanto riesce a recuperare, forse grazie all’esperienza della paternità e al fatto che essa comporta anche il riappropriarsi della fanciullezza da parte dei genitori, uno sguardo genuinamente infantile, e a restituirlo sotto forma di immagini radiose che spesso portano ad un sorriso pieno.
Va sottolineato, però, che se in diversi testi potremmo immaginare che a parlare sia davvero un bambino, in altri è evidente che a farlo è un adulto, anche se la voce appare quella di un bambino. Si genera così un cortocircuito straniante, in cui il piccolo-grande narrante osserva i gesti, le azioni, i comportamenti degli adulti e ne dichiara quelle contraddizioni che dovrebbero essere evidenti a chiunque non abbia un occhio assuefatto all’incomunicabilità e all’ingiustizia. Ecco, lì dove noi siamo assuefatti Francesco Iannone riesce a farci riflettere senza utilizzare moralismi, ma semplicemente caricando le proprie parole con la potentissima arma dello stupore.
***
ad Antonio Giuseppe Rita,
alle loro voci-comete
a Marylin, da sei anni
A tavola la mamma
mi ordina di pulire finanche
l’ultimo rigo rosso di sugo
raddensato sul bordo del piatto.
Si deve, mi dice convinta.
Vedi là, in televisione, quei bambini,
per la fame muoiono anche.
A me invece sembrano finti
e forse anche loro, i grandi,
non ci credono veramente
che sono reali.
Dev’essere così per forza
perché altrimenti non fanno qualcosa?
Non prendono a morsi sul capo
i potenti, i furbi, i cattivi?
Io i grandi proprio non li capisco
parlano parlano dicono amore
e nessuno ne muore.
***
L’ha detto una volta
il mio papà a tavola
in amore siamo tutti forti
ma è nella morte che siamo superiori.
E che vuol dire?
A me questa idea sembra
un palloncino che ad una certa altezza
esplode lassù da solo.
Io la morte non la voglio
e quel fiore
che mi avevi regalato ieri
chi l’ha preso? Dove è andato?
***
I grandi sono perlopiù tristi.
Aggiustano le ore come possono.
E il tempo lo perdono così
senza toccarsi.
Ma che gran fatica
non scambiarsi baci e tenerezze
ma anche botte e parolacce
l’importante è che sia molto forte
questa vita qua.
Io perché sono bambino
esagero sempre
mi dice in continuazione mia mamma.
E allora?
***
Un mio amichetto
con tutta la rabbia
possibile a un bambino
mi ha urlato di andare via
che lui a giocare con me
proprio non ci pensava.
Io molto piangere
avrei voluto. Moltissimo
un pezzo di carne
strappargli con un morso solo
dal braccio o dal costato.
Poi però ho pensato
che se uno è cattivo così
un bacio non l’ha mica mai avuto
o forse la mamma e il papà
una ninna nanna nemmeno
gliela hanno mai la sera cantata.
L’ho pensato, sì, è vero. Prima però
ho pensato
che l’avrei ucciso.
***
Il mondo è così bello e c’è bisogno
di uno sguardo allegro
di una voce rotonda
di un tu
da stringere forte
da portare sulle spalle
di un viso che se solo lo vedi
ti scendono i brividi
come quando
ti fai la pipì
nei pantaloni.
***
Di parole ne voglio
un enorme bouquet
ma mazzetti anche
per cominciare.
Perché sono un bambino
ne ho poche per ora
e io le cerco
nella borsetta
del mondo
come quando la mamma
disperatamente
cerca nella sua
l’accendino.
Francesco Iannone è nato Salerno nel 1985. Ha pubblicato le raccolte Poesie della fame e della sete (Ladolfi, 2011) e Pietra lavica (Aragno, 2016).
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